Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-02-2011) 29-03-2011, n. 12778

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

T.N., V.L., V.M., I.C.R. ricorrono avverso la sentenza del Gip del Tribunale di Palermo in data che ha applicato pena su richiesta delle parti in ordine al delitto continuato di cui agli artt. 110 e 390 c.p., art. 378 c.p., commi 1 e 2; D.L. n. 152 del 1991, art. 7 per avere favorito la latitanza di persona condannata alla pena dell’ergastolo ed ha disposto la confisca del denaro, nonchè la confisca e distruzione degli assegni in sequestro quale prezzo dei reati.

Deduce violazione di legge con riferimento al provvedimento di confisca rilevando che il denaro e gli assegni non sono caratterizzati da "intrinseca criminosità", essendo di valore "non cospicuo" ed espletando i ricorrenti "regolare attività lavorativa".

Rileva che in difetto di prova contraria quanto confiscato deve ritenersi di "legittima spettanza e non pertinente alle vicende criminose".

Il ricorso è geneticamente proposto e come tale è inammissibile in quanto si limita a negare che quanto confiscato non costituisce il prezzo del delitto accertato, compenso ricevuto dai prevenuti per commettere il favoreggiamento ospitando la persona latitante da nove anni e consentendo che lo stesso incontrasse parenti ed altri. Il giudice di merito ha al riguardo ritenuto l’entità del denaro e dei valori cospicua e non altrimenti giustificabile se non con la costosa latitanza, mentre il ricorrente non offre argomentazione diversa da quella propria della decisione, negando assertivamente la relazione tra i valori ed il delitto, facendo riferimento ad una non specificata attività lavorativa. Le doglianze non sono cioè supportate da considerazioni che inficino in qualche modo la logica valutazione del giudice relativa al costo che la latitanza comporta ed al possesso dei valori non altrimenti giustificabili.

L’impugnazione è pertanto inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè ciascuno al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.500 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *