Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-01-2011) 29-03-2011, n. 12775 Armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il GIP presso il Tribunale di Milano, con ordinanza del 5 luglio 2010, ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di P.D. perchè indagato per i reati di cui all’art. 367 c.p. (erroneamente indicato come art. 368 c.p.), D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e artt. 110, 81 e 697 c.p., L. n. 497 del 1974, art. 10, D.L. n. 152 del 1991, artt. 14 e 7 per avere denunciato falsamente il furto di armi e munizioni e altri beni, e di aver poi illegalmente detenuto le armi e le munizioni suddette, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare il sodalizio criminoso n’drangheta da anni operante in Lombardia.

Il Tribunale per il riesame di Milano, con ordinanza del 20 luglio 2010, ha respinto il reclamo proposto dall’indagato e ha confermato il provvedimento impugnato.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione il difensore, deducendo i seguenti motivi:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) inosservanza o erronea applicazione della legge penale, manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato circa i ritenuti gravi indizi di colpevolezza.

Il ricorrente censura la decisione impugnata per omessa ed illogica motivazione, in quanto i gravi indizi sarebbero stati ricavati da una serie di elementi accusatori in realtà inconsistenti; in particolare il coinvolgimento del P.D. sarebbe frutto di supposizioni ed erronea interpretazione dei dati di fatto relativi al furto effettivamente subito delle armi e delle munizioni regolarmente denunciate. Il furto è avvenuto quando lo stesso non era presente in casa perchè in vacanza in Calabria e dello stesso è stato notiziato dal fratello A.. La denuncia sarebbe stata dunque presentata in relazione ad un fatto effettivamente avvenuto e non per rendere clandestine delle armi da mettere a disposizione della associazione criminale; conseguentemente sarebbe illogica l’affermazione relativa alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del P.D.. b) Violazione ed erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione circa la sussistenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7.

Il ricorrente lamenta che l’aggravante è stata contestata senza dimostrare che la condotta sia stata determinata, sotto il profilo soggettivo, dalla precisa volontà di facilitare con i delitti posti in essere, l’attività di un gruppo di tipo mafioso, stante, eventualmente, l’esclusivo interesse personale a far apparire il furto subito di maggior gravità rispetto ai beni effettivamente sottrattigli. c) Violazione ed erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione circa le ritenute esigenze cautelari.

Secondo il ricorrente l’ordinanza è illogica, per avere ritenuto le esigenze cautelari con motivazione apodittica, priva del vaglio della effettività e senza considerare l’assenza di pericolo di inquinamento probatorio, la mancanza di pericolo di fuga, essendo un soggetto con regolare nucleo familiare e attività lavorativa, l’assenza del pericolo di reiterazione del reato;

d) Violazione di legge – Vizio di motivazione circa la scelta della misura cautelare.

Secondo il ricorrente, pur valutando la possibilità della possibile esclusione dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, il Tribunale non avrebbe motivato sulla persistenza dell’adeguatezza e della proporzionalità della misura applicata, escludendo al contempo l’eventuale applicazione degli arresti domiciliari.

Ha concluso, pertanto, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO I motivi di ricorso sono infondati.

Le doglianze mosse dal ricorrente non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato, contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali ed appaiono immuni da vizi logici o giuridici.

Osserva la Corte che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (vedi Cass., sez. 4^, 06.07.2007 n. 37878).

Invero, quanto al primo motivo, il Tribunale, ha ampiamente, congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, osservando per incidens che dagli elementi raccolti nel corso delle indagini era emersa la "riproduzione" in Lombardia della struttura criminale calabrese, denominata: ‘"ndrangheta", organizzata con varie "locali" in Milano e province limitrofe; che a tali conclusioni si era pervenuti sulla scorta di articolate indagini, effettuate dall’Arma dei Carabinieri, mediante attività di osservazione ed intercettazione; il Tribunale enumera la serie di osservazioni ed accertamenti relativi all’evoluzione della ‘ndrangheta" in Lombardia, con il succedersi dei vari responsabili, culminate, con la registrazione della riunione del 20.01.2009, tenuta presso il ristorante della pista di motocross di Cardano al Campo, gestita da P.G.; nonchè con la registrazione della riunione del 31.10.2009, di (OMISSIS); che dalle predette indagini, e segnatamente dalle intercettazioni anche ambientali, erano scaturiti imponenti sequestri di armi e materie esplodenti, dimostrativi della disponibilità di armi da parte dell’organizzazione;di fatti intimidatori ed incendi dolosi che tali elementi erano indicativi delle modalità mafiose dell’organizzazione; al riguardo il Tribunale sottolinea che l’associazione per delinquere è reato di mera condotta e di pericolo presunto; in particolare la Locale di Erba aveva avuto fondazione recente ed era "certificata" a far tempo dal maggio 2008, con a capo V.P., e il Tribunale motiva riguardo sia alla ricorrenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, sottolineando che, in base al contenuto delle intercettazioni tra uomini della struttura criminale, emerge il collegamento della locale di Erba all’associazione criminale (v. int. 12 ottobre 2009), pur non partecipando il V.P., per suoi motivi personali, al summit di (OMISSIS) del 31 ottobre 2009 (v. int. 9 novembre 2009 tra V. e P.A., fratello di P. D.). Ciò premesso le intercettazioni telefoniche del 30.12.2009 tra il P.A. e il P.D. dimostrano come quest’ultimo sia stato istigato dal fratello A., a presentare la falsa denuncia, come in effetti ha poi fatto, in relazione alle pistole e alle munizioni, in modo da "legittimare" la mancanza delle armi prima legalmente detenute e, poi, messe a disposizione dell’organizzazione criminale in altro luogo.

Le motivazioni relative agli episodi sopra richiamati correttamente devono essere ritenute idonee a dimostrare il collegamento "qualificato" del prevenuto con l’organizzazione mafiosa; i gravi indizi emersi dall’esame del contenuto delle intercettazioni sono indicativi della sussistenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 in quanto riguardanti attività manifestamente orientate a favorire altri associati del gruppo mafioso e, più in generale, l’intera vita del sodalizio criminale,anche nei passaggi più delicati e cruciali della detenzione di armi e munizioni (Cass., sez. 6^, 16 maggio 2007, n. 23153).

Il Tribunale compie così una valutazione di puro fatto, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti.

Peraltro il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati e apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p..

Ciò in considerazione della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili a un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che si dimostrano idonee a dimostrare il fatto se coordinate organicamente. (Cassazione penale, sez. 4^, 04/03/2008, n. 15198).

Del pari infondati sono i motivi con i quali il ricorrente propone una valutazione alternativa delle prove, atteso che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice di merito (Cass. pen., sez. 4^, 06 luglio 2007, n. 37878).

Per la sussistenza del vizio di "manifesta illogicità" della motivazione si deve dimostrare che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, non rileva la circostanza che gli atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite, in tesi, di eguale crisma di logicità, anche perchè l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella "evidente", cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. (Cass. pen., sez. 4^ 12 giugno 2008, n. 35318).

Tali principi inducono a ritenere infondati anche i motivi relativi alla ricorrenza delle esigenze cautelari, atteso che sul punto il Tribunale ha richiamato la presunzione legale di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3 e, contrariamente alle censure mosse dal ricorrente, ha altresì valutato gli elementi acquisiti, quali la rilevante gravità del fatto per evidenziare l’assenza di elementi utili a contrastare la scelta della misura cautelare adottata, non essendo sufficienti i semplici dati dell’incensuratezza e dell’attività lavorativa.

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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