Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-01-2011) 29-03-2011, n. 12774 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.C. e C.E. hanno proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale di Milano, in data 18 agosto 2010, con la quale è stata respinta la richiesta di riesame del sequestro preventivo di beni e altre utilità appartenenti ai ricorrenti.

A sostegno dell’impugnazione i ricorrenti hanno dedotto i seguenti motivi:

a) Violazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), in relazione all’art. 321 c.p.p., e al D.L. n. 306 del 1992, artt. 12 quinquies e 12 sexies; mancanza del fumus commissi delicti;

impossibilità di configurare il delitto di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, comma 1, illegittimità del sequestro preventivo.

I ricorrenti lamentano la ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, in relazione al reato di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, comma 1, in quanto non sarebbe stata adeguatamente motivata la presenza del dolo specifico nel comportamento di C.C. che si sarebbe spogliato dei suoi beni nella consapevolezza di essere indagato ai sensi dell’art. 416 bis c.p., con la conseguente sostanziale sicurezza di poter essere sottoposto a misura di prevenzione patrimoniale. In realtà il trasferimento dei beni in favore della figlia C.E. sarebbe stato dettato dalla volontà di dotare la stessa di autonomia finanziaria, prima del suo trasferimento a Cuba o Santo Domingo, come emergerebbe dal contenuto di alcune intercettazioni. Nè tali conclusioni sarebbero inficiate dalla consapevolezza del C.C. di essere intercettato, circostanza che lo avrebbe portato a parlare in modo consequenziale rispetto ad una linea difensiva preordinata. Non vi sarebbe alcun elemento tale da suffragare una tale interpretazione del contenuto delle intercettazioni, nè che dimostrerebbe l’intestazione fittizia dei beni.

B) Art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c); violazione di legge con riferimento all’art. 321 c.p.p. e al D.L. n. 306 del 1992, artt. 12 quinquies e 12 sexies: mancanza di nesso di pertinenzialità fra i beni sottoposti a sequestro e il delitto di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, comma 1, illegittimità del sequestro preventivo.

I ricorrenti lamentano che il fumus commissi delicti deriverebbe esclusivamente dalla dedotta sproporzione tra il valore dei beni sequestrati e la dimostrata capacità reddituale della C. E., senza alcuno specifico approfondimento teso a valorizzare la mera volontà di conservazione del patrimonio in favore della figlia e non della sua volontà di formazione e accrescimento del patrimonio medesimo. c) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c);

violazione di legge con riferimento all’art. 321 c.p.p. e al D.L. n. 306 del 1992, artt. 12 quinquies e 12 sexies: mancanza del periculum in mora, assenza di dimostrazione della sproporzione dei beni;

illegittimità del sequestro preventivo.

Secondo il ricorrente non sarebbe stata dimostrata la sproporzione tra i beni sequestrati e le capacità reddituali del C. C.. d) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c);

violazione di legge con riferimento all’art. 321 c.p.p. e al D.L. n. 306 del 1992, artt. 12 quinquies e 12 sexies: mancanza del periculum in mora, giustificazione della legittima provenienza dei beni;

illegittimità del sequestro preventivo.

Secondo il ricorrente non sarebbe stato assolto l’onere, da parte dell’accusa, di dimostrare l’illecita provenienza dei beni sottoposti a sequestro con riferimento al reato presupposto ( D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies) nè ad altri eventuali reati. In realtà il ricorrente avrebbe dimostrato la possibilità della legittima provenienza dei beni in base all’attività lavorativa svolta e alle numerose fonti di reddito di cui era titolare, sebbene non dichiarati a fini fiscali, ma accertati dalle indagini espletate. e) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c);

violazione di legge con riferimento all’art. 321 c.p.p. e agli artt. 240 e 353 c.p.: mancanza del fumus commissi delicti, e del nesso di pertinenzialità tra la FRP s.r.l. e il reato; illegittimità del sequestro preventivo.

Il ricorrente contesta la sussistenza di una condotta riconducibile alla turbativa d’asta ed anzi sottolinea come dagli atti d’indagine non emerga alcun comportamento che possa configurare il fumus commissi delicti. Illegittimamente sarebbe stato sequestrato il diritto di superficie di cui è titolare la FRP s.r.l. e le relative quote, riferibili anche alla C.E., in quanto l’attività della società non potrebbe essere collegata al reato contestato.

Il ricorso è infondato.

Il Tribunale ha evidenziato chiaramente come il provvedimento impugnato sia stato adottato sulla base di atti, che hanno comunque consentito una corretta verifica dell’esistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento di sequestro sotto il profilo del fumus boni iuris, anche nei confronti della C.E., che non essendo indagata nel procedimento in esame, ha proposto riesame avverso il provvedimento di sequestro preventivo quale intestataria di una serie di immobili e quote societarie oggetto di sequestro, e quindi quale terza interessata, deducendo in sostanza gli stessi motivi del padre C.C.. La misura cautelare è stata adottata con riferimento al D.L. n. 306 del 1992, artt. 12 quinquies e sexies.

Peraltro in ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p. si è già formato il giudicato cautelare nei confronti del C.C., pure sottoposto in passato a misura di prevenzione (v. fg 2 dell’ord.), mentre non appare contestabile il nesso di pertinenzialità tra i beni sequestrati ed i reati,vista la natura del reato contestato, il ruolo rivestito dal C. nella vicenda complessiva e i suoi rapporti con le associazioni criminali (v. fg. 5 dell’ord. del TdR), e, per il sequestro del terreno e delle quote della soc. F.R.P., il ruolo svolto come strumento di turbativa d’asta, secondo la volontà dell’effettivo controllore, il C. C..

Con logica argomentazione, il Tribunale ha evidenziato come il reato presupposto non sia stato solo descritto nella norma richiamata, ma individuato con l’indicazione del tempo e luogo di commissione dei reati, delle società costituite per l’esecuzione degli stessi, delle fittizie intestazioni a soggetto diverso dall’effettivo titolare.

Correttamente, per quanto riguarda il C.C., il Tribunale attribuisce a questa attività la capacità di produrre reddito, di derivazione illecita, vista la capacità reddituale della C. E. (in base alle intercettazioni e al rapporto del G.d.F.), ma anche del genitore C.C., nel periodo di tempo preso in considerazione, che sicuramente concretizza la condizione della "sproporzione" tra il reddito personale e il valore dei beni acquisiti. Il Tribunale, dunque in questa fase, ha ricostruito con adeguata coerenza il collegamento tra l’attività dell’indagato e della terza intervenuta, i redditi di cui avevano la disponibilità in maniera lecita, e anche di quelli di cui risulta una chiara evasione fiscale, e la sproporzione tra il valore dei beni acquisiti e appunto lo stesso reddito complessivamente considerato. Peraltro solo per alcuni beni sono state indicate le fonti finanziarie in base alle quali sono stati acquistati, con il collegamento all’accensione di mutui, il cui importo è stato però ritenuto insufficiente a coprire la reale necessità monetaria (v. le valutazioni operate sul punto dal TdR a fg. 14 dell’ordinanza che appaiono coerenti e logiche). Il provvedimento pertanto appare chiaramente esente da censure anche sotto il profilo giuridico, configurando l’astratta ipotizzabilità del reato contestatela motivazione in ordine alla sussistenza del fumus è stata ricondotta alla sussistenza di congrui elementi che non possono essere censurati in fatto per apprezzarne la reale coincidenza con le risultanze processuali (v. Cass., SS.UU., 20 novembre 1996, Bassi, CED 206657; v. anche Cass., sez. 1^, 11 febbraio 2010, n. 16207, C.E.D. cass., n. 247237);in particolare, per quanto riguarda la posizione della C.E. è stato sottolineato come la stessa risulti priva di redditi con esclusione di quelli catastali, mentre, al contempo, risulti intestarla di beni immobili e della quote della soc. PFP s.r.l., di cui in realtà non si è mai occupata (v. p. 9 dell’ordinanza, mentre risulta il pieno controllo della stessa da parte del padre (v. p. 10 e ss. dell’ordinanza impugnata); correlativamente è stato evidenziato anche il profilo del periculum in mora. La motivazione in ordine alla necessità del sequestro preventivo è stata legata correttamente anche al successivo possibile provvedimento di confisca, una volta ritenuta la sussistenza della volontà da parte del C.C. di voler eludere le misure di prevenzione patrimoniale, a seguito dell’avvenuta conoscenza dell’indagine a suo carico (si vedano le valutazioni svolte dal Tribunale con riferimento al contenuto delle intercettazioni operate prima e dopo la consapevolezza dell’indagine a suo carico fg. 10 e 11 dell’ordinanza) (v,. Cass., sez. 1, 13 maggio 2008, n. 21357, C.E.D. cass., n. 24091).

Alla luce delle suesposte considerazioni risulta inconferente ogni valutazione in ordine alla permanenza del sequestro finalizzato alla confisca.

I ricorsi devono essere pertanto rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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