Cass. civ. Sez. I, Sent., 23-06-2011, n. 13810 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.N., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli proponeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio instaurato dinanzi al T.A.R. Campania per l’annullamento di alcuni provvedimenti della P.A. diretti al recupero di somme percepite dal predetto, giudizio iniziato nell’agosto 1999 ed ancora pendente. La Corte d’appello, con decreto depositato l’ 11 dicembre 2008, ritenuta una durata ragionevole di tre anni, liquidava a titolo di danno non patrimoniale per la ulteriore durata irragionevole del giudizio presupposto – tenuto conto del lunghissimo periodo di tempo in cui non vi era stata presentazione della cd. istanza di prelievo da parte del ricorrente – la somma di Euro 4.374,00, oltre agli interessi legali ed alla metà delle spese del procedimento, compensata la residua quota.

Avverso tale decreto il C. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero Economia e Finanze il 9 luglio 2009, formulando sette motivi.

Resiste il Ministero con controricorso.
Motivi della decisione

1.- Con i primi cinque motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 6, p. 1 C.E.D.U.) in relazione al rapporto tra norme nazionali e la C.E.D.U. come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ed omessa decisione di domande ( art. 360 c.p.c., n. 3 e 5; art. 112 c.p.c.). Secondo l’istante, una volta accertata la violazione del termine ragionevole, la liquidazione dell’equo indennizzo dovrebbe effettuarsi, applicando la normativa C.E.D.U. secondo la giurisprudenza della Corte europea e disapplicando la L. n. 89 del 2001, art. 2, che con essa contrasti, in relazione non già al tempo eccedente la ragionevole durata bensì all’intera durata del processo, ed in misura non inferiore a Euro 1000-1.500 per anno (motivi 1, 2,); nella specie peraltro il decreto non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detti parametri (motivo 3).

Inoltre, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00, concernente la controversia su diritti inerenti a rapporti di lavoro, ed il giudice non si sarebbe pronunciato sulla relativa domanda così violando l’art. 112 c.p.c. e l’obbligo di motivazione su un punto decisivo motivi 4 e 5).

1.1.- Il sesto e settimo motivo denunciano violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla disposta compensazione delle spese processuali, nonchè vizio di motivazione sul punto ( art. 360 c.p.c., n. 3 e 5).

2.- I motivi indicati nel p. 1, da esaminare congiuntamente perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono fondati solo in parte.

2.1- Quanto al rapporto tra le norme nazionali (in particolare, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3) e la CEDU, deve in primo luogo escludersi che l’eventuale contrasto tra tali normative possa essere risolto semplicemente con la "non applicazione" della norma interna.

Fermo il principio enunciato dalle S.U. (n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, va precisato come tale dovere operi entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001:

qualora ciò non fosse possibile, ovvero il giudice dubitasse della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", dovrebbe investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, (cfr. Corte Cost. sentenze nn. 348 e n. 349 del 2007). D’altra parte, la compatibilità della normativa nazionale con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica Italiana con la ratifica della CEDU va verificata con riguardo alla complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto ad una ragionevole durata del processo: come la stessa Corte europea ha riconosciuto, la limitazione, prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’equa riparazione al solo periodo di durata irragionevole del processo, di per sè non esclude tale complessiva attitudine della legge stessa (cfr. Cass. n. 16086/2009; n. 10415/2009; n. 3716/2008). Elettamente dunque la Corte di merito ha seguito la modalità di calcolo dell’indennizzo prevista dall’art. 2 citato, facendo peraltro espresso richiamo ai principii qui esposti.

2.2- Quanto invece alla liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale, va osservato come la determinazione, operata dalla Corte di merito, di una somma pari a circa 700 Euro per ogni anno di ritardo (in relazione a sei anni e tre mesi di durata irragionevole), ancorchè motivata dalla omissione per lungo tempo della presentazione delle c.d. istanze di prelievo, non rispetti quell’obiettivo di assicurare un serio ristoro al quale si è testè fatto riferimento. La Corte considera che uno scostamento, da parte del giudice di merito, rispetto al parametro base di mille Euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di settecentocinquanta Euro per anno, sia giustificato, anche alla stregua dei più recenti orientamenti della Corte europea (cfr.

Volta et autres c. Italia, 16 marzo 2010; Falco et autres c. Italia, 6 aprile 2010), quando ricorrano fattori, quali ad esempio la modestia della posta in gioco ed una durata del processo che non abbia superato di oltre tre anni quella ordinaria, mentre per il periodo ulteriore uno scostamento da quel parametro di mille Euro non si giustifichi (cfr. in tal senso, ex multis, Cass. n. 22869/2009; n. 1893/2010; 19054/2010). Alla stregua di questi criterii, considerato che il giudizio si è protratto per ulteriori sei anni e tre mesi circa oltre quello di ragionevole durata, il giudice di merito avrebbe dovuto liquidare al ricorrente un’equa riparazione pari a Euro 5.500,00, superiore a quella di Euro 4.374,00 riconosciuta.

2.3- Quanto al diniego di una somma forfetaria di Euro 2.000 (cd. bonus) in relazione alla circostanza che il giudizio presupposto aveva ad oggetto una controversia di lavoro, deve respingersi la tesi che tale somma ulteriore vada riconosciuta automaticamente in ogni caso di controversia di lavoro o previdenziale. La ragione di tale bonus, che la giurisprudenza europea riconosce laddove la particolare importanza di taluni giudizi induca a ritenere che il pregiudizio per la loro durata irragionevole sia stato maggiore di quello che si verifica nella generalità dei casi, postula l’accertamento e la valutazione nel caso specifico delle particolari circostanze alle quali sia da ricondurre tale eventuale maggior pregiudizio. Sì che, quando il giudice del merito nega tale ulteriore indennizzo forfetario, nella specie peraltro esprimendone le ragioni nella modestia della posta in gioco tale da escludere che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato dall’istante, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetterebbe ratione materiae ed era stato richiesto -tanto meno, nella specie, che la decisione negativa non sarebbe motivata-, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni -e se del caso alle prove- addotte nel giudizio di merito. Ciò che non è dato riscontrare nel ricorso in esame.

3.- I motivi indicati nel p. 1.1, restano assorbiti in quanto il decreto dovrà essere cassato, con quanto ne consegue ai sensi dell’art. 336 c.p.c..

4.- Il decreto è cassato. Sussistono peraltro le condizioni per pronunciare nel merito. Il Ministero della Economia e Finanze è condannato a pagare la somma di Euro 5500,00 -detratta quella eventualmente già corrisposta – con gli interessi legali dalla data della domanda.

Quanto alle spese del giudizio di merito, se ne ritiene giustificata la compensazione per la metà tra le parti, tenuto conto del sensibile ridimensionamento della pretesa (Euro 15.000,00) espressa dal ricorrente; altrettanto vale per le spese di questo giudizio di cassazione, tenuto conto che il ricorso è stato accolto solo parzialmente. La residua quota delle spese di entrambi i gradi, che si liquida come in dispositivo con gli accessori di legge, va posta a carico della Amministrazione resistente, con distrazione in favore del difensore del ricorrente che se ne è dichiarato antistatario.
P.Q.M.

La Corte, in parziale accoglimento del ricorso, cassa il decreto impugnato, e pronunciando nel merito condanna il Ministero della economia e delle finanze al pagamento in favore di C. N. della somma di Euro 5.500,00 oltre interessi legali dalla domanda; compensa per la metà tra le parti le spese del giudizio di merito e di questo giudizio di cassazione, e condanna il Ministero della economia e delle finanze al rimborso in favore della controparte, e per essa dell’avv. Alfonso Luigi Marra che se ne è dichiarato antistatario, della residua quota, pari, quanto al giudizio di merito, a complessivi Euro 460,00 – di cui Euro 190,00 per diritti e Euro 250,00 per onorari- e quanto al giudizio di cassazione a complessivi Euro 400,00 – di cui Euro 350,00 per onorari e Euro 50,00 per esborsi -, oltre per entrambi i gradi spese generali, i.v.a. e c.p.a..

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