Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-02-2011) 30-03-2011, n. 13128 Durata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

R.M. propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 7 ottobre 2010 con la quale il tribunale di Messina ha confermato quella dei gip presso il tribunale della medesima città che ha rigettato l’istanza con la quale si richiedeva fosse dichiarata, in applicazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3, la perdita di efficacia a partire dall’11 febbraio 2010 dell’ordinanza custodiale emessa dal gip in data 4 dicembre 2009.

Si deduce in questa sede la violazione di legge con riferimento all’art. 297 c.p.p., comma 3, artt. 303 e 12 c.p.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata.

Al riguardo il ricorrente premette di essere attualmente ristretto per effetto dell’ordinanza emessa in data 4 dicembre 2009 e che in precedenza, alla data dell’11 febbraio 2009 nei confronti dello stesso era stata emessa, sempre dallo stesso gip e nel medesimo procedimento penale, altra ordinanza di custodia cautelare incarcera, in parte per gli stessi reati, di cui era stata dichiarata in data 11 febbraio 2010 la perdita di efficacia per decorrenza dei termini di durata massima previsti dall’art. 303 c.p.p..

In particolare la misura sarebbe stata reiterata per i reati di cui ai capi a), b), c), d) ed e) – induzione alla prostituzione aggravata ed atti sessuali in danno dei minori D.G., D. M. e P.A. -, mentre per i restanti reati capi f), g), h), i), j), k) si rileva che trattasi di fatti comunque sussumibili sotto il vincolo della continuazione in relazione alla tipologia di reato, alla circostanza che le vittime sono sempre e solo soggetti minorenni, alla ricorrenza della condotta criminosa, all’identità del bene tutelato, alle motivazioni trattandosi di fatti determinati dal bisogno di soddisfacimento dei desideri sessuali del ricorrente e che, pertanto, è ravvisabile la connessione qualificata dell’art. 12, comma 1, lett. b) espressamente richiamato dall’art. 297 c.p.p., comma 3.

Si contesta inoltre la motivazione del riesame che ha ritenuto insufficiente la sistematica reiterazione delle modalità della condotta esecutiva, e che per contro, ha valorizzato negativamente il notevole lasso temporale tra gli episodi escludendo l’unicità del disegno criminoso. Da qui la ritenuta illegittimità del diniego di retrodatazione.

Tali considerazioni sono state ribadite con ulteriore memoria difensiva in cui si evidenziava anche che il vincolo della continuazione era stato riconosciuto all’esito del giudizio abbreviato di cui è stata allegata copia conforme del dispositivo.

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Va anzitutto rilevato che il tribunale ha evidenziato in premessa che il secondo provvedimento restrittivo aveva ad oggetto fatti diversi da quelli contestati con la prima ordinanza custodiale posto che riguardava o tipologie di reato mai contestate in precedenza o reati commessi in epoca antecedente – e, cioè, fino al 2004 -, rispetto a quella dei fatti contestati con la prima ordinanza, questi ultimi essendo relativi ad accadimenti del 2009 o comunque successivi al 2004 e che ha ritenuto ostare al riconoscimento della continuazione il lasso temporale estremamente ampio che intercorre tra i vari episodi criminosi sottolineando che gli stessi risultano posti in essere nell’arco di un decennio.

Ciò posto ritiene il collegio che l’ordinanza del riesame faccia in realtà corretta applicazione del principio più volte affermato da questa Corte per cui in caso di reati commessi a distanza temporale l’uno dell’altro, si deve presumere, salvo prova contraria, che la commissione d’ulteriori fatti, anche analoghi per modalità e "nomen juris", non poteva essere progettata specificamente al momento di commissione del fatto originario, e deve quindi negarsi la sussistenza della continuazione (Sez. 1, n. 3747 del 16/01/2009 Rv.

242537).

Avuto riguardo ai rilievi del ricorrente, vale la pena ricordare che proprio in occasione della pronuncia citata la Corte, richiamando precedenti decisioni, ha rilevato in motivazione come l’identità del movente non è, di per sè, sufficiente a configurare l’unicità del disegno criminoso, che non va confuso con il generico proposito di commettere reati o con la scelta di una condotta di vita fondata sul delitto.

Ed ha anche aggiunto che non legittimano, pertanto, la presunzione di medesimezza del disegno criminoso nè l’omogeneità delle varie violazioni della legge penale nè la permanenza del proposito criminoso. Tali elementi, infatti, sono indicativi unicamente del movente sotteso ai reati posti in essere, ma non costituiscono di per sè prova della originaria ideazione e deliberazione di tutte le violazioni nei loro caratteri essenziali, sintomatiche dell’istituto della continuazione.

Tali motivazioni – che il Collegio condivide – inducono a ritenere correttamente argomentato anche il ragionamento del tribunale che, per i capi f) – art. 600 ter -; g) – artt. 112 e 600 bis e sexies; h) – artt. 112 e 609 quater -; i) – artt. 600 bis e sexies -; j) – art. 609 quater -; k) – art. 609 quater -; rileva che da soli essi legittimano il nuovo provvedimento custodiale.

Nè vengono indicati elementi specifici e decisivi in senso contrario a quello sostenuto dal riesame oltre a quelli in precedenza indicati.

Quanto al rilievo del difensore in udienza – secondo cui all’esito del giudizio abbreviato sarebbe stata riconosciuta la continuazione – va in questa sede rilevato che, anche a voler prescindere dalla tardività della produzione e dalla circostanza che, in ogni caso, non è dato sapere se il provvedimento del GUP sia stato oggetto di impugnazione quantomeno sul punto in questione, è stato prodotto in udienza il solo dispositivo di udienza dalla lettura del quale non sono comunque desumibili le ragioni per le quali è stata riconosciuta la continuazione, nè gli elementi di valutazione che ne hanno giustificato il riconoscimento.

Rimane allora la valutazione del riesame che siccome di merito ed adeguatamente motivata, non può essere in alcun modo censurata in questa sede.

Di conseguenza il ricorso va rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue per il ricorrente l’onere del pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente a norma dell’art. 94 c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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