T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 28-03-2011, n. 2702

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, Assistente della Polizia di Stato, in data 9.2.1994 è stato sottoposto a sospensione cautelare dal servizio, ai sensi dell’art. 9, n. 1, del DPR n. 737/1981, a decorrere dal 28.2.1994. Successivamente, con sentenza n. 1122/1996, la Corte d’Appello di Catanzaro lo ha condannato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione e all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Avverso tale decisione è stato proposto ricorso per Cassazione, rigettato con sentenza del 26.2.1997.

A seguito della sentenza penale di condanna, con provvedimento del 26.7.1999 il Ministero dell’Interno ha pronunciato la destituzione del ricorrente a far data dal 28.2.1994.

A seguito di ricorso proposto dall’interessato, con sentenza n. 2644/2002 il TAR del Lazio ha annullato il provvedimento di destituzione e, quindi, l’Amministrazione, non potendo riammettere in servizio dello S. a causa dell’interdizione disposta con la citata sentenza penale, lo ha sospeso dal servizio ai sensi dell’art. 98 del DPR n. 3/1957.

Successivamente, con provvedimento del 29 marzo 2004 l’Amministrazione ha comunicato all’interessato che in data 12.4.2004 sarebbe decorsa la pena accessoria indicata e lo ha invitato a riprendere servizio in data 13.4.2004, previa presentazione al Centro Psicotecnico della Polizia di Stato in Roma, al fine di essere sottoposto agli accertamenti attitudinali per la verifica della permanenza dei requisiti attitudinali e, in caso di esito positivo, per essere sottoposto agli accertamenti medico legali, atteso il lungo periodo di assenza dal servizio, ai sensi dell’art. 9 del DPR n. 904/1983.

In data 9.4.2004 il ricorrente è risultato non idoneo alle prove attitudinali ed la colloquio svolto ai sensi dell’art. 31 del DPR n. 903/1983 e, quindi, con provvedimento del 28.4.2004 l’Amministrazione ha disposto la cessazione dal servizio dello S..

Ritenendo illegittimi tali provvedimenti, il ricorrente ha proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

Con ordinanza in data 8 luglio 2004 n. 3833 il TAR ha accolto la domanda incidentale di sospensione proposta da parte ricorrente e, quindi, l’Amministrazione ha disposto la riammissione in servizio dell’interessato con la qualifica di Assistente a decorrere dal 13.12.2004, con riserva di rivederne la posizione all’esito del ricorso proposto avverso i provvedimenti indicati in epigrafe.

Con successive memorie le parti hanno argomentato ulteriormente le rispettive difese.

All’udienza del 24 febbraio 2010 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione

1. Avverso i provvedimenti impugnati il ricorrente ha proposto un unico articolato motivo di ricorso contestando la violazione e l’errata interpretazione ed applicazione del DPR 23.12.1983 n. 903, l’eccesso di potere per erronea applicazione del DPR 23.12.1983 n. 904, l’ingiustizia manifesta, l’inconferenza tra i diversi provvedimenti, la apoditticità e contraddittorietà della motivazione e la carenza della motivazione stessa.

In particolare, il ricorrente ha rilevato che il DM n. 198/2003 (concernente i requisiti di idoneità fisica, psichica e attitudinale degli appartenenti ai ruoli del personale della Polizia di Stato) ha abrogato il DPR n. 904/1983 e, quindi, l’Amministrazione, nell’adottare i provvedimenti impugnati, ha erroneamente applicato la disciplina abrogata. Peraltro, anche qualora l’art. 9 del DPR n. 904/1983 (richiamato nei provvedimenti contestati) fosse ancora in vigore, la determinazione dell’Amministrazione di sottoporre il ricorrente ad accertamenti finalizzati a riscontare la sussistenza dei requisiti attitudinali sarebbe, comunque, illegittima in quanto la norma indicata prevede l’accertamento dell’idoneità psicofisica (e non attitudinale) per gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato che espletano funzioni di polizia. Sicché, i provvedimenti impugnati risultano illegittimi anche nella parte in cui prevedono che, all’esito degli accertamenti attitudinali, l’interessato avrebbe dovuto essere sottoposto alla valutazione medicolegale.

A ciò deve aggiungersi, secondo il ricorrente, la carenza di motivazione del verbale in data 27.4.2004, da cui non si evincono le ragioni di fatto ed i presupposti di diritto per i quali l’Amministrazione si è determinata ad attribuire determinati punteggi alle valutazioni da eseguire, peraltro, senza indicare il punteggio conseguito dal ricorrente. Al riguardo, l’Amministrazione ha richiamato l’art. 4 del DM n. 198/2003 (a conferma del fatto che la disciplina applicabile alla fattispecie è contenuta in tale decreto ministeriale e non del DPR n. 904/1983) ma tale norma (così come il richiamato art. 31 del DPR n. 903/1983) non sarebbe applicabile al caso di fattispecie, posto che attiene all’accertamento dei requisiti attitudinali dei canditati ai concorsi per l’accesso ai ruoli del personale che esplica funzioni di polizia.

Da quanto sopra, sempre a parere del ricorrente, consegue l’illegittimità del provvedimento con il quale l’Amministrazione ha disposto la cessazione dal servizio dell’interessato a decorrere dal 29.4.2004, per mancanza di uno dei requisiti di cui all’art. 25, comma 2, della legge n. 121/1981, senza, peraltro, indicare quale fosse il requisito carente.

2. L’Amministrazione si è difesa in giudizio depositando note e documenti relativi alla vicenda, contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. Il Collegio – sulla base dell’esame della disciplina applicabile alla fattispecie e di quanto emerge dalla documentazione prodotta in giudizio – ritiene che le censure avanzate dal ricorrente siano infondate per le ragioni di seguito indicate.

3.1. Anzitutto, va rilevato che, se è vero che nell’atto n. 333D/0165707 del 29 marzo 2004 (con il quale l’Amministrazione ha disposto che, all’atto della riammissione in servizio, il ricorrente venisse sottoposto a visita per l’accertamento dell’idoneità attitudinale e dell’idoneità psico fisica) è stato erroneamente richiamato l’art. 9 del DPR n. 904/1983 (nel frattempo abrogato dalla normativa sopravvenuta), dal verbale n. 1 del 27.4.2004, e dagli atti successivi emerge chiaramente che gli accertamenti sono stati eseguiti in applicazione del vigente DM 30.6.2003 n. 198 e, quindi, non vi sono dubbi sul fatto che l’Amministrazione – ad eccezione dell’errore commesso nell’iniziale individuazione delle norma di riferimento – ha correttamente operato applicando la disciplina vigente applicabile alla fattispecie. Ha richiamando, infatti, il DM n. 198/2003 in tutti gli atti di accertamento (cfr., tra gli altri, anche l’atto di accertamento dei requisiti attitudinali in data 26.4.2004) ed, in particolare, ha richiamato l’art. 2 del citato decreto ministeriale nel provvedimento di cessazione dal servizio in data 28.4.2004.

3.2. Ciò posto, la reale quaestio iuris sulla quale il Collegio è chiamato a pronunciarsi si incentra, quindi, sull’interpretazione della norma dell’art.2 del Regolamento (approvato con d.m. nr. 198 del 2003) concernente i requisiti di idoneità fisica, psichica ed attitudinale di cui devono essere in possesso sia i candidati all’accesso nei ruoli della P.S. che gli appartenenti ai predetti ruoli; e, pertanto, nello specifico, (la definizione di tale quaestio) impone la soluzione al quesito se sia consentito, o meno, all’Amministrazione dell’Interno di sottoporre il personale dipendente, nel corso del rapporto di servizio, ad accertamento volto al riscontro (in capo allo stesso) della persistenza (non dei soli requisiti psico fisici, ma, altresì) dell’idoneità attitudinale all’impiego. Si tratta di una verifica effettuata da un’apposita commissione tecnica che viene ad investire – con carattere di collegialità ed in base a predefiniti e sperimentati test intellettivi, di personalità e comportamentali, integrati da un colloquio – la complessiva personalità del candidato in funzione eminentemente prognostica del proficuo svolgimento del servizio di polizia e delle capacità di reagire in situazioni critiche.

Tutto ciò in base a distinti parametri di valutazione i quali, secondo le esemplificazioni di cui alla Tabella allegata al citato d.m. n. 198/2003, investono il livello evolutivo, il controllo emotivo, la capacità intellettiva, l’adattabilità allo specifico contesto sociale e di lavoro. In esito a detti accertamenti deve, quindi, emergere, il possesso di una personalità sufficientemente matura, con stabilità del tono dell’umore, di capacità di controllo delle proprie istanze istintuali, spiccato senso di responsabilità, avuto riguardo alle capacità di critica e di autocritica ed al livello di autostima.

Al riguardo, la tesi del ricorrente esclude tale possibilità ritenendo che la possibilità di accertare i requisiti attitudinali riguardi i canditati ai concorsi per l’accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato che esplica funzioni di polizia e non anche chi (come il ricorrente) è stato già positivamente valutato sotto tale profilo.

Il gravame, difatti, non investe, in alcuna sua parte, il giudizio negativo formulato dalla Commissione attitudinale (che viene, pertanto, ritenuto illegittimo in via derivata), né la componente motiva (sotto i profili dell’adeguatezza e della sufficienza delle ragioni per cui è stato disposto l’accertamento dell’idoneità attitudinale) dell’atto avversato, concentrandosi, esclusivamente, sulla portata applicativa della normativa di riferimento che, a parere del ricorrente, non investe l’amministrazione di un potere quale quello in concreto esercitato.

Tanto premesso, v’è da rammentare la questione relativa alla legittimità, o meno, della sottoposizione del personale in costanza di servizio (ovvero da reimmettere in servizio in esito all’annullamento giurisdizionale di provvedimento destitutorio) ad accertamenti attitudinali che ne asseverino l’idoneità all’impiego, è stata oggetto di contrasti sia tra questo Tribunale (cfr. sent. TAR Lazio, I^ Ter n.6498 del 2008 ed i precedenti giurisprudenziali ivi richiamati) ed il Consiglio di Stato che in seno allo stesso Consiglio di Stato (la sent. della VI^ sez. n.909/2010 che tale potere di accertamento esclude si pone in contrasto non solo con la decisione della stessa Sezione n.1777/2007 ma anche con la più recente pronuncia, sempre della medesima VI^ sez., n.4794 del 30/7/2009 che, testualmente, puntualizza "Non può essere messo in dubbio che anche nel corso del rapporto di lavoro (e non solo al momento dell’assunzione) per i dipendenti della Polizia di Stato possa e debba essere accertata la permanenza dell’idoneità fisica, psichica e attitudinale allo svolgimento di compiti connessi all’ordine pubblico e alla sicurezza, che richiedono specifiche qualità sul piano fisico, psichico e attitudinale….).

Invero, ed a partire dalla citata decisione n.6498 del 2008, la Sezione ha chiarito che la legittimità all’esercizio di tale potere discende dalla circostanza che il personale della Polizia di Stato deve mantenere, anche nel corso del servizio attivo, quei requisiti attitudinali e psico fisici necessari per poter adeguatamente attendere alle mansioni e ai compiti pertinenti alla qualifica di appartenenza (cfr. art.25 della legge n.121 del 1981).

Il possesso di tali requisiti che, nel precedente ordinamento, era disciplinato dal d.P.R. n.904 del 1983 (che, invero, disattendendo in parte qua la delega di cui al citato art.25, nulla ha prescritto in ordine all’idoneità attitudinale del personale in servizio), trova ora regolamentazione nel d.m. n.198 del 2003 che sotto la rubrica "Accertamento dell’idoneità fisica, psichica ed attitudinale degli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato" include norma (art.2 comma 3) che abilita l’amministrazione ad accertare l’idoneità (fisica, psichica ed attitudinale) del dipendente nelle ipotesi ivi contemplate fra le quali è prevista quella correlata a "specifiche circostanze rilevate d’Ufficio dalle quali obiettivamente emerga la necessità del suddetto giudizio".

La Sezione ha, poi, ulteriormente aggiunto, che " la logicità e razionalità de detta disposizione non è revocabile in dubbio ove si consideri che la personalità umana, in una prospettiva temporale, pur se mantiene una propria coerenza, è soggetta a mutamenti che danno luogo, sotto il profilo psicologico, ad un susseguirsi di momenti non solo evolutivi ma anche involutivi (es.: il dipendente che si ritiene ingiustamente sanzionato dalla propria amministrazione può sentirsi deprivato di ogni stimolo a perseguire con immutata abnegazione e determinazione i propri compiti di polizia; e parallelamente analoga disaffezione può maturare nel dipendente che riscontra l’inerzia disciplinare della propria amministrazione di fronte a contegno, manifestamente contrario ai doveri di servizio, tenuto da collega). Dunque, le dinamiche emotive, relazionali e gli eventi di vita che si susseguono nell’esperienza dell’individuo concorrono ineluttabilmente a determinarne atteggiamenti, aspettative e motivazioni che incidono, rafforzandola o riducendola, sulla disposizione verso alcuni tipi di impegni e difficoltà".

E tale esegesi, condivisa – come sopra anticipato in alcune pronunce del Giudice di appello – ha, da ultimo, ulteriormente, e si ritiene definitivamente, trovato conferma nel parere reso, sulla specifica questione di cui trattasi, dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato che, a livello esegetico, ha constatato che "la formulazione letterale della norma di cui all’art. 2 del d.m. n. 198/2003 non esclude affatto la possibilità di sottoporre il dipendente riammesso in servizio, in esecuzione di un giudicato amministrativo, anche ad accertamento attitudinale, oltre che psicofisico, in costanza di rapporto.

L’art. 2 del d.m. n. 198/2003, infatti, nella rubrica recita testualmente "accertamento dell’idoneità fisica, psichica ed attitudinale degli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato", con ciò confermandosi quale disposizione che mira a disciplinare anche gli accertamenti attitudinali.

E sebbene al primo ed al secondo comma la disposizione si riferisca solo all’idoneità fisica e psichica, disciplinando le modalità con cui la stessa può essere accertata, in costanza di rapporto; al comma terzo il testo normativo disciplina genericamente il giudizio di idoneità al servizio di polizia (con ciò comprendendo anche il giudizio sull’idoneità attitudinale per coerenza con la rubrica) che può essere accertato dalla pubblica amministrazione – oltre che in alcuni tassativi casi enunciati dalla norma – opportunamente e specificamente motivando, anche qualora sussistano circostanze che lo rendano obiettivamente necessario". (Comm.Spec., parere nr.2206/2010 del 04.10.2010).

E tanto basta a definire l’odierno giudizio che, così come strutturato, si rivela certamente infondato.

Nondimeno, e solo per ragioni di compiutezza, la Sezione non intende sottrarsi ad una esegesi completa della disposizione dell’art.2 di cui trattasi la cui formulazione letterale condiziona, come sopra ricordato, la possibilità di rinnovare il giudizio di idoneità attitudinale ove sussistono "specifiche circostanze" che devono essere fatte oggetto di "adeguata motivazione".

Orbene, ad avviso della Sezione, tale norma deve essere intesa nel senso che l’amministrazione può, durante lo svolgimento del servizio, disporre una verifica del possesso dei requisiti psicofisici ed attitudinali tutte le volte che: – vengano in rilievo elementi sintomatici che inducano a dubitare della permanenza dei requisiti stessi (cfr. in tal senso Cons.St. VI^ sez. nr. 422 del 2010); – di tali elementi dia adeguata contezza di fatto e motivazionale.

Segue a tanto che, allorquando si tratti di riammettere in servizio un dipendente a seguito di provvedimenti giurisdizionali favorevoli (es. annullamento di decreto destitutorio), tale circostanza non può, ex sé, considerarsi interdittiva all’esercizio del potere di accertamento attitudinale (come sembra dedursi da Cons.St. Sez. IV, ord. n. 2712/2004 e n. 2961/2004). La norma, difatti, non pone alcun limite di tale natura; mentre, per converso, essa deve ritenersi violata allorquando la rinnovazione del giudizio di idoneità attitudinale (in esito alla declaratoria di illegittimità del provvedimento di destituzione) sia palesemente volta ad eludere la pronuncia del Giudice (cfr. Cons. St. nr.422 del 2010 cit.), fermo restando in capo al ricorrente, in tali evenienze, l’onere di denunciare le circostanze rappresentative della manifesta natura di tale intento.

Da ultimo, poi, l’onere, gravante sulla p.a., dell’enucleazione delle "specifiche circostanze" che devono essere oggetto di "adeguata motivazione" non va inteso in senso assoluto. E ciò nel senso che, fra tali "circostanze", ve ne possono essere alcune la cui esposizione rende del tutta superflua un’ulteriore e diffusa motivazione. Ne segue che, in presenza di dati episodi che, ad esempio, vedono penalmente condannato (con sentenze passate in giudicato) l’operatore di polizia per gravi reati la cui consumazione è (anche) agevolata dalla divisa che indossa, il dubbio che costui sia ancora attitudinalmente idoneo a prevenire e reprimere fatti penalmente rilevanti (alla luce di una condotta che ha dato prova di una del tutto antitetica propensione), è tanto ovvio quanto elementare e consente di evitare la spendita di diffuse argomentazioni nel preambolo del provvedimento che dispone la rinnovazione del giudizio di idoneità attitudinale.

3.3. Va, infine, respinta la censura con la quale il ricorrente lamenta che l’Amministrazione ha disposto la cessazione dal servizio dell’interessato a decorrere dal 29.4.2004, per mancanza di uno dei requisiti di cui all’art. 25, comma 2, della legge n. 121/1981, senza indicare quale fosse il requisito carente, essendo chiaro dal tenore dei provvedimenti impugnati che il requisito mancante fosse quelle relativo al profilo attitudinale.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.

5. Sussistono validi motivi, legati alle sopra citate divergenze giurisprudenziali, per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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