Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-01-2011) 31-03-2011, n. 13331 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma con ordinanza in data 4 giugno 2010 – a seguito di complesse indagini sviluppatesi, attraverso l’esame dei tabulati telefonici e delle conversazioni telefoniche intercettate, dopo il tentativo di furto in un appartamento di Roma, commesso il 17 agosto 2009 e conclusosi tragicamente con la morte di uno degli autori, S.D., caduto dal terzo piano – disponeva l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di vari soggetti albanesi e rumeni, legati tra loto da rapporti di amicizia o parentela, in ordine ai reati di associazione per delinquere, furti in abitazione, rapine e altri reati commessi in Roma e altrove tra il 19 gennaio 2010 e il 3 aprile 2010.

Con ordinanza in data 25 giugno 2010 il Tribunale di Roma – in parziale accoglimento delle richieste di riesame presentate nell’interesse di vari indagati – dichiarava l’incompetenza per territorio del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in favore dell’Autorità giudiziaria di Macerata per alcuni reati (capi O, P, Q, R, S), annullava l’ordinanza impugnata in relazione al reato associativo (capo A) e ad alcuni dei reati fine, confermando l’ordinanza custodiale nei confronti, tra gli altri, di H.D. limitatamente ai furti contestati ai capi H, I, K e alla rapina contestata al capo L, nei confronti di Le.Pa. limitatamente al furto contestato al capo T, nei confronti di L. L. limitatamente alla ricettazione contestata al capo W).

Avverso la predetta ordinanza l’ H. individualmente e il Le. e il L. con un unico atto hanno proposto, tramite i rispettivi difensori, ricorso per cassazione.

Con il ricorso presentato nell’interesse di H. (avv. Massimo Mercurelli) si deduce:

1) la nullità dell’ordinanza impugnata ex art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) in relazione all’art. 309 c.p.p., commi 5 e 10 poichè i tabulati telefonici, sulla base dei quali era stata "localizzata" l’utenza attribuita all’ H., non sarebbero stati trasmessi al Tribunale del riesame e nemmeno il loro contenuto risulterebbe inserito in atti di polizia giudiziaria in modo tale da consentirne la valutazione critica;

2) la nullità dell’ordinanza impugnata ex art. 606 c.p.p., lett. e), con riferimento all’art. 273 c.p.p., comma 1, poichè nè nell’ordinanza custodiale, nè in quella del Tribunale del riesame e nemmeno negli atti di polizia giudiziaria (in particolare nell’informativa finale 814/2010, più volte richiamata nell’ordinanza impugnata) sarebbe stato identificato il numero dell’utenza telefonica di cui il ricorrente avrebbe avuto la disponibilità; il Tribunale del riesame avrebbe comunque omesso di controllare, nonostante la specifica doglianza difensiva, il percorso logico-dimostrativo attraverso il quale l’utenza telefonica (quand’anche ne fosse stato indicato il numero), in assenza di formate intestazione, era stata attribuita in uso all’ H.;

nell’ordinanza impugnata sarebbe stata poi sopravvalutata l’affidabilità della localizzazione dell’utenza (ignota) in base alla "cella" che risultava attivata in concomitanza con lo svolgimento delle azioni criminose, avendo il Tribunale del riesame tratto conclusioni in termini di certezza dagli elementi solo indiziali emergenti dall’analisi dei tabulati senza tener conto del limitato valore della singola localizzazione; in particolare per i reati ai capi I) ed H), furti commessi in orario compreso tra le ore 18 e le ore 19 del 6 febbraio 2010 in stabili adiacenti situati in Roma alla via (OMISSIS), il dato risultante dai tabulati telefonici sarebbe inconcludente poichè in concomitanza delle sei telefonate intercorse tra le ore 18,05 e le ore 1835 l’utenza telefonica mobile attribuita al ricorrente era stata localizzata nelle celle di via (OMISSIS), di cui non veniva precisata la distanza dal luogo dei furti (via (OMISSIS));

da una lettura della sequenza cronologica degli spostamenti risultanti dai tabulati emergerebbe peraltro che nell’arco di tempo (ore 18-19) in cui i furti erano stati commessi l’utenza telefonica attribuita all’ H. non era mai stata rilevata in via (OMISSIS), mentre secondo la prospettazione accusatoria basata sul contenuto di alcune conversazioni intercettate l’ H. sarebbe stato presente nelle immediate vicinanze di una delle abitazioni prese di mira dagli autori dei furti; riguardo al furto contestato al capo k), commesso tra le ore 21,55 e le ore 23 in un’abitazione sita in Roma alla via (OMISSIS), dai tabulati risultava che la cella interessata dall’utenza telefonica attribuita in uso al ricorrente era quella di via (OMISSIS), che si trova in un’area di intensissimo traffico telefonico vicina al Grande Raccordo Anulare (e che non sembrerebbe comunque coprire la zona in cui il furto era stato commesso), in una situazione tale da non permettere di raggiungere per problemi tecnici l’indispensabile certezza sulla localizzazione del telefono cellulare e del soggetto che lo stava utilizzando; relativamente infine alla rapina contestata al capo L), commessa intorno alla mezzanotte del 3 aprile 2010 nella via (OMISSIS) di Roma, l’utenza asseritamente in uso all’ H. avrebbe agganciato celle distanti vari chilometri dal luogo di commissione della rapina, e non zone circostanti come indicato nell’ordinanza impugnata, secondo quanto risultava dall’esame delle piantine allegate al ricorso.

Con il ricorso depositato nell’interesse di Le. e L. (avv. Mario Murano e avv. Piergiuseppe Di Virgilio) si deduce:

1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 309 c.p.p., commi 5 e 10 per la mancata trasmissione al giudice del riesame dei tabulati telefonici, ampiamente utilizzati dal giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza custodiale per sostenere il quadro di gravità indiziaria e posti a fondamento delle informative di polizia giudiziaria;

2) la violazione e falsa applicazione dell’art. 273 c.p.p. e il difetto di motivazione in quanto, con specifico riguardo alla posizione del Le. (capo T), le informative sarebbero inutilizzabili nella parte in cui si limitano a richiamare i tabulati telefonici senza allegarli e, quindi, senza dare la possibilità al giudice di valutare la fonte originaria; mancherebbe inoltre l’esposizione delle ragioni in base alle quali il Le. era stato individuato quale usuario dell’utenza telefonica mobile attribuitagli; nè sarebbe stato dimostrato che l’utenza telefonica in questione sia stata proprio quella agganciata dalla cella prossima al luogo del delitto; il giudice di merito avrebbe anche omesso di spiegare, infine, perchè il contenuto della conversazione telefonica in cui si faceva riferimento all’impegno di "lavoro" (in ora notturna) di uno degli interlocutori fosse stato ritenuto significativo relativamente al furto al capo T) e non per gli altri reati contestati al Le. (furti contestati ai capi U) e V), oltre al reato associativo contestato al capo A) in ordine ai quali il Tribunale del riesame aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare; relativamente al reato di ricettazione ascritto al capo W) al ricorrente L. si deduce, in particolare, la violazione dell’art. 273 c.p.p. e il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza del reato presupposto e dell’elemento soggettivo della contestata ricettazione avente ad oggetto un orologio di modesto valore economico.

Nel ricorso, con riferimento alla posizione di entrambi i ricorrenti si deduce, infine, il vizio della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari e ai criteri di scelta della misura, con riferimento all’asserita "serialità" delle condotte nei confronti di indagati per i quali la gravità indiziaria era stata ravvisata per ciascuno in ordine ad un unico reato.

Il primo motivo di entrambi i ricorsi, sostanzialmente coincidente, è manifestamente infondato.

Infatti correttamente il Tribunale del riesame, con motivazione esaustiva e pienamente condivisibile, ha rilevato che i tabulati telefonici non erano mai stati oggetto di autonoma allegazione, ma avevano fatto comunque parte integrante delle varie informative redatte dalla polizia giudiziaria e dell’informativa riepilogativa del 7 aprile 2010, informative trasmesse al giudice per le indagini preliminari unitamente alla richiesta di applicazione della misura cautelare.

Va rammentato al riguardo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale, in materia di riesame delle misure cautelari, l’omessa trasmissione al Tribunale di atti a contenuto probatorio non determina la perdita di efficacia della misura cautelare quando tali atti non siano stati considerati nel provvedimento impugnato oppure se il contenuto degli stessi fosse integralmente ricostruibile sulla base degli atti trasmessi (Cass. sez. 6^, 19 novembre 1997 n.4498, Vassallo; sez. 3^, 25 gennaio 2000 n.376, Gas Z., sez. 3^, 10 luglio 2002 n.30306, Sabatelli; sez. 4^, 30 marzo 2005 n.40044, Congiusti).

Peraltro secondo la giurisprudenza di legittimità il mancato inoltro al Tribunale del riesame di atti che non siano stati nemmeno allegati alla richiesta di applicazione della misura cautelare ex art. 291 c.p.p. e di cui, pertanto, nemmeno il giudice della cautela abbia potuto disporre non comporta la perdita di efficacia della misura prevista dall’art. 309 c.p.p., comma 10 (Cass. sez. 1^, 22 gennaio 2009 n.4567, DI Lorenzo; sez. 4^ 17 novembre 2005 n.8114, Omodasun;

sez. 1^, 23 gennaio 2001 n. 13042, Hu Shoudeng; sez. 5^, 23 novembre 1999 n.5651, Maesano).

Nel caso di specie il giudice per le indagini preliminari e, di conseguenza, il Tribunale del riesame hanno avuto conoscenza dei dati relativi ai tabulati riguardanti le utenze telefoniche mobili attribuite, tra gli altri, all’ H. e al Le. attraverso le informative della polizia giudiziaria e legittimamente ne hanno fatto uso, ai fini il primo della decisione sull’applicazione della misura cautelare e il secondo ai fini della pronuncia sul riesame.

I ricorsi sono peraltro generici sul punto, in quanto non sono state indicate dai ricorrenti le ragioni della pretesa impossibilità di apprezzamento e vaglio critico sulla fonte originaria (i tabulati), costituita in questo caso essenzialmente da dati di natura tecnica espressi in forma numerica che, almeno ai limitati fini dell’applicazione della misura cautelare personale, potevano essere adeguatamente valutati anche attraverso le informative della polizia giudiziaria.

Fondato appare invece il rilievo riguardante specificamente la posizione del ricorrente H. circa la mancata identificazione dei numero relativo all’utenza telefonica di cui il predetto ricorrente avrebbe fatto uso, numero che (a differenza dei numeri di altre utenze telefoniche intercettate o oggetto di indagine per la ricerca, attraverso l’esame dei tabulati, dei dati esterni identificativi delle comunicazioni telefoniche) non risulta indicato nell’ordinanza impugnata, nè in quella di applicazione della misura cautelare e nemmeno nella relativa richiesta del pubblico ministero (la Corte non dispone delle informative di polizia giudiziaria nè i limiti del giudizio di legittimità potrebbero comunque autorizzare, in questo caso, l’esame diretto degli atti).

In assenza di una formale intestazione dell’utenza al ricorrente, l’indicazione del numero relativo all’utenza il cui traffico telefonico era stato oggetto di rilevazione avrebbe contribuito a dare concretezza al valore indiziario delle risultanze dei tabulati con riferimento alla persona dell’indagato e avrebbe consentito a quest’ultimo di esercitare compiutamente la sua difesa.

Fondata è inoltre la doglianza, comune ai ricorrenti H. e Le., circa la mancata indicazione nell’ordinanza impugnata degli elementi in base ai quali sono stati identificati nelle persone dei predetti indagati coloro che, pur in mancanza di una formale intestazione, avevano l’effettiva disponibilità delle utenze telefoniche mobili e ne facevano realmente uso.

Non risultano infatti individuati dal giudice di merito elementi che consentissero di collegare in via fattuale o logica (contenuto delle conversazioni intercettate, rapporti con gli interlocutori eventualmente identificati, riconoscimento vocale, specifiche indagini di polizia giudiziaria, dichiarazioni di coindagati) le persone dei predetti indagati alle utenze telefoniche di cui erano stati indicati quali utilizzatori, utenze la cui localizzazione nei pressi delle abitazioni in cui sono stati realizzati i furti e la rapina costituisce il principale, se non l’unico, elemento di rilevante valore indiziario a loro carico.

Detta mancanza non consente allo stato di ricostruire il procedimento logico attraverso il quale le utenze telefoniche in questione siano state concretamente ricondotte all’uso normale da parte degli indagati e indebolisce sensibilmente la trama della motivazione circa la sussistenza dei gravi indizi a loro carico.

Ne consegue che, a prescindere dalle ulteriori doglianze difensive rispetto alle quali il rilevato vizio della motivazione ha carattere assorbente, l’ordinanza impugnata deve essere annullata nei confronti dell’ H. e del Le., con rinvio al Tribunale di Roma che dovrà colmare le lacune della motivazione sui punti sopra indicati (numeri delle utenze telefoniche mobili localizzate nei pressi delle abitazioni in cui erano stati realizzati i furti e la rapina, elementi specifici e concreti circa l’effettiva disponibilità delle predette utenze da parte degli indagati alla data di commissione dei reati) e comunque fornire un’adeguata e specifica motivazione circa gli elementi che consentano di individuare nei predetti indagati gli interlocutori delle conversazioni telefoniche intercettate indicale a sostegno, unitamente alle risultanze dei tabulati telefonici, del quadro di gravità indiziaria.

Ad analoga conclusione la Corte perviene relativamente alla posizione del ricorrente L., limitatamente tuttavia alle esigenze cautelari.

Le doglianze difensive circa l’esistenza, quanto alla contestata ricettazione, del reato presupposto e dell’elemento psicologico sono infatti generiche e, comunque, manifestamente infondate.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorchè siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto.

Questa Corte ha più volte, inoltre, affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in inala fede (Cass. sez. 2^, 11 giugno 2008 n. 25756, Nardino; sez. 2^, 27 febbraio 1997 n. 2436, Savic).

Nell’ordinanza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione dei monili d’oro e dei cinque orologi (tra cui uno riconosciuto da R.C., al quale era stato sottratto nel corso di una rapina), rinvenuti nell’abitazione del L. all’esito della perquisizione domiciliare del 25 febbraio 2010, si pone, almeno a livello indiziario, come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito.

Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Cass. Sez. Un. 26 novembre 2009 n. 12433, Nocera; sez. 1^, 17 giugno 2010 n.27548, Screti) l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio.

In tema di reato presupposto deve peraltro rilevarsi che, ai fini dell’accertamento della responsabilità per il delitto di ricettazione, non è necessario l’accertamento giudiziale della commissione dello stesso nè l’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove coerenti e logiche (Cass. sez. 2^, 12 marzo 1998 n.3211, Lodola) o potendo il reato presupposto comunque essere dedotto attraverso prove logiche (Cass. sez. 4^, 7 novembre 1997 n.11303, Bernasconi; sez. 2^, 15 gennaio 2009 n.10101, Longo).

Nel caso in esame è stata peraltro individuata la persona offesa del reato di rapina di cui uno degli orologi rinvenuto in possesso del L. costituiva il provento.

La Corte rileva, tuttavia, che è fondata la doglianza difensiva circa la ritenuta sussistenza, anche nei confronti del L., dell’esigenza cautelare prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c), "giustificata dalla serialità e gravità oggettiva delle attività criminose, dalle modalità spregiudicate e violente delle stesse, dalla determinazione palesata pure nei casi in cui le persone offese si trovavano in casa al momento del furto".

Si tratta di una motivazione, comune a tutti gli indagati nei cui confronti è stata confermata la misura cautelare della custodia in carcere, che non si adatta certamente – per il riferimento alla "serialità" delle condotte, alle "modalità spregiudicate e violente" di commissione, alla presenza delle persone offese "in casa al momento del furto" – alla posizione del ricorrente L., per il quale la misura cautelare della custodia in carcere risulta essere stata confermata unicamente in ordine al reato di ricettazione (capo W).

Peraltro nella scelta della misura cautelare il giudice del riesame ha impropriamente accomunato tutti gli indagati nel giudizio di elevata pericolosità sociale che ha giustificato la conferma della più rigorosa misura custodiale.

Va tuttavia rilevato che, come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, in tema di misure cautelari personali le esigenze connesse alla tutela della collettività devono concretarsi nel pericolo specifico di commissione dei delitti indicati nell’art. 274 c.p.p., lett. c), trattandosi di valutazione prognostica di carattere presuntivo, il giudice è tenuto a dare concreta e specifica ragione dei criteri logici adottati senza potere, nell’ipotesi in cui più siano gli indagati, assumere determinazioni complessive e generali (Cass. sez. 6^ 8 novembre 1993 n. 3198, Stanislao; sez. 6^, 7 novembre 1995 n. 3974, Bozzo; sez. 2^, 21 novembre 1997 n. 6480, Accardo; sez. 6^, 5 novembre 2008 n. 48420, Bernardi).

Nel caso in esame, in particolare, la diversità, sia per numero che per titolo di reato, della posizione del L. rispetto ai coindagati non consente di ritenere adeguata la motivazione dell’ordinanza impugnata, in cui è stata compiuta una generica assimilazione delle pur diverse situazioni degli indagati nella valutazione sia della sussistenza dell’esigenza cautelare prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c) sia del grado di rilevanza della predetta esigenza cautelare ai lini della scelta della misura cautelare.

Si impone pertanto anche nei confronti del L. l’annullamento dell’ordinanza impugnata, limitatamente alle sole esigenze cautelari, con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame sul punto.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.

annulla l’impugnata ordinanza nei confronti di Le.Pa. e H.D. e, limitatamente alle sole esigenze cautelari, nei confronti di L.L., con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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