Cass. civ. Sez. V, Sent., 24-06-2011, n. 13927 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Gli atti del giudizio di legittimità. 11 20.3.2006 è stato notificato a C.P. un ricorso del Ministero delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata il 27.12.2005 e notificata il 1.2.2006), che ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina n. 448/08/2002, che aveva integralmente accolto il ricorso della parte contribuente avverso avviso di rettifica inerente IVA per l’anno 1989 fondato sul diniego del richiesto rimborso, oltre all’irrogazione di pena pecuniaria.

C.P. si è costituito con controricorso.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 23.3.2011, in cui il PG ha concluso per l’accoglimento/rigetto del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con ricorso avanti alla CTP di Latina il contribuente C. ha impugnato un avviso di rettifica fondato sul diniego del richiesto rimborso dell’IVA assolta nel corso dell’anno 1989 per l’acquisto di due trattori agricoli, diniego che era stato giustificato con il rilievo che il contribuente aveva effettuato solo conferimenti non costituenti cessioni di beni e perciò sottratti al regime IVA. L’adita Commissione Provinciale aveva accolto il ricorso del contribuente facendo applicazione del D.L. n. 746 del 1983, art. 6, che consente il recupero dell’eccedenza di imposta afferente l’acquisto di beni strumentali, per la parte non compensata forfettariamente. L’appello proposto dall’Agenzia contro l’anzidetta decisione è stato disatteso dalla Commissione Regionale.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che la rigidità del sistema forfettario di detrazione previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, a seguito della riforma dettata con il D.L. n. 746 del 1983 è stata mitigata dall’art. 6 di detto D.L. il quale consente -a favore dei soggetti che si avvalgono del regime speciale in agricoltura – il recupero dell’imposta afferente i beni strumentali ammortizzabili in periodi superiori a tre anni per la parte non compensata forfettariamente, e ciò onde evitare che sull’agricoltore si faccia gravare l’ulteriore costo rappresentato dall’IVA sui predetti acquisti, in contrasto con il carattere neutro dell’imposta. Secondo il giudicante di secondo grado, rispetto a questo sistema la tesi secondo cui il rimborso non compete in ipotesi di effettuazione di soli conferimenti – non costituenti cessioni di beni – appare del tutto incoerente, giacchè se l’eccedenza di IVA è costituita nella sua interezza da operazioni diverse (e quindi neutre rispetto al rapporto proporzionale indicato nel comma 2 dell’art. 34 menzionato), il rimborso non può che essere dovuto per intero.

4. Il ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione è sostenuto con unico motivo d’impugnazione e si conclude – previa indicazione del valore della lite in Euro 5.802,39 – con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni consequenziale pronuncia anche in ordine alle spese di lite.
Motivi della decisione

5. Questione preliminare.

Preliminarmente necessita rilevare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero delle Finanze e del ricorso incidentale proposto contro il predetto Ministero.

Quest’ultimo non è stato parte del processo di appello (instaurato dopo il 1 gennaio 2001 – data di inizio dell’operatività delle Agenzie fiscali – dal solo Ufficio locale dell’Agenzia) sicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare o ad essere convenuto nel presente grado.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di questa Corte in tal senso si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

6. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo ed unico motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: "Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3").

Con tale motivo d’impugnazione la ricorrente Agenzia si duole del fatto che il giudice di appello abbia erroneamente considerato riconoscibile a tutti i produttori agricoli indistintamente la facoltà di detrazione dell’imposta assolta sui beni ammortizzabili e non compensata forfettariamente, per quanto si debba invece ricava dal comma 3 del menzionato art. 34 che – per i produttori agricoli non esercitati l’opzione per il regime ordinario – detta detrazione non spetta in relazione alle operazioni che consistono in conferimenti a cooperative, siccome operazioni considerate "in regime di non cessione" e perciò "intassabili". Nella specie di causa il C. risultava non avere esercitato l’opzione ed avere effettuato nell’anno in considerazione solo conferimenti a cooperative, con conseguente totale indetraibilità dell’IVA assolta.

Il motivo è fondato e la pronuncia impugnata deve essere cassata.

Infatti, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, nella versione vigente nell’anno 1989 qui preso in considerazione, prevedeva quanto di seguito:

Per le cessioni di prodotti agricoli e ittici compresi nella prima parte dell’allegata tabella A, effettuate da produttori agricoli, la detrazione prevista nell’art. 19 è forfettizzata in misura pari all’importo risultante dalla applicazione, all’ammontare imponibile delle operazioni stesse, delle percentuali di compensazione stabilite, per gruppi di prodotti, con decreto del Ministro delle finanze di conceria con il Ministro dell’agricoltura e delle foreste e con il Ministro della marina mercantile e la imposta si applica con le aliquote corrispondenti alle percentuali stesse. Si considerano produttori agricoli i soggetti che esercitano le attività indicate nell’art. 2135 cod. civ., e quelli che esercitano attività di pesca in acque dolci, di piscicoltura, di mitilicoltura, di ostricoltura e di allevamento di rane e altri molluschi e crostocei. Si considerano effettuate da produttori agricoli anche le cessioni di prodotti effettuate per conto dei produttori soci o associati, nello stato originario o previa manipolazione o trasformazione, da cooperative e loro consorzi, ovvero da associazioni e loro unioni costituite e riconosciute ai sensi della legislazione vigente, nonchè quelle effettuale da enti che provvedono per legge, anche previa manipolazione o trasformazione, alla vendita collettiva per conto dei produttori.

……………omessi i commi da 2 a 4……………….

I passaggi dei prodotti di cui al comma 1, agli enti, alle cooperative o altri organismi associativi ivi indicati ai fini della vendita per conto dei produttori agricoli, anche previa manipolazione o trasformazione, non sono considerali cessioni di beni. Le cooperative e gli altri organismi associativi possono optare preventivamente, entro il 31 gennaio, per l’applicazione dell’imposta a norma del secondo comma, n. 3), dell’art. 2; in tal caso le cessioni si considerano effettuate all’atto del versamento del prezzo ai produttori agricoli soci o associali.

Nel fare interpretazione della anzi trascritta disposizione di legge questa Corte ha avuto modo, in plurime occasioni, di chiarire che:

"in tema di I.V.A., con riguardo ai conferimenti di prodotti agricoli dai soci di una cooperativa alla cooperativa stessa ai fini della vendita per loro conto – che. in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, comma 5, lett. b), nel testo originano, non sono considerati cessioni di beni – la retrocessione dei soci da parte della cooperativa, oltre che del prezzo ricavati) dalla vendita, anche dell’I.V.A. incamerata, impedisce ai soci stessi di portare in detrazione l’I.V.A., in sede di dichiarazione annuale, con riferimento agli acquisti occorrenti per la produzione di quei beni conferiti alla cooperativa, realizzandosi altrimenti un doppio recupero della medesima imposta" (Cass. Sez., 1, Sentenza n. 3323 del 10/04/1996. Negli stessi termini Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1239 del 17/02/1996: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4717 del 17/04/1992).

Nell’affermare il predetto principio di diritto questa Corte ha – in sostanza – evidenziato che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 34, comma 5 (tanto nella originaria versione quanto in quella introdotta con il D.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24) non considera "cessioni" i passaggi dei prodotti agricoli (elencali della tabella A) a cooperative e consorzi per la vendila per conto dei produttori soci. In conseguenza di ciò le cooperative – retrocedendo ai soci stessi, oltre al prezzo ricavato dalla vendita, anche l’IVA incamerata – consentirebbero ai produttori soci – in aggiunta al rimborso dell’IVA sugli acquisti dei beni occorrenti per la produzione di quelli conferiti – di conseguire un duplice recupero della IVA corrisposta sugli acquisti, una prima volta con la normale detrazione operata in sede di dichiarazione annuale; una seconda volta, in occasione della retrocessione effettuata dalla cooperativa che la incassa in occasione delle vendite per conto dei soci stessi.

Anche nella fattispecie qui in esame deve farsi applicazione del predetto principio, atteso che è pacifico – per la conferma degli assunti di parte ricorrente che si desume dalle considerazioni contenute nel controricorso di parte intimata – che il C. nell’anno d’imposta qui in considerazione abbia effettuato solo conferimenti non tassabili e non avesse fatto previa opzione per l’applicazione del regime ordinario di tassazione. Il difetto assoluto di un volume d’affari soggetto ad imposizione impedisce peraltro l’applicazione del regime proporzionale che altrimenti avrebbe trovato necessario effetto.

Conclusivamente, il diniego frapposto al rimborso è legittimo in ragione del principio generale che non permette al contribuente di "recuperare" due volte la medesima imposta.

Non resta che cassare la decisione qui impugnata senza che necessiti il rinvio della controversia a giudice di merito, atteso che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto e che la parte intimata non ha riproposto altre questioni eventualmente non esaminate dal giudice di merito e che siano idonee a giustificare l’esigenza di un nuovo esame.

La regolazione delle spese di lite è improntata al criterio della soccombenza, per tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero delle Finanze e compensa le relative spese. Accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso proposto dalla parte contribuente contro il provvedimenti impositivo oggetto di esame. Condanna la parte intimata alla rifusione delle spese di tutti i gradi di giudizio, liquidate per questo grado in Euro 1.400,00 per onorario oltre spese per quote a debito e per i gradi di merito, in complessivi Euro 1.000.00 per ciascun grado, di cui Euro 700,00 per onorario ed il resto per diritti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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