Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-02-2011) 01-04-2011, n. 13354 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ti.
Svolgimento del processo

I ricorrenti:

A.A.F.;

D.B.M.P.;

H.L.;

D.G.T.;

propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 22.03.2010 dalla Corte di appello di Milano, che aveva riformato la sentenza di condanna emessa in data 24.11.2005 dal Tribunale di quella città, nei confronti dei ricorrenti che, – unitamente a M.B. – erano stati imputati dei reati:

– di associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di una serie indeterminata di truffe, nonchè di una serie di truffe- satellite commesse mediante la costituzione della ditta individuale Wilson & Partners Ltd con sede in Londra, alla quale si rivolgevano imprenditori bisognosi di finanziamento, che erano tratti in errore ed indotti ad erogare un fondo spese proporzionale all’importo richiesto in finanziamento senza che quest’ultimo venisse mai erogato, con il danno conseguente alla perdita del fondo spese versato;

la corte di appello riteneva la prescrizione di tutte le truffe contestate ai vari capi di imputazione e confermava la condanna solo per il delitto di associazione per delinquere, riducendo la pena e confermando nel resto la sentenza impugnata.

Nel presente ricorso, proposto da tutti gli imputati ad eccezione di M.B., si deduce:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e);

1)- tutti i ricorrenti censurano la sentenza per non avere dichiarato la prescrizione anche del reato di associazione per delinquere, il cui termine è stato abbreviato dalla riforma ex L. n. 251 del 2005;

al riguardo si censura la motivazione impugnata per avere applicato i termini di prescrizione regolati dalla legislazione previgente e per avere fatto decorrere il termine di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10 dalla data della lettura della sentenza di primo grado, senza considerare che a quella data non era ancora pendente l’appello, sicchè doveva applicarsi la nuova disciplina sulla prescrizione, più favorevole agli imputati.

2)- Il ricorrente A. censura, inoltre, la sentenza impugnata per omessa motivazione, essendosi limitata a richiamare quella di primo grado, nonchè per illogicità non avendo considerato che le richieste di finanziamento erano legittimamente sottoposte al deposito di un fondo spese, proporzionale al prestito richiesto, e che la mancata erogazione dei finanziamenti non era riconducibile agli imputati ma alla mancata accettazione da parte degli enti finanziari;

mancava quindi la prova in ordine all’elemento soggettivo dei reati di truffa;

3)- gli altri ricorrenti: H., D.G. e D. censurano altresì la sentenza riguardo alla determinazione della pena e per violazione dell’art. 133 c.p., osservando:

– i primi due, H. e D.G., di avere ricevuto una pena superiore a quella comminata allo A.A., nonostante che la stessa Corte di appello abbia attribuito a quest’ultimo "un ruolo di fondamentale importanza" mentre per i ricorrenti aveva riconosciuto solo un ruolo "intermedio";

– la terza, D.B.M.P., lamenta di avere ricevuto una pena più elevata di quella irrogata al marito A., nonostante che lei abbia rivestito un ruolo minore nella vicenda, essendosi limitata a movimentare somme di denaro;

censura, in particolare, la motivazione per non avere rideterminato adeguatamente le pene in seguito all’eliminazione dei reati satellite di truffa;

CHIEDONO l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi proposti riguardo alla prescrizione risultano totalmente infondati in quanto sostengono una tesi non accolta dalla giurisprudenza, sicchè la dedotta prescrizione non è ancora decorsa.

Invero la Corte Costituzionale ha giudicato manifestamente infondata la q.l.c. della L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, sollevata con riferimento all’inapplicabilità dei termini prescrizionali più brevi introdotti dalla predetta legge ai processi già pendenti in appello o davanti alla Corte di cassazione al momento di entrata in vigore della legge medesima, in quanto la norma – così come interpretata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 393 del 2006 – ragionevolmente individua quale limite all’efficacia retroattiva della "lex mitior" l’intervento di una sentenza di primo grado. (Cassazione penale, sez. 5, 20 novembre 2007, n. 1746).

Da tale premessa ne è derivato il principio, ormai consolidato, per il quale, ai fini dell’applicabilità della nuova disciplina sul computo della prescrizione e con riguardo alla disciplina transitoria dettata dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, (nella parte non incisa dalla parziale declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 393/2006), deve ritenersi che la fase del giudizio di primo grado, il cui esaurimento prima dell’entrata in vigore della citata L. n. 251 del 2005 comporta l’applicabilità dei termini di prescrizione stabiliti dalla normativa previgente anche se meno favorevoli, sia da considerare conclusa alla data della pronuncia della sentenza, nulla rilevando che all’atto dell’entrata in vigore della nuova legge il rapporto processuale davanti al giudice d’appello non si fosse ancora instaurato. Cassazione penale, sez. 1, 21 settembre 2007, n. 36226.

Anche i restanti motivi sollevati riguardo al merito appaiono totalmente infondati, atteso che il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi e delle prove che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

Contrariamente a quanto sostenuto nei motivi di ricorso, la sentenza impugnata indica chiaramente il percorso logico-motivazionale seguito per individuare l’elemento soggettivo dei reati-fine di truffa e la loro incidenza ai fini della prova del reato di associazione per delinquere, osservando:

– che del tutto artificiosamente la Wilson & Partners veniva fatta figurare come società londinese mentre era iscritta presso la Camera di commercio di Pescara, come ditta individuale di B.M. P.; (pag.8) – che non vi era alcuna sede in (OMISSIS);

– che la Wilson & Partners si presentava sul mercato offrendo finanziamenti a tassi inferiori a quelli normalmente praticati (pag.

7);

– che ai clienti venivano fornite le più ampie rassicurazioni in merito all’erogazione in tempio brevi delle somme richieste; (pag.

5);

La Corte di appello evidenzia come tali circostanze configurino appieno gli artifici ed i raggiri richiesti per il delitto di truffa, trattandosi di modalità fraudolente atte ad attirare un gran numero di clienti, che venivano così indotti in errore circa l’affidabilità e convenienza del finanziamento e convinti ad erogare una somma titolo di fondo spese, cui però, sistematicamente, non seguiva mai alcun finanziamento;

Quanto ai ruoli dei singoli imputati la sentenza descrive diffusamente, con riferimenti documentali e testimoniali:

– che la D.B. gestiva il conto corrente bancario attraverso il quale passavano tutti i fondi (pag. 12);

– che lo A.A. trattava con i clienti (deposizioni:

L., B., D. e molti altri) venendo presentato di volta in volta come – consulente finanziario – advisor – responsabile di filiale (pag. 17);

– che H. e D.G. si presentavano ai clienti come "rappresentanti" della società (deposiz. F., D.L., P. ed altri) (pag.17) mentre la M. veniva presentata ai clienti come "Amministratore" "corrispondente per l’Italia di Wilson & Partners2 (deposiz. C.);

Si tratta di una motivazione ineccepibile perchè indica analiticamente le prove relative ai ruoli rivestiti da ciascuno, indicativi della piena e consapevole partecipazione al sodalizio;

motivazione che risulta congrua perchè ancorata a precisi dati fattuali ed immune da illogicità perchè coerente con le massime di comune conoscenza, sicchè risulta incensurabile in questa sede di legittimità, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti. Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 12255.

Parimenti infondati appaiono i motivi relativi al trattamento sanzionatorio, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena e di concessione delle attenuanti generiche;

– riguardo alla pena si è richiamata la gravità del fatto e la personalità dell’imputato, osservando:

– per l’ A., il costante richiamo al roboante nome della fantomatica società "inglese" ed il ruolo primario nell’organizzazione della complessa struttura truffaldina;

– per la D.B., che il suo ruolo non era affatto secondario ma, al contrario "decisivo", atteso che la ditta "Wilson & Partners" era intestata a suo nome ed era lei la titolare del conto corrente su cui transitavano tute le somme provento delle truffe;

– per la H. e la D.G. che esse si alternavano nei ruoli, così concorrendo all’attività fraudolenta;

– la sentenza impugnata, pur eliminando per prescrizione alcune ipotesi di reato, ha rideterminato la pena tenendo presenti, per ciascuno dei ricorrenti, le peculiarità di cui innanzi, con motivazione in fatto del tutto incensurabile in questa sede;

– riguardo alle attenuanti generiche si è fatto riferimento alla gravità del fatto, caratterizzato dalla ripetizione della condotta fraudolenta nei confronti di numerose parti offese ed, in specie, per la D.G., all’esistenza di precedenti penali specifici, tali da non consentite alcuna attenuazione del trattamento sanzionatorio;

va ricordato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, "a fortiori", anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione. (Cassazione penale, sez. 4, 04 luglio 2006, n. 32290.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati in solido al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Segue la condanna degli imputati alla rifusione, in solido tra loro, delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione, in solido, delle spese sostenute nel grado dalla parte civile "Pasticceria Piazza Jenne" liquidate in complessivi Euro 2.441,25 oltre I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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