Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-03-2011) 04-04-2011, n. 13568

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– Che con l’impugnata sentenza, in conferma di quella di primo grado, P.A. fu ritenuto responsabile del reato di minaccia grave in danno di E.F., per avere, secondo l’accusa, puntato contro quest’ultimo, nel corso di una discussione per motivi di vicinato, un coltello;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato denunciando vizio di motivazione e violazione degli artt. 192 e 199 c.p.p. sull’assunto, in sintesi e nell’essenziale, che:

1) indebitamente sarebbe stata ritenuta l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, sulle quali si era essenzialmente basata la pronuncia di condanna, nonostante la documentata esistenza di pregresse ragioni di astio tra detta persona e l’imputato come pure della dimostrata capacità della stessa persona offesa, come emergeva da altre vicende giudiziarie, di mentire in danno del medesimo imputato;

2) altrettanto indebitamente sarebbe stata disattesa la deposizione resa, in veste di testimone, dalla moglie dell’imputato, per la sola ragione costituita dall’esistenza del rapporto di coniugio con il medesimo.
Motivi della decisione

– Che il ricorso non appare meritevole di accoglimento, in quanto:

a) con riguardo al primo motivo, lo stesso, nel riproporre, sostanzialmente, le stesse doglianze già espresse nei motivi d’appello, si limita a manifestare un più o meno argomentato dissenso rispetto alle risposte fornite dalla corte territoriale, in particolare insistendo sul fatto che, contrariamente a quanto posto in luce nell’impugnata sentenza, vi sarebbero stati motivi di astio da parte dell’ E. nei confronti del P. già da epoca antecedente al fatto di cui è causa, per cui la ritenuta attendibilità della persona offesa sarebbe stata, in realtà, da escludere; assunto, questo, che, però, oltre a fondarsi su elementi di fatto non suscettibili di verifica ed apprezzamento in questa sede (non risultando specificato se ed in qual modo essi fossero stati sottoposti all’attenzione del giudice del gravame), non presenta neppure carattere di potenziale decisività in favore della tesi sostenuta dal ricorrente, atteso che anche la presenza di ragioni di astio da parte della persona offesa nei confronti dell’accusato non può costituire, di per sè sola, motivo per escludere "in toto" la sua credibilità, imponendo soltanto un vieppiù accentuato dovere, da parte del giudice, di sottoporre ad esame critico le dichiarazioni da essa rese; e ad un tale dovere non può dirsi che, nella specie, il giudice si sia sottratto, avendo esso tra l’altro ragionevolmente osservato come la versione dei fatti resa dalla persona offesa trovasse motivo di credibilità nella circostanza, non contestata, che detta persona ebbe a chiedere ed ottenere, nell’immediatezza del fatto, l’intervento dei Carabinieri; cosa che – si aggiunge – difficilmente avrebbe fatto se, come avvenuto (a quanto pareva) in altre occasioni, tra essa e l’attuale ricorrente vi fosse stato soltanto "uno scambio di battute, per quanto salaci"; nè, al riguardo, appare conducente il rilievo critico della difesa secondo cui non si spiegherebbe per quale ragione i Carabinieri, se venuti a conoscenza di un reato di minaccia grave, commessa con arma e pertanto perseguibile d’ufficio, non avrebbe provveduto a redigere verbale e neppure a segnalare il fatto al loro comando, potendosi in proposito osservare, in primo luogo, che, secondo quanto si afferma pure nell’impugnata sentenza (senza che al riguardo risultino formulate obiezioni nel ricorso), lo stesso imputato aveva ammesso che i Carabinieri intervenuti su richiesta dell’ E. gli avevano contestato la minaccia armata (il che certo non avrebbero potuto fare se non ne avessero avuto notizia, appena prima, dallo stesso E.);

in secondo luogo che l’omissione, da parte dei carabinieri, degli adempimenti accennati nel ricorso, censurabile o meno che essa possa apparire, risulta anch’essa più che ragionevolmente spiegata dalla corte di merito (spiegazione del tutto ignorata, però, nel ricorso), con l’osservazione che i militari, "a fronte di versioni diametralmente opposte", ben potrebbero aver ritenuto di non redigere alcun verbale (il che non significa, però, che non avessero neppure notiziato il loro comando) preferendo invece consigliare alla persona offesa "di assumersi la responsabilità delle accuse sporgendo denuncia nei 90 giorni"; b) con riguardo al secondo motivo, se per un verso può convenirsi con la difesa del ricorrente circa la censurabilità del passaggio motivazionale nel quale si esclude, in effetti, ogni possibile rilevanza della deposizione resa dalla moglie dell’imputato sol perchè presumibilmente a lui favorevole, non può, tuttavia, per altro verso, non rilevarsi che la stessa difesa, dal canto suo, è totalmente venuta meno all’onere che invece avrebbe avuto, per l’ormai noto principio della c.d. "autosufficienza del ricorso", di specificare quale fosse il contenuto di detta deposizione, sì da mettere questa Corte in condizione di verificare se ed in quale misura la sua valutazione avrebbe potuto dar luogo ad un diverso esito del giudizio.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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