Corte di Cassazione – 24.2/10.6.2000, n. 7951/00 Accordi collettivi, retribuzione, locali, nazionali, superiore, ricorso, copia notificata (2010-08-24)

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO. – Con sentenza in data 30 maggio – 23 giugno 1997, il Tribunale – Sezione del lavoro di Udine rigettava l’appello proposto dall’INPS nei confronti del sig. Dino Zampieri avverso la sentenza 20 dicembre 1995, n. 896 del Pretore – giudice del lavoro della stessa sede, che aveva accolto l’opposizione dello Zampieri a decreto ingiuntivo col quale gli era stato intimato di pagare all’Istituto Lire 796.000 a titolo di sanzioni amministrative e spese per omesso versamento di contributi sull’indennità di trasferta ai dipendenti inviati nei vari cantieri dal 1° gennaio 1989 al 31 dicembre 1992.

Ha ritenuto il giudice di appello che era pacifico che lo Zampieri non aderiva alle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo prevedente tale indennità, di fatto non corrisposta dal datore di lavoro; e che, d’altra parte, se è vero che la retribuzione da assoggettare a contribuzione non poteva essere inferiore a quella stabilita da leggi, regolamenti e contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative o da accordi collettivi o contratti individuali, occorreva tuttavia che tali fonti fossero in concreto applicabili e sussistesse quindi l’obbligo datoriale di pagare quelle retribuzioni a fronte del corrispondente diritto del lavoratore quanto meno scaturente dal precetto di cui all’art. 36 Cost..

Ha affermato, infine, il Tribunale che l’art. 1 della legge 1989, n. 389 aveva natura interpretativa dell’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153.

La diversa interpretazione sostenuta dall’Istituto, per contro, avrebbe comportato l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi nazionali di lavoro, in contrasto con l’art. 39, quarto comma, Cost., ed avrebbe comportato altresì un maggior onere contributivo anche a carico dei lavoratori, pur a fronte di una retribuzione non percepita concretamente.

L’INPS veniva condannato nelle spese di appello (mentre in assenza di impugnazione incidentale veniva mantenuta la compensazione delle spese disposta in primo grado).

Per la cassazione della sentenza del Tribunale ricorre l’INPS con unico motivo illustrato con memoria.

Resiste lo Zampieri con controricorso contenente altresì ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi ed eccepisce l’inammissibilità del ricorso principale per mancanza della sottoscrizione sulla copia notificata e perché fondato su un profilo di merito (contratto collettivo applicabile) non provato nei precedenti giudizi, talché viene richiesto un esame del fatto non consentito in sede di legittimità.

DIRITTO. – I ricorsi, separatamente proposti contro la medesima sentenza, debbono essere riuniti (art. 335 c.p.c.).

L’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per difetto nella copia notificata della sottoscrizione dei procuratori, deve essere rigettata.

Lo stesso ricorrente, sulla base della giurisprudenza di legittimità (Cass. 6 luglio 1992, n. 8209; 9 febbraio 1988, n. 1413, cui adde: Cass. 5 gennaio 2000, n. 29; 29 maggio 1999, n. 5249), sostiene che non ricorre l’invalidità del ricorso qualora l’originale, come nel caso in esame, sia sottoscritto, purché dalla relazione di notifica emerga la conformità della copia all’originale, ovvero che la notifica è stata richiesta da procuratore legittimato.

Quest’ultima condizione (posto che la sottoscrizione dei difensori figura sull’originale del ricorso) risulta soddisfatta: dalla relazione di notificazione risulta infatti che l’ufficiale notificante (assistente U.N.E.P.) ha proceduto ad istanza dell’INPS, come sopra rappresentato, domiciliato e difeso, e poiché il nome dei difensori figurava nell’epigrafe del ricorso, oltreché dalla procura speciale in calce all’atto, autenticata da uno di essi, era certo per il destinatario della notificazione che l’Istituto, nel richiederla, aveva agito tramite i difensori come sopra indicati.

Quanto all’altro profilo di inammissibilità, esso pure deve essere disatteso, si osserva, infatti, che la previsione da parte della contrattazione collettiva dell’indennità di trasferta ha costituto dato non controverso nelle fasi di merito, e che lo stesso Tribunale ha riconosciuto come pacifico, tanto che ha dato atto come, nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente aveva sostenuto che l’indennità di trasferta non era neppure dovuta siccome non aderente (il datore di lavoro) alle associazioni stipulanti il contratto collettivo del settore che tale indennità prevedeva.

Col motivo di annullamento l’INPS deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della L. 153 del 30.4.1969, nonché dell’art. 1 della legge 7 dicembre 1989. n. 389. Vizio di motivazione (art. 360 cpc. n. 3 e 5).

Sostiene che l’art. 1 della legge 389/89 cit. è innovativo, rispetto alla norma di cui all’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, per quel che attiene al limite minimo di retribuzione contributiva, avendolo ragguagliato a quella dovuta per legge, per contratto collettivo o individuale (se migliorativo) e non a quella di fatto, e ciò sulla base dell’autonomia del rapporto contributivo – previdenziale, rispetto al rapporto di lavoro.

Si sarebbero così introdotti semplici termini di riferimento ai fini del versamento dei contributi, sollevando l’Istituto di previdenza dall’onere di dimostrare l’adesione dell’imprenditore alla contrattazione collettiva.

A sostegno di tale interpretazione, il ricorrente ha addotto i lavori preparatori della legge 7 dicembre 1989 n. 389 dai quali risultava l’intento di contrastare l’evasione contributiva legata all’inosservanza dei minimi contributivi da parte dei datori di lavoro non iscritti alle associazioni stipulanti, mediante introduzione di parametri certi dell’obbligo contributivo: trattandosi di parametri, risultava superata la riflessione del Tribunale secondo cui dalla prospettata interpretazione del dato normativo sarebbe derivata l’introduzione dell’obbligatorietà erga omnes dei contratti collettivi.

D’altro lato, il corrispondente obbligo contributivo del lavoratore comportava, a vantaggio di quest’ultimo, un consistente incremento della retribuzione pensionabile.

Il motivo è fondato.

Questa Corte suprema con la pronuncia in data 28 ottobre 1999, n. 12122, ha affermato che in materia di determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi dell’assicurazione obbligatoria, la prescrizione dell’art 1 del D.L. 9 ottobre 1989 n. 338, convertito in legge 7 dicembre 1989 n. 389, deve essere interpretata nel senso che essa, con portata innovativa, ha aggiunto al previgente principio secondo cui l’imponibile si determina sul dovuto e su quanto di fatto erogato, il nuovo ed ulteriore criterio del minimale contributivo.

Ne consegue che, secondo la suddetta normativa, gli accordi collettivi diversi da quelli stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (ad esempio gli accordi aziendali) ovvero gli accordi individuali hanno rilevanza ai fini contributivi soltanto quando determinano una retribuzione superiore alla misura minima stabilita dal contratto, in caso contrario restano irrilevanti e la contribuzione va parametrata al minimo suddetto.

Il Collegio ritiene di dover aderire a tale indirizzo, superando quello, non coincidente, enunciato da questa Corte in altre, pur recenti, sentenze (v. Cass. 11 agosto 1999, n. 8620; 4 marzo 1997, n. 1898 e, in senso solo parzialmente difforme Cass. 22 maggio 1999, n. 5002), in quanto saldamente fondato sulla considerazione, anzitutto, del tenore letterale dell’art. 1 della legge 7 dicembre 1989 n. 389 (applicabile alla fattispecie concernente contributi dovuti dal gennaio 1989 al 31 dicembre 1992, giacché il primo di vari decreti legge non convertiti, recanti identica disposizione, è quello del 30 dicembre 1988, n. 548, la cui efficacia è stata fatta salva dall’art. 1, comma secondo, della legge di conversione n. 389/1989 cit.); il testo normativo non consente, infatti, di ritenere che i contributi siano dovuti sulla somma corrisposta o pattiziamente concordata dal datore di lavoro (non aderente alle organizzazioni stipulanti del contratto collettivo) al lavoratore.

Ha osservato, inoltre, la Corte con la citata sentenza, n. 8620 del 1999 che l’obbligatorietà del minimo contributivo non è condizionata dalla norma alla applicazione dei contratti collettivi (a differenza della diversa disposizione dell’art. 6, nono comma, della stessa legge in materia di fiscalizzazione di oneri sociali). Diversi, poi, sotto il profilo funzionale, sono la retribuzione imponibile e il minimale retributivo ai fini contributivi.

In materia di retribuzione imponibile, l’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 e l’attuale art. 6 del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, pur fondati tendenzialmente sul concetto di retribuzione in senso onnicomprensivo, distinguono, tra le varie erogazioni spettanti, quali debbano computarsi ai fini contributivi e quali debbano esserne escluse.

L’art. 1 della legge 7 dicembre 1989 n. 389 persegue, invece, il fine di determinare un imponibile minimo quale base contributiva al di sotto della quale non è possibile scendere, indipendentemente dalla circostanza eventuale che la retribuzione concretamente dovuta e pagata dal datore di lavoro sia inferiore.

Ed è significativo che l’art. 6 del D.Lgs. 2 settembre 1997 n. 314 è rubricato come determinazione del reddito da lavoro dipendente ai fini contributivi, l’art. 1 della legge 7 dicembre 1989 n. 389 va sotto la rubrica retribuzione imponibile, accreditamento della retribuzione settimanale e limite minimo di retribuzione imponibile e non fa riferimenti alcuno alla retribuzione effettivamente ricevuta dal lavoratore, ma statuisce che quella imponibile non può essere inferiore all’importo stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, ecc..

L’art. 1 non ha quindi un mero contenuto interpretativo, avendo introdotto il nuovo criterio del minimale contributivo che può identificarsi con la retribuzione dovuta solo se superiore a quella derivante dalle altre fonti indicate dalla norma.

Di particolare significato è il riferimento della norma ai contratti aziendali i quali possono derogare in peius quelli nazionali: anche in tale ipotesi, tuttavia, la base contributiva è data dalla retribuzione spettante in forza del contratto nazionale.

Si tratta di parametro più idoneo, nell’intento del legislatore, alla tutela assicurativa del lavoratore ed a garantire (evitando il fenomeno dell’evasione contributiva) l’equilibrio finanziario della gestione.

Da tali enunciati, in ragione dell’autonomia del rapporto di lavoro da quello previdenziale, deriva anche che l’istituzione del minimale contributivo così come detto determinato non incide sul diverso problema dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune.

A conferma di tali argomenti, la Corte ha anche considerato che la successiva legge 28 dicembre 1995, n. 549 (art. 2, comma venticinquesimo), inserendosi nell’alveo di tale disciplina, dispone che in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative della categoria.

Dandosi così per presupposta l’eventualità di una retribuzione dovuta per contratto diversa dalla retribuzione imponibile ai fini contributivi. Nello stesso senso si colloca l’art. 29 del D.L. 23 giugno 1995, n. 244, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1995, n. 341, che assume a parametro contributivo un orario di lavoro non inferiore a quello normale stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni più rappresentative su base nazionale.

Nel settore agricolo, peraltro, già l’art. 28 del DPR 27 aprile 1968, n. 488 determinava la retribuzione utile ai fini contributivi in base alle retribuzioni dei contratti collettivi annualmente vigenti per provincia.

Ha ritenuto questa Corte con la sentenza ora in esame che l’imponibile minimo ex lege n. 389/1989 comprende tutte le erogazioni previste dalla contrattazione collettiva nazionale (e non i soli minimi), ancorché non corrisposte.

Con ultimo, significativo rilievo, la Corte ha sottolineato che il legislatore, consapevole dell’onerosità della norma per le imprese, ha sospeso nei territori meridionali l’efficacia della legge ult. cit. consentendo contratti di riallineamento retributivo stipulati con le organizzazioni sindacali per una applicazione graduale del contratto collettivo anche ai fini contributivi (art. 5 legge 28 novembre 1996, n. 608, modificato dall’art. 23 della legge 24 giugno 1997, n. 196 ed ulteriormente modificato dall’art. 45 comma 20, della legge 17 maggio 1999, n. 144).

Col ricorso incidentale condizionato lo Zampieri, pur dando atto che è inammissibile, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il ricorso incidentale condizionato nel caso di soccombenza puramente teorica, ripropone le questioni non esaminate dal Tribunale in quanto ritenute assorbite e deduce, col primo motivo, l’inesistenza dell’illecito amministrativo per difetto dell’elemento psicologico (dolo o colpa) e sostiene, col secondo motivo, che comunque egli non sarebbe sanzionabile per essere caduto in errore sul fatto.

Il ricorso è inammissibile in quanto entrambi i motivi comportano l’esame di dati fattuali neppure posti in luce nel ricorso, che avrebbero dovuto comprovare l’assenza di dolo o colpa o la sussistenza. dell’errore sulla liceità del fatto (cfr. Cass.2 febbraio 1996, n. 911; 11 febbraio 1999, n. 1142), non consentito in sede di legittimità.

Si rileva, inoltre, da un lato, che di siffatte deduzioni il Tribunale non ha dato atto e che comunque su di esse, pur se eventualmente riproposte in grado di appello dalla parte totalmente vittoriosa in primo grado, il Tribunale non era tenuto a pronunciare in quanto (come riconosce lo stesso ricorrente incidentale) assorbite dalla statuizione in diritto circa la non assoggettabilità in radice a contribuzione dell’indennità di trasferta (cfr. Cass. 15 maggio 1996, n. 4498; 23 novembre 1999, n. 12984; 22 gennaio 2000, n. 702), talché le medesime – non costituenti questioni preliminari o pregiudiziali implicitamente rigettate, per le quali soltanto vi sarebbe stata necessità di impugnazione incidentale, ma soltanto di questioni assorbite da altro capo della decisione del Tribunale per le quali era sufficiente la loro riproposizione al giudice di appello – potranno essere eventualmente esaminate dal giudice di rinvio (cfr. Cass. 18 giugno 1997, n. 5438).

In conclusione, assorbito ogni altro profilo di censura, mentre deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, deve essere accolto quello principale; la sentenza impugnata deve essere annullata e la causa deve essere rinviata per nuovo esame ad altro giudice equiordinato, designato in dispositivo, al quale é opportuno demandare altresì la statuizione sulle spese processuali.

(Omissis)

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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