Cass. pen., sez. I 10-06-2009 (09-06-2009), n. 23866 – Pres. SILVESTRI Giovanni – P.M. Trib. Mondovì c. V.P. REATI CONTRO L’ORDINE PUBBLICO – Esercizio di mestieri rumorosi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO
1. – Con sentenza in data 8/5/- 3/8/2007 il Tribunale di Mondovì dichiarava V.P. – amministratore delegato dell’impresa costruzioni Interstrade s.p.a. con ampi poteri decisionali in materia di ambiente – colpevole della contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., comma 1 e lo condannava, con le attenuanti generiche, alla pena, condonata, di Euro 200,00 di ammenda, oltre al risarcimento del danno a favore delle parti civili S. e St., da liquidarsi in separato giudizio.
Il Tribunale riteneva integrati nell’utilizzo (pur preesistente a taluni insediamenti residenziali sorti successivamente) delle attrezzature e degli impianti di frantumazione della cava, gestita da detta impresa sulla base di autorizzazione comunale del 9/7/1997, e nell’effettivo disturbo alle occupazioni e al riposo arrecato alle persone residenti nella zona interessata, impegnate nell’esercizio di un’azienda agrituristica, gli elementi costitutivi dell’attività rumorosa intollerabile, perciò penalmente rilevante (in (OMISSIS), sino al (OMISSIS) e successivamente – consumazione in atto -, come da contestazione suppletiva all’udienza del 29/11/2006).
Dal punto di vista probatorio il giudice di merito valorizzava a carico dell’imputato talune deposizioni testimoniali, le dichiarazioni delle denunzianti St. e S., gli esiti della perizia C. e dei rilievi fonometrici in punto di accertato superamento, nonostante la tipicità delle lavorazioni svolte e l’assenza di zonizzazione acustica, almeno fino al 2004 – prima dell’adozione del piano di zonizzazione e di destinazione industriale dell’area -, dei limiti differenziali di rumore, oltre tre volte superiore rispetto al parametro di tollerabilità di 5 decibel fissato dal D.P.C.M. 1 marzo 1991, art. 6, comma 2 ritenuti applicabili.
Il Tribunale assolveva dal medesimo reato per non aver commesso il fatto i coimputati G.B., G.M., T., M.E., M.D., D. e Mu., siccome semplici componenti del consiglio di amministrazione o direttori tecnici della società.
Assolveva inoltre tutti gli imputati dal reato di cui all’art. 659 c.p., comma 2 perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato, sul rilievo che, oltre il superamento dei limiti differenziali di rumore fino al 2004, non era stata accertata l’eccedenza degli altri limiti e prescrizioni stabiliti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 e dal D.P.C.M. 14 novembre 1997 nell’utilizzo delle attrezzature e degli impianti della cava, la cui area era stata collocata in zona 6 – destinazione industriale con rumore massimo consentito pari a 70 decibel – dal piano di zonizzazione acustica adottato dal Comune di (OMISSIS) il 15/7/2004, sebbene annullato dal T.A.R. Piemonte con sentenza n. 8 del 2007. 2. – Avverso tale sentenza ha proposto impugnazione la difesa dell’imputato, che ha censurato con plurimi motivi di gravame sia i profili fattuali del carattere rumoroso dell’attività produttiva esercitata, sia la qualificazione criminosa del fatto, nel quale sarebbero invece ravvisabili gli estremi dell’illecito amministrativo di cui alla L. n. 447 del 1995, art. 10 trattandosi comunque di rumori non diversi e maggiori di quelli correlati alla tipicità delle lavorazioni.
Il ricorrente ha anche dedotto l’erronea determinazione del momento consumativo del reato per essere state contestate solo le condotte antecedenti alla data di emissione del decreto di citazione del 18/6/2004, non anche quelle successive a titolo di reato permanente.
Ha proposto altresì appello (qualificato come ricorso per cassazione) il P.M., il quale, da un lato, sostiene la tesi del concorso delle due fattispecie di cui all’art. 659 c.p., commi 1 e 2 laddove si accerti l’abuso o l’uso smodato dei mezzi di esercizio di un’attività fisiologicamente rumorosa, e dall’altro insiste per l’affermazione di responsabilità degli altri coimputati in assenza di puntuali deleghe al V., denunciando infine l’esiguità della pena inflitta e l’erronea applicazione dell’indulto ex L. n. 241 del 2006 per un reato permanente la cui consumazione era in atto al momento della pronuncia della sentenza.
3. – Per una ponderata valutazione delle questioni fattuali e giuridiche controverse, oggetto delle rispettive impugnazioni del P.M. e dell’imputato, sembra opportuno prendere le mosse dal quadro normativo di riferimento, costituito, per un verso, dall’art. 659 c.p. in tema di disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone (il cui comma 2 sanziona, in particolare, l’esercizio di "una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorità"), e per altro verso dalla L. 26 ottobre 1995, n. 447, legge quadro sull’inquinamento acustico.
Stabilisce quest’ultima legge, all’art. 10, comma 2 (modif. dalla L. 9 dicembre 1998, n. 426, art. 4), che:
"Chiunque, nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori limite di emissione o di immissione di cui all’art. 2, comma 1, lett. e) e f), fissati in conformità al disposto dell’art. 3, comma 1, lett. a), è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 516,00 a Euro 5164,00".
I valori limite differenziali di immissione sono stati poi fissati dal D.P.C.M 14 novembre 1997, art. 4, determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore, nei seguenti termini:
I valori limite differenziali di immissione, definiti dalla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 2, comma 3, lett.a b) sono:
5 dB per il periodo diurno e 3 dB per il periodo notturno, all’interno degli ambienti abitativi.
Tali valori non si applicano nelle aree classificate nella classe 6^ della tabella A allegata al presente decreto.
2. Le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano nei seguenti casi, in quanto ogni effetto del rumore è da ritenersi trascurabile:
a) se il rumore misurato a finestre aperte sia inferiore a 50 dB(A) durante il periodo diurno e 40 dB(A) durante il periodo notturno;
b) se il livello del rumore ambientale misurato a finestre chiuse sia inferiore a 35 dB(A) durante il periodo diurno e 25 dB(A) durante il periodo notturno.
3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alla rumorosità prodotta:
dalle infrastrutture stradali, ferroviarie, aeroportuali e marittime;
da attività e comportamenti non connessi con esigenze produttive, commerciali e professionali;
da servizi e impianti fissi dell’edificio adibiti ad uso comune, limitatamente al disturbo provocato all’interno dello stesso".
Lo stesso decreto, con l’apposita norma transitoria dell’art. 8, prevede che:
"In attesa che i comuni provvedano agli adempimenti previsti dalla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 6, comma 1, lett. a) si applicano i limiti di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991, art. 6, comma 1. 2. Il superamento dei limiti di cui al precedente comma 1, comporta l’adozione delle sanzioni di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 10 fermo restando quanto previsto dal comma 5 dello stesso articolo".
L’art. 6, richiamato D.P.C.M. 1 marzo 1991, limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno, stabilisce, a sua volta, che:
"1. In attesa della suddivisione del territorio comunale nelle zone di cui alla tabella 1, si applicano per le sorgenti sonore fisse i seguenti limiti di accettabilità:
Zona esclusivamente industriale (OMISSIS);
2. Per le zone non esclusivamente industriali indicate in precedenza, oltre ai limiti massimi in assoluto per il rumore, sono stabilite anche le seguenti differente da non superare tra il livello equivalente del rumore ambientale e quello del rumore residuo (criterio differenziale): 5 dB (A) per il Leq (A) durante il periodo diurno: 3 DB (A) per il Leq (A) durante il periodo notturno.
La misura deve essere effettuata nel tempo di osservazione del fenomeno acustico negli ambienti abitativi.
3. Le imprese possono avvalersi della facoltà di cui all’art. 3". 4. – Tanto premesso, ritiene innanzitutto il Collegio che il ricorso del P.M., con riguardo alla pretesa responsabilità dell’imputato anche per la concorrente ipotesi di reato di cui all’art. 659 c.p., comma 2 oggetto di contestazione suppletiva all’udienza del 29/11/2006, sia infondato.
La contravvenzione de qua è stata contestata dal P.M. e qualificata dal giudice di merito come violazione del capoverso dell’art. 659, sotto il profilo dell’accertato superamento dei limiti differenziali delle emissioni o immissioni sonore di cui ai D.P.C.M. 1 marzo 1991 e 14 novembre 1997 (inapplicabili agli impianti produttivi a ciclo continuo, anche se posti in aree non esclusivamente industriali: v.
Cons. Stato, Sez. 4^, 18/2/2003, n. 880, in Foro It. 2003, 3^, 553), e non della violazione di altre prescrizioni di legge o regolamentari diverse da quelli relativi all’intensità del rumore, o di specifiche prescrizioni dell’autorità amministrativa per l’esercizio dell’attività rumorosa, mediante abuso o uso smodato degli impianti con produzione di rumori aggiuntivi rispetto a quelli tipici.
Pertanto, da un lato sembra incontrovertibile l’inapplicabilità di limiti differenziali per le condotte attuate in costanza del piano di zonizzazione acustica (adottato nel 2004, sebbene annullato nel 2007 dal T.A.R. Piemonte), in virtù del legittimo affidamento che nelle more di vigenza e validità del piano la soc. Interstrade ha fatto, sulla base della collocazione amministrativa dell’insediamento nella classe 6 relativa alle attività industriali, per le quali il limite assoluto di accettabilità del rumore è pari a 70 decibel.
Dall’altro, per il periodo di attività anteriore alla zonizzazione del 2004, la fattispecie prevista dall’art. 659, comma 2 a differenza di quella prevista dal comma 1, deve intendersi (per ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte) parzialmente depenalizzata, in forza del principio di specialità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9 laddove si accerti, come nella specie, la perfetta identità fattuale della violazione contestata ai sensi della menzionata norma del codice penale e di quella sanzionata solo in via amministrativa (superamento dei limiti di rumore differenziale nel periodo transitorio, sempre che non si tratti di impresa produttiva a ciclo continuo), in forza della L. 26 ottobre 1995, n. 447, Legge quadro sull’inquinamento acustico, cit. art. 10, comma 2.
Ne consegue, come ha esattamente rilevato il giudice di merito, che quel fatto non è previsto dalla legge come reato.
5. – E però, è stata esplicitamente contestata all’imputato la concreta violazione, non solo del capoverso dell’art. 659 c.p. sotto il profilo dell’accertato superamento dei limiti differenziali di rumore di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991 e al D.P.C.M. 14 novembre 1997, ma anche del precetto di cui al comma 1 della medesima norma, che, ad avviso del giudice di merito e di un significativo indirizzo giurisprudenziale di legittimità, coesiste e concorre con l’altra violazione, laddove sia data prova che l’uso di strumenti rumorosi abbia altresì arrecato effettivo disturbo al riposo ed alle occupazioni delle persone in misura intollerabile.
E’ indubbio che la contravvenzione prevista dal primo comma dell’art. 659 c.p. non è stata depenalizzata a seguito dell’approvazione della L. n. 447 del 1995, ostando a tale interpretazione considerazioni di natura letterale e logica: in primo luogo, la disposizione codicistica riguarda gli effetti negativi della rumorosità, mentre la L. n. 447 del 1995, art. 10, comma 2 prende in considerazione solo il superamento di una certa soglia di rumorosità;
in secondo luogo, diverso è lo scopo delle due norme, mirando la prima a preservare la quiete e la tranquillità pubblica e i correlati diritti delle persone all’occupazione e al riposo, l’altra invece la salubrità ambientale e la salute umana, contenendo i limiti di rumorosità delle sorgenti sonore e prescindendo dall’accertamento di un effettivo disturbo alle persone.
Ritiene peraltro il Collegio che il mero criterio teleologia), costituito dalla distinzione delle finalità perseguite dalle due norme, non debba essere sopravvalutato (attesa l’obiettiva prossimità degli scopi e degli eventi dal punto di vista valoriale) e non sia perciò in grado di paralizzare l’applicazione del principio di specialità, quando non sia controversa – come nella specie – l’identità strutturale del contenuto dell’illecito, penale e amministrativo, perchè la violazione contestata consiste pur sempre nel mero superamento dei parametri differenziali di rumore consentiti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991, art. 6, comma 2 (richiamato dal D.P.C.M. 14 novembre 1997 per le aree non esclusivamente industriali), considerato generativo di un fenomeno d’inquinamento acustico e punito con uno speciale apparato sanzionatorio di natura amministrativa L. n. 447 del 1995, ex art. 10, comma 2.
S’intende, in altri termini, affermare il principio di diritto per il quale, nell’ipotesi di esercizio di "una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autoritè" la carica di lesività del bene giuridico protetto da entrambe le disposizioni della norma incriminatrice – la quiete e la tranquillità pubblica – è presunta ope legis ed è racchiusa, per intero, nel precetto dell’art. 659 c.p., comma 2 che tuttavia cede di fronte alla configurazione dello speciale illecito amministrativo di cui alla L. n. 447 del 1995, art. 10, comma 2 laddove l’inquinamento acustico si concretizzi nel mero superamento dei limiti massimi o differenziali di rumore fissati dalle leggi e dai decreti presidenziali in materia.
Qualora l’illecito penale non si diversifichi oggettivamente da quello amministrativo almeno per qualche aspetto fattuale, ulteriore e diverso, e si verifichi invece la sovrapponibilità tra i due tipi di condotta, la coesistenza e l’eventuale concorso dei due apparati sanzionatoli, penale e amministrativo, potrebbe invero generare aspetti di manifesta irrazionalità del sistema, consentendosi surrettiziamente la riespansione dell’illecito penale previsto dal primo comma della norma codicistica, nonostante la sostanziale identità del fatto e la stretta affinità dei valori e dei beni meritevoli di tutela.
E ciò, inoltre, nell’ambito di un’attività legittimamente autorizzata ed esercitata sul territorio, nel pieno rispetto di ogni altra specifica prescrizione (concernente gli orari consentiti, l’adozione di particolari accorgimenti tecnici e simili) imposta dalla competente autorità comunale per l’esercizio dell’attività industriale rumorosa de qua, di guisa che non residua comunque spazio applicativo alcuno per la fattispecie criminosa di cui all’art. 659 c.p., comma 2.
Va osservato, infine, in merito all’interferenza della disciplina codicistica con la normativa pubblicistica di settore, la portata della novella legislativa di cui al D.L. n. 208 del 2008, art. 6 ter inserito con la Legge di conversione n. 13 del 2009, secondo cui "per accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell’art. 844 c.c., sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso".
Risulta così circoscritta l’ampiezza della discrezionalità del giudice civile nella valutazione di quest’ultime circostanze, quali limiti di liceità delle immissioni, accanto alla condizione dei luoghi e al contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà.
Il che non può non rilevare nel caso in esame, in cui si e contestato all’imputato, sotto il profilo della violazione del disposto dell’art. 659 c.p., comma 1 che le emissioni sonore, oltre ad eccedere i limiti di rumorosità previsti dai citati decreti presidenziali del 1991 e del 1997, superavano anche il limite della normale tollerabilità, mentre è stata processualmente accertata (teste Ba.), per contro, la preesistenza dell’impianto industriale della soc. Interstrade rispetto a taluni insediamenti residenziali, fra cui quello agrituristico delle persone offese, sorti solo successivamente.
6. – Alla stregua delle suesposte riflessioni merita accoglimento il ricorso dell’imputato (restando quindi assorbiti i motivi di gravame del P.M. circa la responsabilità degli altri coimputati, l’esiguità della pena inflitta e l’erronea applicazione dell’indulto), con riguardo alla statuizione di condanna per il reato di cui all’art. 659 c.p., comma 1 di cui va disposto l’annullamento senza rinvio perchè il fatto non sussiste, essendo la specifica condotta contestata identica e assorbita nell’imputazione di cui allo stesso art. 659, comma 2 configurabile peraltro come illecito amministrativo e punita con le sanzioni previste dalla L. n. 447 del 1995, art. 10, comma 2.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente alla statuizione di condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 659 c.p., comma 1, perchè il fatto non sussiste.
Rigetta il ricorso del P.M..

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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