Cass. pen., sez. I 24-06-2009 (17-06-2009), n. 26203 – Pres. SILVESTRI Giovanni – Est. BARBARISI Maurizio – C.V. ESECUZIONE – Limiti di pena – Riduzione per indulto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza in data 8 gennaio 2009, depositata in cancelleria il 12 gennaio 2009, il Tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta nell’interesse di C.V. volta a richiedere la sospensione ex art. 656 c.p.p., comma 5 dell’ordine di esecuzione delle pene concorrenti di cui al provvedimento n. 640/2008 emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. Il giudice argomentava che l’indulto non opera direttamente sulle norme processuali e sull’ordine di esecuzione, una volta legittimamente emesso, continuando a produrre i suoi effetti, senza possibilità di revoca.
2. – Avverso il citato provvedimento tramite il proprio difensore avv. Mauro Dezio, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione C.V. chiedendo l’annullamento per il seguente profilo:
– nullità dell’ordinanza per erronea applicazione dell’art. 656 c.p.p., comma 4 e art. 183 c.p. e per difetto e illogicità della motivazione con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); il Pubblico Ministero, nell’emettere l’ordine di esecuzione delle pene concorrenti, non aveva tenuto conto del fatto che, per effetto della riduzione conseguente all’applicazione dell’indulto L. n. 241 del 2006, la pena residuale, inferiore ai tre anni, avrebbe consentito la sospensione dell’esecuzione.
OSSERVA IN DIRITTO
3. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento: l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
3.1. – La questione giuridica posta in esame può così sintetizzarsi: se, nell’emettere l’ordine di esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva il Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 5, ne debba ordinare la sospensione nella ipotesi in cui il "residuo di maggior pena" da eseguire costituisca la differenza tra la sanzione inflitta con la sentenza in esecuzione e il beneficio dell’indulto non ancora concretamente concesso, ma comunque dovuto al momento del provvedimento in executivis. Ritiene il Collegio che al quesito appena formulato debba darsi risposta positiva.
La disciplina introdotta con la L. 27 maggio 1998, n. 165, che, come è noto, ha innovato l’art. 656 c.p.p., comma 5 ha inteso rendere di maggiore razionalità (e quindi più equo) il sistema esecutivo delle carcerazioni, impedendo l’ingresso in carcere dei condannati in grado di ottenere l’ammissione a una misura alternativa alla detenzione, in ciò dovendosi riconoscere, senza incertezze, la ratio delle nuove regole (Cass., Sez. 1, 12 novembre 2008, n. 44323, Pocher, rv.
242463; Sez. 1, 27 gennaio 2005, n. 4845). La disposizione in esame, infatti, allorchè dispone la disciplina di favore con riferimento a condanne entro un certo tempo, "anche se residuo di maggior pena", trova una sua coerenza giuridica proprio in ciò.
3.2. – Occorre inoltre rilevare che al momento dell’emissione dell’ordine di esecuzione era già entrato in vigore la legge concessiva dell’indulto ex L. n. 241 del 2006 che dava diritto al condannato, ai sensi dell’art. 183 c.p. (che dispone che le cause di estinzione del reato e della pena operino nel momento in cui intervengono) di fruire di tale causa estintiva nel momento stesso in cui si è realizzata, indipendentemente dal provvedimento applicativo del giudice avente natura meramente ricognitiva della sussistenza della precondizione per l’ammissione al beneficio.
3.3. – Nel caso in esame non può revocarsi in dubbio allora che il ricorrente, all’epoca della esecuzione dell’ordine di carcerazione, aveva pieno diritto a vedersi applicare il beneficio dell’indulto, giacchè sin da allora erano sussistenti tutte le condizioni di legge per il relativo riconoscimento. Da ciò consegue che al ricorrente, al momento dell’esecuzione della sentenza di condanna, andava applicata la disciplina di favore. Diversamente opinando, infatti, si perverrebbe alla conclusione irragionevole che posizioni giuridiche identiche subirebbero procedure esecutive diverse con il mutar del tempo in cui viene dichiarato ciò che già esiste nel novero dei diritti individuali ed è appena il caso di osservare che il tempo del riconoscimento (in luogo di quello dell’insorgenza del diritto) in quanto incerto e mutabile, non può assumere valore di termine assoluto per negare facoltà e diritti già presenti nella realtà giuridica e sociale.
3.4. – Peraltro va osservato che al Pubblico Ministero, che cura l’esecuzione di una sentenza di condanna, è concessa a norma dell’art. 672 c.p.p., comma 3 la facoltà di disporre la provvisoria liberazione del detenuto e quindi la possibilità di anticipare gli effetti del provvedimento del giudice di applicazione del condono e ciò al fine di evitare l’inutile sottoposizione del condannato medesimo alla privazione della libertà personale durante le more dell’emissione di quel provvedimento. Applicando lo stesso principio va riconosciuta la possibilità al Pubblico Ministero di esercitare in via interinale il potere di sospendere, ai sensi dell’art. 656 c.p.p. citato, l’ordine di carcerazione non ancora eseguito alla data di entrata in vigore della legge concessiva se l’entità della pena, residuabile dall’applicazione demenziale, sia inferiore a tre anni di reclusione.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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