Cass. pen., sez. VI 28-05-2009 (08-05-2009), n. 22456 – Pres. AGRO’ Antonio S. – R.A. INDAGINI PRELIMINARI – Dichiarazioni che costituiscono la condotta materiale di altro reato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Ancona, a seguito di impugnazione di R.A., ha confermato la sentenza del 9 giugno 1998 del Tribunale di Fermo, che aveva condannato il medesimo per il reato di calunnia, perchè, con dichiarazione resa ai carabinieri di Fermo in data 2 novembre 1994, accusava V. M., sapendolo innocente, del reato di ricettazione affermando che il medesimo gli aveva consegnato l’assegno bancario n. (OMISSIS) tratto sul c.c. (OMISSIS) della Cassa Rurale e Artgiana di Ancona di L. 940.000, provento di furto consumato in danno di L.N., titolo che l’imputato aveva consegnato nel (OMISSIS) a A. G. (come da quest’ultimo dichiarato) in pagamento dell’acquisto di calzature. Il V., peraltro, aveva affermato di non conoscere nè il R. nè l’A..
Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avvocato Francesca Palma, che deduce i seguenti motivi. 1) Nullità dell’ordinanza dichiarativa della contumacia per mancanza di regolare notifica del decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale. 2) Violazione degli artt. 64 e 350 c.p.p. perchè l’imputato avrebbe dovuto essere sentito ai sensi delle norme anzidette, mentre era stato sentito senza l’assistenza del difensore quando erano in corso indagini su di lui per i reati di cui agli artt. 476, 482, 485 e 648 c.p.: doveva, pertanto, conseguirne l’inutilizzabilità delle dichiarazioni. 3) Erronea applicazione dell’art. 368 c.p. e carenza di motivazione per non avere ritenuto scriminata ex art. 51 c.p. la condotta. La dichiarazione resa ai carabinieri non necessariamente attribuiva al V. i reati di furto o ricettazione, perchè ben avrebbe potuto quest’ultimo ricevere il titolo in buona fede. Comunque, la dichiarazione era resa nell’ambito del diritto di difesa, perchè quando era stato interrogato avrebbe dovuto ammettere di essersi procurato l’assegno in prima persona, finendo per dover confessare di essere responsabile del furto. 4) Erronea qualificazione del reato e manifesta illogicità sul punto, perchè la condotta dell’imputato avrebbe potuto ritenersi di implicita attribuzione al V. del reato di cui all’art. 712 c.p., con conseguente qualificazione del fatto come reato di cui all’art. 370 c.p.. 5) Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p.. Non si giustificava la mancata concessione delle attenuanti generiche in considerazione della scarsa gravità della condotta e in considerazione della volontà dell’imputato di sottrarre se stesso a un processo penale.
6) Illegittimità costituzionale della L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede l’applicabilità del nuovo regime della prescrizione anche in ipotesi di pendenza dell’appello o del ricorso per cassazione alla data di entrata in vigore della legge stessa.
Il primo motivo è infondato. Risulta dagli atti che il decreto che dispone il giudizio di primo grado è stato notificato a mani proprie dell’imputato il 21 ottobre 1996 per l’udienza del 9 ottobre 1997. In tale udienza risulta essere stato presente per il R., in sostituzione del difensore di fiducia, avvocato Francesca Palma, l’avvocato Valeria Montecassino: è stata quindi regolarmente dichiarata la contumacia del R. e l’udienza è stata ulteriormente differita al 9 giugno 1998, con diffida alle parti presenti, o che dovevano ritenersi tali, a comparire senza ulteriore avviso. Nessun’altra notificazione doveva essere eseguita nei confronto del R. o del suo difensore.
Neppure il secondo motivo è fondato. La inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da persona che avrebbe dovuto essere sentita con il difensore ex art. 63 c.p.p., comma 2, artt. 64 e 350 c.p.p., riguarda le dichiarazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini in ordine a fatti costituenti reato compiuti anteriormente alla data in cui le dichiarazioni stesse sono rese, ma non si estende, per questo, ai reati che si commettono rendendo le dichiarazioni in sede di interrogatorio e che potrebbero dare luogo a un procedimento diverso da quello per il quale si procede. Proprio in tema di calunnia, questa Corte ha deciso, in fattispecie identica a quella di cui al presente procedimento, che: "L’inutilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni rese dall’indagato alla polizia giudiziaria è correlata alla imputazione per cui il procedimento è sorto. Ne consegue che sono utilizzabili nel procedimento per calunnia – non potendo venire in rilievo il divieto di documentazione di cui all’art. 350 cod. proc. pen., commi 5 e 6 o il divieto di testimonianza di cui all’art. 62 cod. proc. pen. – le dichiarazioni spontanee (nella specie una denuncia orale di un evento a carattere delittuoso) rese dall’indagato alla polizia giudiziaria su fatti non inerenti all’oggetto dell’indagine già avviata". (Sez. 6, Sentenza n. 15483 del 12/02/2004 Ud. – dep. 01/04/2004, Rv. 229342).
Hanno invece fondamento i motivi di cui ai numeri 3) e 4), che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, limitatamente alla parte in cui censurano l’affermazione contenuta nella sentenza secondo la quale le dichiarazioni dell’imputato avrebbero comunque integrato i reati di furto o di ricettazione in danno di V., senza motivazione alcuna. Non può ritenersi che l’imputato con le sue dichiarazioni abbia attribuito con consapevolezza e volontà i reati di furto o di ricettazione alla persona offesa in tutti i loro elementi costitutivi; attribuzione che non può certo ritenersi in re ipsa. Stando a quel che si legge nella sentenza impugnata – che non indica quali siano le risultanze del titolo sulla parte anteriore e su quella posteriore (firma di traenza, indicazione del beneficiario, firme di girata) e non indica in qual modo il R. abbia circostanziato le affermazioni in danno del V. -, non si comprende per quali ragioni la Corte d’appello abbia ritenuto che il R. abbia attribuito al V. il reato di furto senza specificare quali parti delle dichiarazioni possano essere ritenute indicative in tale senso.
Neppure si comprende perchè abbia affermato che il R. abbia attribuito al V. l’acquisizione del titolo col dolo di ricettazione e non già con l’atteggiamento psicologico dell’incauto acquisto (nel qual caso avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 370 c.p) o addirittura con buona fede: tanto più che, come si ricava dallo stesso tenore della sentenza impugnata, il procedimento penale a carico del V. per il reato di ricettazione, a seguito delle dichiarazioni del R., è stato archiviato dal G.i.p..
La sentenza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia perchè rivaluti le dichiarazioni del R. con riferimento a tutte le circostanze del caso, al fine di stabilire se l’imputato abbia attribuito e abbia voluto attribuire al V. i reati di cui alla contestazione in tutti gli elementi necessari per la loro configurazione. Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Perugia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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