Cass. pen., sez. VI 14-05-2009 (12-05-2009), n. 20369 – Pres. DE ROBERTO Giovanni – P.M. Stabile Carmine – T.F. c. R.C. UDIENZA PRELIMINARE – Condanna alle rifusione delle spese sostenute dall’imputato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO
Con la sentenza in epigrafe, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Sulmona dichiarava non luogo a procedere nei confronti di R.C. in ordine al reato di cui agli artt. 110, 319 e 319 bis c.p., così qualificato il fatto di cui al capo M, originariamente inquadrato nella ipotesi di cui all’art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 7 e art. 317 c.p. in danno di T.F., per non aver commesso il fatto.
Con la stessa sentenza, veniva disposta la trasmissione degli atti al pubblico ministero per le proprie determinazioni in ordine al reato di corruzione attiva, ex art. 321 c.p., prospettabile a carico del T..
Nella richiesta di rinvio a giudizio era stato addebitato al R. di avere, in concorso con il defunto sindaco di (OMISSIS), V.C., indotto il costruttore T., che intendeva completare la edificazione di un fabbricato in zona (OMISSIS) oggetto di controversie edilizie e urbanistiche, ad accettare una proposta transattiva comportante l’accollo delle spese legali e tecniche sostenute dal Comune, l’esecuzione di lavori di consolidamento previo acquisto dell’area di proprietà comunale nonchè di quelli relativi al raddoppio di un sottopasso ferroviario, questi ultimi da affidare ad altra ditta, il conferimento a intermediatori vicini al sindaco dell’incarico di commercializzazione degli appartamenti, la revoca della costituzione di parte civile in un procedimento penale pendente a carico del sindaco e altro.
Il G.u.p. riteneva che a detta condotta, svolta su basi paritarie tra il sindaco e il T., e quindi qualificabile nell’ambito della fattispecie della corruzione, fosse rimasto estraneo il R., con conseguente esito liberatorio; mentre doveva essere valutata da parte del p.m. la posizione del T. ai sensi dell’art. 321 c.p..
Ricorre la parte civile T.F., a mezzo del difensore avv. Luigi Di Massa, che denuncia, con un unico motivo, la violazione dell’art. 425 c.p.p. e il vizio di motivazione in punto di esclusione degli elementi di prova a carico del R., osservando che tutti i dati processuali, puntualmente esposti nella sentenza impugnata, dimostravano il pervicace e costante disegno criminoso posto in essere dal R. in accordo con il suo stretto amico V. ai danni del T., perseguito in ogni modo con azioni amministrative e giudiziarie tra loro concordate, anche attraverso falsificazioni e il coinvolgimento di dipendenti comunali; condotta che, contrariamente a quanto ritenuto dal G.u.p., integrava un atteggiamento prevaricatore e quindi di tipo concussivo, e che era perdurata, in piena sintonia tra i due, sino alla messa a punto dell’oneroso accordo transattivo imposto da ultimo al costruttore, con il beneplacito del R., dal cui avallo il sindaco mostrava chiaramente, stando al tenore delle conversazioni intercettate, di non poter prescindere.
Osserva ancora il ricorrente che in ogni caso, anche ammettendo l’esistenza di indizi di segno contrario, la regola di giudizio sottesa all’art. 425 c.p.p. imponeva al giudice la devoluzione della tesi accusatoria alla sede dibattimentale.
I difensori dell’imputato, avvocati Michele Lioi e Bruno Leuzzi hanno depositato memorie, corredate da documenti, con le quali chiedono che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato.
DIRITTO
Va premesso che nell’economia del presente giudizio di legittimità, considerata anche la peculiare natura della sentenza impugnata, emessa a norma dell’art. 425 c.p.p. e non all’esito di un giudizio sulla responsabilità penale, non ci si deve occupare del punto relativo alla oggettiva rilevanza penalistica della condotta contestata nè dell’esatta qualificazione giuridica di essa (concussione da parte del sindaco V. e del R. in danno del costruttore T. ovvero corruzione intervenuta tra il sindaco e il costruttore), dato che la ragione della pronuncia liberatoria sta nella ritenuta estraneità del R. alla condotta riassunta nel capo M valutazione che, nei termini posti dalla sentenza impugnata, manterrebbe la sua validità anche nella ipotesi in cui il giudicante avesse ritenuto corretta l’originaria qualificazione del fatto o, perfino, qualora avesse escluso, sul piano oggettivo, la sua riconducibilità a una fattispecie criminosa.
Nella sentenza impugnata, dopo una esauriente e particolareggiata esposizione della intera vicenda amministrativa e giudiziaria relativa ai rapporti della Immobiliare D’aurora s.r.l. con l’amministrazione comunale di (OMISSIS) per il completamento di un fabbricato in località (OMISSIS), e dei tormentati rapporti intercorsi, da un lato, tra l’amministrazione, e in particolare il sindaco V.C., cui si era affiancato R.C., presidente del Codacons, e dall’altro. T.F., subentrato nelle quote della società D’Aurora, si osserva che per ciò che attiene alla condotta specificamente descritta nel capo M nessun elemento indica un coinvolgimento del R. nelle trattative e poi negli accordi, ritenuti illeciti, intercorsi tra il V. e il T., al fine di porre termine in via transattiva alla controversia insorta tra l’amministrazione e il costruttore in ordine alla rispondenza del fabbricato alle norme urbanistiche e alle esigenze tecnico-costruttive derivanti dalle caratteristiche morfologiche e geologiche del terreno su cui la costruzione insisteva, essendo questa edificata a ridosso di un costone roccioso con delicato equilibrio statico.
In particolare si rileva che, pur avendo il V. e il R. concordemente posto in essere fin dall’inizio ogni iniziativa volta a impedire il completamento del fabbricato, dal contenuto di intercettazioni telefoniche e ambientali si ricava che, a partire dal (OMISSIS), gli accordi finali relativi alla transazione incriminata furono assunti dal sindaco con il T. del tutto autonomamente rispetto all’imputato, il quale anzi venne a un certo punto volutamente estromesso da qualsiasi contatto, tenendosene, da parte del sindaco, iniziative che avrebbero potuto intralciare il perfezionamento dell’accordo.
Tale mutamento di rotta da parte del sindaco viene ragionevolmente interpretato sulla base della esigenza del V. di "rabbonire" il T., che si era costituito parte civile in un procedimento penale a suo carico sempre in relazione alla stessa vicenda (falsa attestazione dell’area di sedime della palazzina), che avrebbe potuto comportare anche pesanti conseguenze di natura patrimoniale che molto preoccupavano il sindaco, come emergeva dai colloqui con il suo legale di cui si da atto nella decisione impugnata. D’altro canto, una sentenza del Consiglio di Stato, depositata il 10 dicembre 2002, pur confermando la mancanza di validi titoli edificatori nell’area in questione, lasciava aperto uno spiraglio di transazione, precisandosi in essa che la situazione di pericolo attuale poteva essere superata con l’adozione degli interventi specificati in una consulenza tecnica.
Indicativo, poi, del mutato atteggiamento del sindaco, è, a partire dal dicembre 2003, data in cui gli accordi transattivi stavano avvicinandosi a maturazione, la rottura di contatti del T. con la p.g., cui fino allora egli aveva denunciato le ritenute soperchierie dell’amministrazione a suo danno.
Infine, risulta dai colloqui intercettati, come esposti nella sentenza impugnata, che alla preoccupazione manifestata dal T. di una interferenza da parte del R., tale da poter turbare i loro accordi, il V. aveva risposto rassicurandolo nel senso che egli aveva il totale controllo della operazione.
Questi essendo i dati di fatto rappresentati in sentenza, ove appaiono annodati da un percorso logico non eccepibile, non si vede su quali basi il ricorrente possa a ragione fondare le sue critiche:
non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 425 c.p.p., perchè il G.u.p. è pervenuto alla conclusione della sicura estraneità dell’imputato al fatto contestatogli; non sussiste alcuna carenza o illogicità della motivazione che infici una simile conclusione, poichè i dati di fatto, non specificamente contestati dal ricorrente, escludono un coinvolgimento del R. nell’accordo transattivo, risolvendosi in una mera illazione o, ancor più, in una violazione del principio di personalità e legalità in materia penale, far derivare tale coinvolgimento da condotte precedenti, autonomamente e separatamente contestate, o dalla generica posizione di ostilità dell’imputato nei confronti della realizzazione edilizia perseguita dal T..
In conclusione, presentando il ricorso censure che si limitano a prospettare una diversa interpretazione delle risultanze processuali, ed essendo le stesse comunque manifestamente infondate, se ne deve dichiarare l’inammissibilità, con conseguente condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in relazione alle questioni dedotte, si ritiene equo determinare in Euro 1.000 (mille).
Il ricorrente deve inoltre essere condannato a rifondere al R., che ne ha fatto richiesta, le spese sostenute in questo giudizio di impugnazione, che si liquidano equitativamente, tenuto conto dell’impegno sostenuto dal medesimo nel resistere al ricorso, in complessivi Euro 2.000, oltre I.V.A. e C.P.A..
Tale ultima statuizione, pur non espressamente prevista dal codice di rito penale, che del resto non contemplava originariamente l’impugnazione della parte civile-persona offesa avverso le sentenze di non luogo a procedere, anche agli effetti penali (v. Sez. un., 29 maggio 2008, D’Eramo), deve essere adottata in base al principio generale di causalità e di soccombenza (v. Sez. un., 25 ottobre 2005, Misiano), di cui sono espressione non solo l’art. 541 c.p.p., comma 2 e art. 592 c.p.p., comma 4, ma, più in generale, l’art. 91 c.p.c., che viene in causa trattandosi di un giudizio di impugnazione che, pur se ispirato da finalità (anche) di ordine penale, è stato comunque promosso ad iniziativa di una parte privata, rimasta soccombente, nei confronti di un’altra.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende nonchè a rimborsare le spese sostenute dal R. che liquida in complessivi Euro 2.000 oltre I.V.A. e C.P.A..

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