Cass. pen., sez. I 23-04-2009 (15-04-2009), n. 17322 REATI CONTRO L’INCOLUMITÀ PUBBLICA – Rigetto della richiesta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe Tribunale di Napoli ha dichiarato R.S. responsabile del reato di cui all’art. 677 c.p., comma 3, contestato come commesso dal giorno (OMISSIS), condannandola alla pena di 200,00 Euro di Ammenda, oltre che al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, con provvisionale immediatamente esecutiva di 10.000,00 Euro, e al rimborso delle spese di costituzione e difesa in favore della parte civile.
1.1. L’imputazione per il quale è intervenuta condanna si iscriveva nell’ambito di più complesse contestazioni, per violazioni urbanistiche e paesaggistiche nonchè per violazioni alla L. n. 380 del 2001, risoltesi con l’assoluzione della R. per le prime e la dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione per le seconde, e consisteva nell’addebito di avere omesso, quale proprietaria dell’immobile e committente dei lavori edilizi ipotizzati abusivi, di provvedere ad effettuare le opere necessarie a fronteggiare il pericolo di rovina dell’immobile come da diffida (OMISSIS).
A ragione della decisione il Tribunale osservava: che alla realizzazione del reato è sufficiente che il proprietario del bene non si attivi per rimuovere le cause del pericolo accertato; che non rilevava l’ignoranza di tale situazione di pericolo, spettando al proprietario di assicurarsi, secondo la normale diligenza, dello stato di conservazione del suo immobile; che neppure occorreva una intimazione dell’autorità, giacchè l’obbligo scaturiva dalla legge;
che nel caso di specie a fronte di una situazione (di un "quadro fessurativo") che appariva preoccupante sin dal 20.5.2004, la R. "proprietaria dell’immobile sul quale erano stati eseguiti abusivamente dei lavori edili, probabile causa del dissesto", e abitante della vicinanze, "avrebbe dovuto tenere sotto costante osservazione la situazione e attivarsi quanto meno dopo l’intimazione del (OMISSIS)"; che invece la stessa aveva posto fine al pericolo solo nel luglio 2007; che non costituiva giustificazione al ritardo la necessità di munirsi di titolo autorizzativo giacchè l’intimazione espressamente la escludeva per le opere provvisionali, da effettuarsi ad horas; che neppure era rilevante che l’immobile fosse soggetto a sequestro preventivo, giacchè il vincolo finalizzato ad evitare la protrazione del reato edilizio, era "destinato a cedere dinanzi alle più pregnanti esigenze di tutela della pubblica incolumità"; che tali esigenze e la diffida che le rappresentava avrebbero difatti scriminato anche la violazione dei sigilli.
2. Ricorre l’imputata a mezzo del difensore avvocato Furgiuelc Alfonso, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
2.1. Con il primo motivo denunzia violazione della legge sostanziale e manifesta illogicità e contraddittorictà della motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità della R..
Dopo avere precisato che la contestazione faceva riferimento ad una diffida (OMISSIS), accertatasi inesistente, lamenta:
– che nella sostanza il Tribunale aveva posto a fondamento della sua decisione un’accezione della norma incriminatrice dalla quale scaturiva la responsabilità del proprietario dell’immobile in ragione soltanto della sua posizione;
– che la sentenza impugnata aveva completamente obliterato la circostanza che dall’istruzione dibattimentale era emerso che la R. non era stata e non poteva essere consapevole della situazione di pericolo sino all’ordinanza sindacale del 23.12.2005 (vuoi perchè all’atto del sequestro erano intervenuti i Vigili del Fuoco che avevano indicato come alla sicurezza fosse sufficiente la messa in opera delle putrelle e a tanto aveva immediatamente provveduto l’operaio presente, e perchè il giorno (OMISSIS) non erano state rilevate lesioni significative di dissesti strutturali in atto; vuoi perchè l’imputata non aveva accesso all’immobile, sequestrato, ne agli atti del procedimento);
– che illogica e contraddittoria era l’affermazione secondo cui, in relazione a tale data, l’intervento della R. era da considerare comunque tardivo, nonostante l’immobile fosse in sequestro, negando rilievo al fatto che già il 27.12.2005 l’imputata aveva chiesto il dissequestro temporaneo dell’immobile al fine di ottemperare alla diffida e che tale possibilità le fu negata con provvedimento 18.1.2006, sull’erronea (come dimostrava la sentenza d’assoluzione) convinzione che i lavori di straordinaria manutenzione e consolidamento dell’immobile che aveva iniziato fossero abusivi, e che quando infine ottenne, solo il 22.3.2006, il temporaneo dissequestro, questo venne espressamente condizionato al rilascio delle autorizzazioni della Pubblica amministrazione, sicchè la R. fu costretta a presentare la Denunzia di Inizio Attività e ad attendere circa due mesi per il disbrigo delle relative pratiche e la formazione del silenzio assenso. Sicchè nessuna mancanza di diligenza poteva in concreto attribuirsi alla imputata.
2.2. Con il secondo motivo chiede la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione della provvisionale a mente dell’art. 600 c.p.p., che assume altresì disposta, senza indicazione dei criteri o dei parametri adottati per la determinazione della somma liquidata, in violazione degli artt. 539 e 540 c.p.p., nessuna quantificazione del danno patito avendo allegato la parte civile e nessuna prova della sua consistenza essendo stata fornita.
DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il primo motivo di ricorso appare fondato e assorbente.
La sentenza impugnata ha all’evidenza preso atto, a fronte delle deduzioni difensive, della inesistenza della diffida (OMISSIS) indicata nel capo d’imputazione perchè nel motivare la sentenza di condanna ha affermato che l’imputata, proprietaria dell’immobile e consapevole della situazione di degrado, avrebbe dovuto "attivarsi quanto meno dopo l’intimazione del dicembre 2005". E siffatta precisazione costituisce una delimitazione del fatto attribuito alla ricorrente, individuato come sicuramente integrato, in tutte le sue componenti soggettive e oggettive, "quantomeno", e perciò – per quel che rileva ai fini dell’affermazione positiva di responsabilità – solamente da tale data.
E’ per altro pacifico che al momento d’inizio della condotta cui va riferita la sentenza di condanna l’immobile era sottoposto a sequestro preventivo e l’imputata, pur avendolo domandato, non ha ottenuto che le fosse concessa la disponibilità dell’immobile per provvedere ai lavori di consolidamento resisi urgenti. E tanto riconosce il Tribunale, il quale sostiene che, ciò nonostante, la R. avrebbe dovuto comunque attivarsi pure violando i sigilli, perchè sarebbe stata scriminata dalla necessità.
L’affermazione, che sta a base dell’affermazione di responsabilità della ricorrente, è però giuridicamente inaccettabile.
E’ principio consolidato che ai fini dell’integrazione dell’esimente dello stato di necessità, occorre che alla sussistenza del pericolo attuale del danno grave s’accompagni l’assenza di altra concreta possibilità di salvezza, priva di disvalore penale; sicchè l’esimente non è applicabile se il soggetto ha la teorica possibilità di rientrare legittimamente in possesso del bene mediante richiesta di dissequestro all’autorità giudiziaria, alla quale spetta di valutare le ragioni e l’urgenza a tal fine prospettate (cfr., mutatis Sez. 3, n. 17592 del 12.1.2006, Paoleschi;
Sez. 6, Sentenza n. 222 del 24/11/1993, Marchesiello). Nè è esigibile che il proprietario del bene soggetto a sequestro si sottoponga a incriminazione per il delitto di violazione di sigilli, dopo essersi visto rigettare la richiesta di eseguire lavori urgenti sull’immobile, per effettuare quei lavori che l’Autorità giudiziaria gli ha inibito di fare.
Soprattutto, però, essa è impertinente.
L’obbligo di rimuovere la situazione pericolosa che da luogo a responsabilità ex art. 677 c.p.p. incombe sui proprietari "ovvero" su chi per loro è obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione; e discende perciò dalla situazione di legale disponibilità del bene. Nel caso di spossessamento per atto dell’autorità giudiziaria il proprietario è senz’altro tenuto a chiedere di potere riottenere la disponibilità del manufatto al fine di attivarsi personalmente, ma nell’ipotesi di rifiuto è esonerato dall’obbligo perchè non ha, interinalmente, signoria sulla cosa.
Ne consegue che non può annoverarsi tra i soggetti attivi del reato in esame il proprietario del bene in sequestro che pur avendo rappresentato all’autorità competente la necessità di effettuare i lavori necessari a rimuovere una situazione di pericolo, si sia visto negare la facoltà di provvedere.
Quanto all’affermazione del Tribunale, secondo cui era proprio la R. che aveva fatto eseguire "abusivamente" sull’immobile i "lavori edili probabile causa del dissesto" (a prescindere dalla non spiegata contraddizione con l’assoluzione dal reato di violazione urbanistica e dal rilievo che, stando alla motivazione che la sorregge, la R. avrebbe intrapreso proprio dei lavori di consolidamento strutturale, interrotti dal sequestro dell’immobile da considerare ex post, per via appunto dell’assoluzione, non legittimo) l’ipotesi ventilata atterrebbe in realtà alla diversa fattispecie prevista dell’art. 676 c.p., che non risulta contestata alla ricorrente e che non è oggetto del giudizio.
La sentenza impugnata deve di conseguenza essere annullata perchè la commissione del reato di cui solo deve in questa sede discutersi non poteva essere imputata alla R..
E l’annullamento va disposto senza rinvio perchè, delimitato il fatto secondo quanto all’inizio precisato e non essendovi ricorso del Pubblico ministero, nulla altro può predicarsi ipotizzatole a carico della ricorrente per il reato in esame.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere la R. commesso il fatto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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