Cass. pen., sez. I 23-04-2009 (01-04-2009), n. 17309 SICUREZZA PUBBLICA – Espulsione a seguito di mancato rinnovo del permesso di soggiorno o per altra causa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO
1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Trento confermava la sentenza 1.10.2007 del Tribunale della medesima città che aveva condannato. M.F., alla pena di otto mesi di reclusione per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13.
Il fatto, accertato il (OMISSIS), consisteva nel rientro del F. nel territorio nazionale, senza nulla osta del Ministero dell’Interno, dopo l’espulsione disposta con Decreto 30 dicembre 2004 del Questore di Trento.
2. Ricorre l’imputato a mezzo del difensore avvocato Luigi Robolo, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
2.1. Con il primo motivo denunzia la violazione ovvero la erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13.
Premette che nel 2004 il M., non aveva ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno e il provvedimento 6.7.2004, che respingeva la sua domanda, gli aveva intimato di lasciare il territorio nazionale nel termine di 15 giorni. Era questo il provvedimento che il ricorrente non aveva rispettato, non già la successiva intimazione 30.12.2004, sicchè non poteva dirsi integrata la fattispecie contestata, all’evidenza non collegabile – nella prospettiva sostenuta – alla sola violazione della intimazione conseguente al mancato rinnovo del permesso di soggiorno, secondo quanto affermato da Cass. sez. 31426/2006, 244/2007, 1479/2007, 8949/2008 e 10244/2008, e sul presupposto che la struttura del reato di violazione al divieto di rientro sarebbe la medesima di quello di permanenza illegale. Quanto al decreto di espulsione del 31.12.2004, il provvedimento era privo di base legale e non poteva perciò su di esso fondarsi la condanna per violazione alle prescrizioni impartite, a prescindere dalla sua impugnazione.
2.2. Con il secondo lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonchè violazione di legge con riguardo alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, al trattamento sanzionatorio.
Assume che l’originario comportamento collaborativo, di ottemperanza all’intimazione, andava positivamente valutata ai fini delle circostanze attenuanti generiche. Quanto alla sospensione condizionale della pena, il diniego era frutto della non esatta interpretazione della affermazione difensiva secondo cui il comportamento dell’imputato denotava solamente il fatto che aveva malvolentieri, come chiunque altro, ottemperato all’intimazione di allontanarsi, non già una sua pervicacia. Per altro nessun pericolo di recidiva specifica nel concreto poteva sussistere perchè il ricorrente era oramai coniugato con un’italiana e regolarmente soggiornante nel territorio nazionale.
DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il presupposto interpretativo da cui muove il ricorrente sembra essere che l’intimazione ad allontanarsi prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 5 – quella per intendersi che consegue alla scadenza del permesso di soggiorno non rinnovato – non darebbe luogo, se ottemperata, ad un divieto di reingresso sanzionabile a mente del comma 13 del medesimo articolo.
Ma si tratta di presupposto non esatto e che non ha alcuna base normativa.
E’ vero infatti che prima delle modifiche recate al D.Lgs. n. 286 del 1998 dalla L. 12 novembre 2004, n. 271, di conversione con modificazioni del D.L. 14 settembre 2004, n. 241, la violazione all’ordine di espulsione da attuarsi mediante intimazione ad allontanarsi nel termine di 15 giorni, previsto dalla prima parte dell’art. 13, comma 5 non poteva ritenersi sanzionata a mente dell’art. 14, comma 5 ter (che faceva esclusivo riferimento all’ordine impartito ai sensi del comma 5 bis, e perciò all’inottemperanza all’intimazione nei casi di impossibilità del trattenimento, e perciò alle ipotesi di espulsione in linea di principio coattiva di cui all’art. 13, comma 4 e art. 14, comma 1) e che solo per effetto di tali modifiche anche detta violazione è divenuta punibile, seppure solo a titolo contravvenzionale (residuando così comunque una differenza di sanzione rispetto alla violazione alla intimazione di cui all’art. 14, comma 5 bis, che costituisce ora delitto).
Tuttavia alla diversità di conseguenze derivanti dalla inottemperanza alla intimazione non s’è mai accompagnata alcuna differenza con riguardo al divieto di rientro, una volta ottemperato l’ordine di allontanamento, nè alla sanzione in caso di violazione di questo. Sia prima che dopo l’aggravamento sanzionatorio recato dal D.L. n. 241 del 2004 in sede di conversione, l’art. 13, comma 13 prevedeva che lo straniero espulso a qualsiasi titolo (e dunque anche ai sensi del precedente comma 5) non poteva rientrare senza speciale autorizzazione e che la trasgressione a tale divieto costituiva reato.
Non ha dunque alcuna importanza, neppure per quel che concerne il trattamento sanzionatorio, che il divieto di reingresso conseguisse alla espulsione 6.7.2004 o a quella 30.12.2004, perchè la trasgressione, e cioè il rientro senza autorizzazione, risulta comunque fatto commesso interamente in costanza della normativa che ha trasformato detta violazione in delitto.
2. Il secondo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, è quindi inammissibile perchè attiene a valutazioni di merito, sorrette da argomenti plausibili e correttamente ancorate alla "valenza negativa" del precedente penale del ricorrente, che costituisce parametro considerato dall’art. 133 c.p. evocabile anche ai fini dell’art. 62 bis c.p.. Mentre la successiva "regolarizzazione" del ricorrente è argomento di fatto sviluppato per la prima volta in questa sede e perciò insuscettibile di esame nell’ambito del giudizio di legittimità. 3. Conclusivamente il ricorso va nel suo complesso rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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