Cass. pen., sez. I 22-04-2009 (16-04-2009), n. 16973 SICUREZZA PUBBLICA – Criteri di valutazione – Onere di allegazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 16.10.2008 il Tribunale di La Spezia in composizione monocratica, a seguito di rito abbreviato, per quanto ancora interessa, ha assolto perchè il fatto non costituisce reato I.H. alias K.H., alias E.A. dal reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, per non avere esibito, in (OMISSIS), senza giustificato motivo, alcun documento previsto dalla suddetta norma sebbene espressamente richiesto dagli ufficiali di polizia giudiziaria.
Il Tribunale, dopo avere assolto l’imputato dal reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter – reato per cui la sentenza è in giudicato, non avendo il P.M. proposto impugnazione sul punto – ha ritenuto, quanto al reato di cui al citato D.Lgs., art. 6, che dagli atti non emergeva che la polizia giudiziaria avesse effettuato accertamenti circa il possibile ed eventuale giustificato motivo – la cui assenza costituiva elemento negativo della fattispecie di reato in questione – della omessa esibizione dei documenti e che comunque la assenza di documenti non si poteva presumere dalla circostanza che lo straniero fosse stato qualificato come sedicente nei provvedimenti di espulsione e di allontanamento del Prefetto e del Questore poichè di essi non si poteva tenere conto in quanto privi di motivazione.
Ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Genova, limitatamente al reato di cui al capo B della imputazione, lamentando inosservanza ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, e degli artt. 190 e 192 c.p.p., poichè, pur emergendo dal verbale di arresto in atti che l’imputato, all’atto del controllo, non aveva esibito il passaporto od altro documento di identificazione nè il permesso o la carta di soggiorno, senza fornire alcuna giustificazione al riguardo, aveva escluso la sussistenza del reato in quanto la polizia non aveva eseguito alcun accertamento, neppure sommario, circa un possibile eventuale giustificato motivo della omessa esibizione dei documenti, il che non era richiesto essendo il reato integrato dalla mera di condotta di mancata esibizione del documento, mentre sarebbe stato eventualmente onere del clandestino affermare la sussistenza di un possibile giustificato motivo. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato, anche a Sezioni Unite (v. sentenza 27.11.2003 n. 45801), che integra il reato previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6 comma 3, (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) la mancata esibizione, senza giustificato motivo, a richiesta degli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza, del passaporto o di altro documento di identificazione, da parte del cittadino straniero che si trovi, legittimamente o non, nel territorio dello Stato, a nulla rilevando che egli non ne sia in possesso per non essersene preventivamente munito; mentre non integra nè questa nè altra ipotesi di reato l’omessa esibizione, da parte dello straniero immigrato clandestinamente in Italia, del permesso o carta di soggiorno ovvero del documento di identificazione per stranieri di cui al cit. D.Lgs., art. 6, comma 9, in quanto il possesso di uno di questi ultimi documenti è inconciliabile con la condizione stessa di "straniero clandestino" e, conseguentemente, non ne è inesigibile l’esibizione (v. Cass. Sez. Un. 27.11.2003 n. 45801; Corte Cost. 13 gennaio 2004 n. 5). Orbene, nel caso in esame all’imputato è stato contestato – come si legge nel capo di imputazione – che non aveva esibito uno dei documenti previsti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, fra cui sono previsti il passaporto o un altro documento di identificazione, con la conseguenza che il fatto, se provato, integrerebbe la ipotesi criminosa. La tesi, fatta propria dalla sentenza impugnata, per cui spetterebbe all’accusa dimostrare che lo straniero era privo di documenti e che non esisteva un giustificato motivo della mancata esibizione, al pari di quella per cui la prova del preventivo possesso del documento da parte dello straniero costituirebbe un elemento costitutivo del reato che dovrebbe essere fornita dall’accusa, con la ulteriore conseguenza che costituirebbe reato soltanto la mancata esibizione dei documenti di cui sia provato il possesso e che il clandestino non voglia – ciò nonostante – esibire, sono state infatti tutte respinte ripetutamente da questa Corte con una giurisprudenza ampiamente consolidata dal 2000 in poi e ribadita dalle sezioni unite di questa Corte, in quanto non solo in contrasto la lettera della disposizione, ma anche arbitraria ed irrazionale poichè lo scopo della norma non è quello di pretendere comportamenti inesigibili, quale la presentazione del permesso di soggiorno da parte del clandestino, bensì di identificare, con documenti anche diversi dal permesso o dalla carta di soggiorno, tutti gli stranieri, anche irregolarmente soggiornanti in Italia, il che può avvenire sulla base di qualsiasi documento che ogni persona, anche straniera, deve avere al fine di provare la sua identità.
E’ ben vero che la mancanza del documento potrebbe, in ipotesi, derivare da un giustificato motivo, tale da scriminare la inosservanza del precetto contenuto nella norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, più volte citata. Però la Corte Costituzionale, davanti alla quale è stata censurata la disposizione della citata legge, art. 14, comma 5 ter (analoga con riguardo alla formula "senza giustificato motivo" inserita nella disposizione incriminatrice) in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 97 Cost., sotto il profilo della indeterminatezza proprio della clausola "senza giustificato motivo", ha dichiarato infondata la questione, rilevando che la clausola sopra indicata, se pure non può, senza risultare pleonastica, essere ritenuta evocativa delle sole cause di giustificazione in senso tecnico, ha tuttavia riguardo a situazione ostative di particolare pregnanza, che incidono sulla stessa possibilità soggettiva od oggettiva di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa, ma non anche ad esigenze che riflettano la condizione tipica del "migrante economico", sebbene espressive di istanze in sè e per sè pienamente legittime (v. Corte Cost. n. 5/2004). Spetta quindi al giudice stabilire in concreto il significato da attribuire alla clausola "senza giustificato motivo" mediante una operazione interpretativa non esorbitante dai suoi compiti ordinari, attraverso la individuazione della esistenza delle ragioni legittimanti la inosservanza del precetto, alla stregua del potere – dovere di rilevare direttamente, quando possibile, l’esistenza di tali ragioni ovvero attraverso la verifica dei motivi non conosciuti o non conoscibili da parte del giudicante, che il destinatario del precetto avrà l’onere di allegare.
Nella individuazioni di tali ragioni il giudicante deve comunque attenersi ai canoni interpretativi collegati alla finalità della incriminazione ed al quadro normativo in cui essa si innesta, non potendo invece arbitrariamente apprezzare quale "giustificato motivo" un elemento di per sè privo di spessore ed oltretutto neppure verificato da parte del giudice quale la ipotetica difficoltà per il migrante clandestino di chiedere un documento di identità nel suo paese di origine ovvero in Italia, apparendo l’obbligo legislativo di cui all’art. 6, comma 3, privo di significato giuridico qualora fosse sufficiente allegare la mancanza di un documento per disattenderlo.
Come rilevato dal ricorrente, il giudice di merito ha quindi erroneamente applicato la legge penale avendo individuato come motivo idoneo a giustificare la inosservanza del precetto penale di cui si tratta una situazione – quale la ipotesi astratta, neppure allegata dall’interessato, che l’imputato avesse un giustificato motivo per non esibire il documento – di per sè indifferente in relazione alle finalità della incriminazione ed al quadro normativo in cui si inserisce che è diretto a consentire la identificazione degli stranieri che si trovano in Italia, siano essi regolari ovvero clandestini. E ciò a parte il rilievo che dal verbale di arresto emerge che l’imputato non aveva al seguito alcun documento e, che condotto presso il Comando dei Carabinieri era emerso, attraverso il riscontro AFIS, che più volte aveva fornito diverse generalità, il che dimostrava che la polizia giudiziaria aveva svolto tutti gli accertamenti occorrenti per verificare le generalità dello straniero, pur senza riuscirci in quanto lo stesso non aveva inteso presentare i documenti occorrenti. La sentenza impugnata deve essere quindi annullata, limitatamente al reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6 (capo B della imputazione) per cui è stata proposta impugnazione, con rinvio per il giudizio al giudice competente per l’appello, a norma dell’art. 569 c.p.p., comma 4.
Si tratta infatti di ricorso proposto dal Pubblico Ministero, a norma dell’art. 569 c.p.p., comma 1, volutamente per saltum, per sola violazione di legge, in data 22.12.2008, dopo che è stata ripristinata la possibilità per il Pubblico Ministero di appellare le sentenze di proscioglimento a seguito di rito abbreviato, in virtù della sentenza della Corte Costituzionale n. 320 del 2007.
A norma dell’art. 627 c.p.p., comma 3, il giudice del rinvio si atterrà al seguente principio di diritto: la sussistenza o meno del giustificato motivo per cui lo straniero non ha esibito il documento di identificazione, ai sensi del comma e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, deve essere valutata con riguardo a situazioni ostative di particolare pregnanza, non anche con riferimento alla condizione tipica del migrante clandestino; a tale proposito l’imputato ha l’onere di allegare le situazioni ostative non conosciute o non conoscibili dal giudicante e quest’ultimo quello di verificarne la effettiva sussistenza.
P.Q.M.
La Corte Sezione Prima, annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio alla Corte di Appello di Genova.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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