Cass. pen., sez. II 10-04-2009 (02-04-2009), n. 15669 Truffa ai danni dello Stato – Truffa contrattuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

CONSIDERATO IN FATTO
Il G.I.P. presso il Tribunale di Cosenza applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di O. F. in ordine ai reati di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 640 c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, e art. 648 c.p. perchè, in concorso con tale T. ed altri, si procurava il titolo abilitativo falso di diploma di infermiere professionale, e induceva in errore la dirigenza della clinica "(OMISSIS)", che a seguito di tanto assumeva una persona carente dei requisiti necessari, e si procurava l’ingiusto profitto consistente nell’attribuzione della posizione lavorativa, del relativo stipendio, con pari danno per il servizio sanitario nazionale.
Avverso tale ordinanza l’O. proponeva impugnazione dinanzi al Tribunale di Catanzaro, sezione del riesame, che accoglieva il reclamo e, in data 29.12.08, annullava il provvedimento impugnato, ordinando l’immediata liberazione dell’indagato.
Avverso tale decisione ricorre per cassazione il PM presso il Tribunale di Cosenza, deducendo:
– insufficienza e manifesta illogicità della motivazione; violazione di legge.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita accoglimento.
Quanto al primo motivo il PM ricorrente impugna l’ordinanza impugnata censurando la motivazione per avere ritenuto che la truffa contrattuale in materia di rapporto di lavoro sia reato a consumazione istantanea e che si perfeziona allorchè il soggetto passivo assume l’obbligazione, cioè nel momento in cui si costituisce il rapporto impiegatizio, con la conseguenza di far retrocedere i termini per l’eventuale prescrizione.
In effetti, la Giurisprudenza più recente di questa Corte, che il collegio condivide, pone la questione in termini diversi e ritiene che, nel caso di truffa contrattuale, ci si trovi dinanzi ad una ipotesi di reato a consumazione prolungata che si consuma con la cessazione dei pagamenti fraudolentemente ottenuti.
Si è infatti ritenuto che: "E’ legittima la misura cautelare applicata ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001 nei confronti di una società a responsabilità limitata, in conseguenza del reato di cui all’art. 640 bis c.p., commesso dal suo amministratore unico, in riferimento alla illecita erogazione dei ratei di finanziamento deliberati con decreto ministeriale emesso prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo, qualora l’ultimo rateo sia stato percepito durante la vigenza della nuova normativa, in quanto il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche è a consumazione prolungata, cioè si perfeziona con la cessazione dei pagamenti".
(Cass. pen. Sez. 2, 20-12-05 n. 3615).
Tale ipotesi non viene meno nel caso di truffa ordinaria, in danno di ente pubblico, e nemmeno nel caso di truffa eseguita avvalendosi di artifizi o raggiri relativi alla qualità professionale degli addetti al servizio pubblico o di interesse pubblico, come nella specie al servizio sanitario.
Questa Corte, infatti, ha statuito (ed il Collegio condivide): "E’ configurabile il delitto di cui all’art. 640 c.p., comma 2, nel caso in cui un soggetto stipuli contratti per la prestazione di servizi – successivamente effettuata – in favore di una P.A., ponendo in essere artifici o raggiri consistiti nel dichiarare falsamente l’esistenza delle condizioni e dei requisiti previsti per l’espletamento dell’attività pattuita, ed inducendo in errore l’ente pubblico anche sulle effettive modalità di esecuzione della prestazione, affidata a personale privo delle richieste capacità professionali. In tale caso, infatti, la riscossione degli importi liquidati quale corrispettivo delle prestazioni costituisce ingiusto profitto, cui corrisponde, per l’ente pubblico, il danno consistente nell’esborso di pubblico denaro in cambio di servizi espletati da soggetti non qualificati.
Cassazione penale, sez. 2, 09 maggio 2007, n. 22170.
Va accolto il motivo di ricorso, atteso che nella specie, si deve ravvisare una truffa contrattuale, a consumazione prolungata, consumazione che si protrae nel tempo sino a che dura l’erogazione economica che il soggetto ha fraudolentemente conseguito.
Nè può dubitarsi del danno per la struttura sanitaria che ha proceduto all’assunzione, e di conseguenza per il Servizio sanitario nazionale che ne ha sostenuto i relativi oneri, atteso che la riscossione degli importi liquidati per le prestazioni costituisce ingiusto profitto, cui corrisponde, il danno dell’esborso di pubblico denaro in cambio di servizi espletati da soggetti non qualificati.
Non può condividersi la motivazione impugnata nella parte in cui parifica l’attività svolta dagli indagati con quella legittima degli ordinari dipendenti, atteso che la prestazione degli indagati era priva della necessaria qualificazione e, quindi, – pregiudicava il regolare svolgimento dell’attività lavorativa e – poggiava su una violazione del sinallagma contrattuale tra le parti.
In effetti, i lavoratori in questione offrivano una prestazione diversa da quella prevista nel rapporto contrattuale, mentre percepivano la retribuzione spettante ai lavoratori provvisti della necessaria qualifica. Gli indagati, infatti, occupavano una posizione professionale specialmente qualificata, attesa la natura parasanitaria della funzione svolta, e la loro attività non poteva in alcun modo corrispondere a quella prevista dal contratto applicato, atteso che la mancanza del titolo abilitativo alla professione li rendeva del tutto inidonei a quella funzione.
La mera prestazione materiale dell’attività lavorativa non era sufficiente per integrare e soddisfare il rapporto contrattuale stipulato, così che lo stesso rapporto non poteva divenire legittimo per la sola circostanza di una qualche attività svolta; infatti il contratto era viziato: – sia per la inidoneità della prestazione fornita da una delle parti e – sia per il vizio della volontà nel datore di lavoro, che aveva aderito ad un contratto a causa dell’attività fraudolenta della controparte; mentre, per contro, il vizio occulto del rapporto contrattuale esponeva lo stesso datore di lavoro a responsabilità per l’eventuale "culpa in eligendo" e "in vigilando"; provocava il danno di una maggiore retribuzione in cambio di un’attività non qualificata; procurava agli indagati l’ingiusto profitto di una maggiore retribuzione per un’attività che essi non avrebbero potuto svolgere, nonchè l’acquisizione di una posizione che poteva condurli ad acquisire punteggi fondati su una base fraudolenta; laddove l’ingiustizia del profitto derivava dalla illecita costituzione del rapporto di lavoro, fondato sulla consumazione di un reato e sulla falsa rappresentazione di una qualifica professionale inesistente, cui si accompagnava una oggettiva incapacità a svolgere l’attività loro demandata.
La motivazione qui censurata ha ritenuto erroneamente: – la consumazione istantanea del reato in esame; – la mancanza di un danno per l’amministrazione; e – l’inesistenza di un ingiusto profitto per l’indagato. Consegue l’annullamento dell’ordinanza con rinvio al Tribunale di Catanzaro che dovrà uniformarsi ai principi sopra esposti.
MOTIVI DELLA DECISIONE Anche il secondo motivo di ricorso merita accoglimento.
Invero il Tribunale ha ritenuto di non potere rinvenire nella condotta degli indagati il reato di ricettazione con riferimento all’acquisizione del modulo di diploma di infermiere professionale, in seguito utilizzato per formare il falso titolo abilitativo, argomentando che non emergeva agli atti una prova della provenienza illecita di tale modulo.
Si tratta invero di una motivazione affetta da illogicità, atteso che la formazione ed il rilascio di titoli abilitativi alle professioni paramediche sono circondati e garantiti da una serie di cautele, predisposte proprio allo scopo di rendere impossibile, per chiunque, l’acquisizione dei moduli utilizzati per la formazione degli atti medesimi.
Questi moduli hanno certamente un elevato valore, anche economico, atteso il loro potenziale utilizzo (come in realtà avvenuto) e, non essendo possibile reperirli nel libero mercato, ne deriva che la loro acquisizione è possibile solo a seguito della consumazione di un reato.
La Giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che al riguardo sia sufficiente anche la prova logica, senza la necessità di acquisire la prova certa del luogo, modo e circostanze del reato presupposto, sia sotto il profilo dell’elemento materiale che sotto quello dell’elemento psicologico del reato di ricettazione.
Per la configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, e la prova dell’elemento soggettivo del reato può trarsi anche da fattori indiretti, qualora la loro coordinazione logica sia tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede: in tal senso, la consapevolezza della provenienza illecita può desumersi anche dalla qualità delle cose, nonchè dagli altri elementi considerati dall’art. 712 c.p. in tema di incauto acquisto, purchè i sospetti sulla res siano così gravi e univoci da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza che non possa trattarsi di cose legittimamente detenute da chi le offre.
Cassazione penale, sez. 4, 12 dicembre 2006, n. 4170.
CONSEGUE l’accoglimento dei motivi ed il riconoscimento dell’errore nella applicazione della legge penale, con seguente annullamento dell’ordinanza impugnata e rinvio al Tribunale di Catanzaro che dovrà uniformarsi ai principi sopra esposti.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e dispone che gli atti siano trasmessi al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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