Cass. pen., sez. IV 25-03-2009 (17-03-2009), n. 13074 Azione di disturbo commessa da minori – Sussistenza.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18/7/2005 il Tribunale di Alessandria ha dichiarato A.P. responsabile del reato di cui agli artt. 112 e 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 4, perchè, al fine di trame profitto, in concorso con altre persone di minore età, si impossessava di schede telefoniche Wind, TIM ed Omnitel per un valore di Euro 1.000,00 sottraendoli a C.L. che le deteneva all’interno della propria tabaccheria; con l’aggravante di avere effettuato il fatto determinando a commetterlo persone minori e con destrezza consistita nel distrarre la parte offesa. Con sentenza del 30/3 – 7/6/2006 la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena inflitta alla A. ad anni uno mesi tre di reclusione ed Euro 180,00 di multa. La Corte territoriale ha motivato la propria decisione sulla base delle prove testimoniali secondo le quali la parte offesa ha lasciato il cassetto aperto, si è recata nel retrobottega a prelevare una scheda telefonica richiesta dall’imputata seguita da uno dei ragazzini che accompagnavano l’imputata stessa e che hanno distratto la parte offesa che, al ritorno nella bottega, non ha trovato più le schede telefoniche nel cassetto. La Corte d’Appello ha pure riconosciuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 4 avendo l’imputata utilizzato la distrazione provocata alla parte lesa dai minori che l’hanno accompagnata.
La A. propone ricorso per cassazione avverso questa sentenza chiedendone l’annullamento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta nullità della sentenza per difetto, illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo, con riferimento all’affermazione di penale responsabilità dell’imputata. In particolare si lamenta che l’unico elemento di prova descritto nella sentenza impugnata è costituito dalla presenza di un bambino nel retrobottega circostanza non certo sufficiente ad affermare la responsabilità dell’imputata.
Con secondo motivo si lamenta nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 625 c.p., n. 4 non potendosi considerare un’ipotizzata azione di disturbo ad opera di alcuni ragazzi come destrezza ma, al più, come realizzazione plurisoggettiva del reato.
Con il terzo motivo si lamenta nullità della sentenza in punto di concessione di attenuanti generiche, per carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. In particolare si lamenta che l’unica motivazione della mancata concessione delle attenuanti generiche è costituita dai precedenti penali dell’imputata senza alcun riferimento alla obiettiva modesta entità dell’episodio.
Tutti i suddetti motivi di ricorso sono manifestamente infondati o in fatto e conseguentemente il ricorso va dichiarato inammissibile.
In particolare,con il primo motivo si propone una diversa valutazione degli elementi di prova posti a base della dichiarazione di responsabilità. In sede di legittimità può solo verificarsi la congruità e logicità della motivazione, ma non è ammissibile una diversa valutazione dei mezzi istruttori riservata al giudice di merito. Nel caso in esame la Corte territoriale ha dettagliatamente descritto le modalità del fatto come emerse dall’istruttoria svolta.
La motivazione, con particolare riferimento alla prova della responsabilità dell’imputata appare completa e logica, risponde adeguatamente all’analoga censura sollevata in sede di appello, e resiste quindi ad ogni censura di legittimità.
Con riferimento al secondo motivo, si osserva che è pienamente legittima l’affermazione conforme di entrambi i giudici di merito, secondo cui sussiste l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 4 nell’azione di disturbo operata dai minori che accompagnavano l’imputata al momento del fatto: evidentemente escogitare un sistema per distrarre la vittima del reato costituisce un chiaro esempio di destrezza che integra l’ipotesi aggravata in questione.
Anche il terzo motivo è palesemente infondato in quanto la Corte regolatrice ha motivato logicamente la mancata concessione delle attenuanti generiche richiamando la motivazione del giudice di primo grado che fa riferimento alla pervicacia dimostrata dall’imputata nella violazione della legge penale, motivo legittimo per la mancata concessione delle attenuanti generiche per le quali deve appunto considerarsi la situazione soggettiva dell’imputato quale risultante anche dai suoi precedenti penali.
Alla dichiarazione di inammissibilità fa seguito l’onere delle spese del procedimento nonchè la condanna del ricorrente al pagamento di una somma in favore delle Cassa delle Ammende che si stima equo fissare, anche dopo la sentenza n. 186 del 2000 della Corte Cost., in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, quarta sezione penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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