Cass. pen., sez. VI 17-03-2009 (12-03-2009), n. 11564 Rideterminazione della pena – Limiti – Indicazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1. Il 16.12.2001 personale della Squadra mobile di Prato intercettava un pick up Mitsubishi, condotto da tale G.G. e con a bordo M.M.. Vi era un inseguimento, durante il quale dal finestrino lato passeggero veniva gettato un involucro contenente 69,71 gr. di cocaina; finalmente fermato il veicolo si rinvenivano ulteriori gr. 12,35 nella borsa della M., gr. 8,16 sul sedile anteriore destro ove sedeva la stessa M., gr. 1,47 in una tasca della camicia del G.. Alla M. era contestato il concorso nella detenzione illecita dell’intero quantitativo rinvenuto. L’auto con a brodo i due aveva prima tentato di investire uno degli operanti di polizia giudiziaria, dopo procedendo a forte velocità, zigzagando e speronando autovetture: da qui anche l’imputazione di concorso in resistenza.
Con sentenza del 22.2.2006 la Corte d’appello di Firenze assolveva la M. dal delitto di resistenza per non aver commesso il fatto, eliminando la parte di pena corrispondente all’aumento in continuazione, e confermava la sua condanna per la detenzione dell’intero quantitativo di cocaina. Argomentava che la disponibilità concreta e attuale dello stupefacente risultava non tanto, o non solo, dal getto dello stupefacente dal finestrino lato passeggero (non essendo decisivo per la Corte stabilire se lei, come più probabile stante che l’altro era impegnato nella difficile guida in fuga, o il G. avesse gettato la droga, quanto dal fatto che, dopo l’inseguimento, la M. era stata trovata in certo possesso di un involucro di materiale plastico contenente i 12 gr. di cocaina, in un contesto in cui corrispondeva il tipo di involucro uguale a quelli che erano stati gettati dal finestrino, e la composizione quali-quantitativa dei vari quantitativi di sostanza rinvenuti presentava analogie tali da far ritenere che tutte le polveri sequestrate avessero la stessa origine. Tali dati oggettivi si corroboravano dalla palese infondatezza della versione difensiva (aver la donna acquistato autonomamente lo stupefacente trovato nella sua borsa, nulla poi sapendo dell’altro gettato e presente), in quanto la M. non aveva saputo indicare con precisione il prezzo e le circostanze dell’acquisto, mentre era inverosimile che dovendo accompagnarsi al G. per un tragitto apprezzabile non si fosse ricordata di togliere dalla borsa i dodici grammi di cocaina, contenuti in un involucro ingombrante. Da ultimo, per la Corte fiorentina un tale contesto probatorio rendeva irrilevante l’esame o l’acquisizione delle dichiarazioni del G., che risultava essersi assunto la responsabilità del getto e del possesso della restante cocaina.
2. Ricorre in Cassazione la M., a mezzo del difensore fiduciario, deducendo i seguenti motivi:
– inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 110 e 40 c.p., art. 42 c.p., comma 1, art. 192 c.p.p., comma 2, e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e. La M., convivente del G., sarebbe stata semplice consumatrice, ed i 12 grammi di cocaina erano per il suo uso personale; la mera convivenza sarebbe irrilevante a dar prova del dolo, e dell’apporto causale specifico, oggettivo e psicologico, comunque essendo irrilevante la eventuale mera consapevolezza della donna circa il possesso in atto da parte del convivente. L’illogicità risiederebbe nel fatto che la Corte ha ritenuto non provato che proprio la M. abbia gettato la parte più consistente dello stupefacente, tuttavia non concludendo che pertanto ella nulla sapeva di questo pacchetto, per il resto detenendo l’altra droga nella borsetta per uso personale. La M. avrebbe pertanto dovuto essere assolta dalla detenzione di quei 69,71 gr. di cocaina;
– l’analogia di composizione delle diverse parti sostanze rinvenute aveva fatto solo ipotizzare alla consulente del p.m. l’origine comune, sicchè non essendovi sul punto certezza non era possibile collegare la droga della borsa per uso personale alla restante;
– l’affermazione del "dolo di concorso" sarebbe frutto di illazioni, paralogismi e clausole di stile, incompatibili con il principio costituzionale di personalità della responsabilità penale;
– sarebbe infine manifestamente illogico e internamente contraddittorio aver assolto la donna dal reato di resistenza argomentando di "insormontabile situazione di dubbio" anche proprio in relazione al getto della droga dal finestrino, ed invece non far discendere dallo stesso "insormontabile dubbio" la non attribuzione di quella droga gettata alla ricorrente.
2.1 Con motivo nuovo pervenuto il 25.2.2009 la difesa chiede l’annullamento della sentenza con il ricalcolo della pena, a seguito della L. n. 49 del 2006, sopravvenuta alla pronuncia di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I motivi del ricorso originario sono infondati.
La Corte fiorentina ha dato congrua motivazione della ricostruzione dei fatti che ha ritenuto adeguata alle risultanze probatorie e che attribuiscono alla donna il concorso consapevole nella detenzione di tutti i quantitativi di droga di cui all’imputazione, argomentando specificamente della irrilevanza del punto relativo a chi – tra lei ed il conducente del veicolo – ebbe a gettare dal finestrino lato guida parte dello stupefacente (con ciò sottraendosi alla censura di contraddittorietà per non aver fatto discendere dall’incertezza sul punto anche l’assoluzione per la detenzione oltre che per la resistenza, atteso che il dolo di resistenza non era stato collegato alla consapevolezza o meno della presenza della droga poi lanciata nell’abitacolo, ma dalla volontà di allontanarsi per disfarsi in quel modo di tale droga così sottraendola al controllo della polizia giudiziaria), poi confrontandosi puntualmente con tutte le altre deduzioni svolte dall’appellante. In particolare, è immune da vizi di ordine logico e risulta invece intrinsecamente coerente alle risultanze probatorie – sempre sul piano logico che è il solo esaminabile da questa Corte di legittimità – aver giustificato l’apprezzamento di fatto con le considerazioni in ordine all’inattendibilità evidente della versione difensiva relativa alla presenza di parte della droga nella borsetta della M. (per le ingombranti modalità del confezionamento e per le incertezze su dinamica e contenuti dell’asserito acquisto autonomo), alle "spiccate" analogie quali quantitative dei diversi reperti (significativa proprio in relazione alle dichiarazioni difensive), alla collocazione sul suo sedile di parte della sostanza, alla totale somiglianza dell’involucro contenitore presente nella sua borsa con quelli gettati fuori dal finestrino e con quello presente sul suo sedile. E risulta significativo, perchè costituisce immediata conferma della linearità logica della complessiva valutazione della Corte distrettuale, che anche nel ricorso non vi sia confronto dialettico con taluno di questi passaggi argomentativi, quale appunto la totale somiglianza tra i vari contenitori/involucri o le ragioni della ritenuta inattendibilità della spiegazione di acquisto autonomo.
3.2 Va invece accolto il motivo nuovo sul trattamento sanzionatorio, ammissibile in quanto deduce una richiesta che non poteva essere fatta al momento della proposizione del ricorso.
La sanzione confermata dalla Corte distrettuale con la sentenza deliberata il 22.2.2006 faceva riferimento invero ad un minimo detentivo edittale che la sopravvenuta L. 21 febbraio 2006, n. 49 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 27.2.2006 n. 48) ha ridotto a sei anni di reclusione.
In particolare, la pena determinata dai giudici del merito è di cinque anni quattro mesi di reclusione ed Euro 18.000 di multa, secondo il seguente calcolo: 8 anni ed Euro 27.000 quale pena base, con l’intero terzo possibile con la riduzione per le attenuanti generiche.
L’applicazione della nuova normativa, nel caso di specie immediatamente percepibile come più favorevole (sicchè nella comparazione non sono coinvolte questioni di fatto precluse alla Corte di legittimità, Sez. 7, Ord. n. 46360 del 23.6 – 30.11.2004 in proc. Bourkah), costituisce doverosa osservanza del principio di legalità della pena, anche in applicazione dell’art. 2.4 c.p..
Quanto all’individuazione del giudice competente a tale applicazione, osserva il Collegio come l’attuale testo dell’art. 619 c.p.p., comma 3 non consenta quel peculiare ed eccezionale pieno apprezzamento di merito che caratterizzava la norma corrispondente del codice previgente (art. 538 c.p.p. 1930, comma 3), dopo la modifica introdotta dalla L. n. 226 del 1974. Dottrina e giurisprudenza di legittimità hanno concordemente rilevato come con la vigente disciplina – che recupera sostanzialmente il regime dell’originario art. 538 c.p.p. 1930 – la Cassazione, ogni volta che deve applicare norme più favorevoli, può farlo soltanto nei limiti in cui non siano necessari accertamenti di fatto o valutazioni di merito.
Dal combinato disposto dell’art. 619 c.p.p., comma 3 e art. 620 c.p.p., lett. l si evince allora che la possibilità di procedere direttamente alla determinazione della pena, anche nei casi di sopravvenuta legge più favorevole – così evitando l’annullamento con rinvio al giudice del merito – è circoscritta alle ipotesi in cui alla situazione da correggersi possa porsi rimedio senza accertamenti e valutazioni discrezionali su circostanze aspetti e punti controversi, nel senso di suscettibili di diversi apprezzamenti di fatto in contraddittorio, che rimangono operazioni incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità (Sez. 5, sent. n. 5247 del 27.3 – 25.5.2001 in proc. Nicoletta;S.U. sent. n. 1 del 26.2 – 27.6.1997 in proc. Mammoliti; Sez. 4, sent. n. 15589 del 6.3 – 5.5.2006 in proc. Cantari; Sez. 5, sent. n. 18731 del 11.4 – 15.5.2007 in proc. Natalizio).
Alla luce delle argomentazioni che precedono deve affermarsi che, quando sopravvenga una legge che determini in concreto ed ad immediata evidenza per il caso oggetto del giudizio un trattamento sanzionatorio più favorevole, ogniqualvolta dalle sentenze dei due gradi di merito risultino espresse valutazioni di fatto, suscettibili di inequivoca riapplicazione, alla determinazione della pena può provvedere direttamente la Corte di cassazione, annullando senza rinvio il punto della quantificazione della pena ed indicando la nuova sanzione.
E poichè l’apprezzamento dell’adeguatezza sanzionatoria trova nei limiti edittali (in particolare nel limite minimo edittale) solo un parametro che influenza ma non determina necessariamente il giudizio di disvalore del caso concreto oggetto del singolo giudizio, anche nel caso di pena base già determinata nel minimo edittale è necessario che dalla concretizzazione del complessivo calcolo della sanzione, o comunque dalla specifica motivazione sul punto, emerga un’univoca valutazione di oggettiva minima gravità, senza che possa affermarsi alcun automatismo tra il precedente ed il nuovo minimo edittale. In altri termini, così come a fronte di una pena detentiva di otto anni di reclusione applicata prima della L. n. 49 del 2006, un nuovo giudizio del tutto legittimamente potrebbe condurre alla conferma di quella quantificazione in quanto ritenuta adeguata al caso e solo occasionalmente corrispondente al precedente minimo edittale (Sez. 6, sent. n. 17176 del 2 – 17.4.2008 in proc. Mecaj), per converso a fronte di una pena base superiore agli otto anni di reclusione ben potrebbe il nuovo giudizio condurre ad una pena superiore al minimo di sei anni ma inferiore a quella irrogata proprio ed esclusivamente in ragione del mutato quadro normativo. In definitiva, la nuova disciplina comporta la possibilità di un trattamento sanzionatorio più favorevole che, in quanto tale e per le caratteristiche che la contraddistinguono (abbassamento del minimo edittale, rilevante sia come pena minima irrogabile sia come parametro per la determinazione di pena che da esso si discosti), consente tendenzialmente la piena rivalutazione di merito della pena applicata in precedenza.
Giudica il Collegio che nel caso di specie dalle motivazioni sanzionatorie dei due giudici di merito emerga una specifica valutazione che consenta la rideterminazione della pena direttamente da parte di questa Corte di legittimità, ai sensi del combinato disposto dell’art. 619 c.p.p., comma 3 e art. 620 c.p.p., lett. e.
Invero, ai criteri del calcolo (pena base nel minimo edittale, riduzione per le attenuanti generiche pari all’intero terzo) si aggiunge l’espresso riferimento all’avvenuta irrogazione della pena minima complessivamente possibile.
Tutto ciò premesso, la pena va così rideterminata; pena base sei anni di reclusione ed Euro 27.000 di multa (la pena pecuniaria va mantenuta nei termini già statuiti, di poco superiori al minimo anche attuale); riduzione per le attenuanti generiche a quattro anni di reclusione ed Euro 18.000 di multa, che diviene la pena finale di giustizia.
La pena accessoria va rideterminata nella durata, potendo pure provvedervi direttamente questa Corte di legittimità trattandosi di intervento imposto dalla legge senza alcuna discrezionalità di deliberazione.
L’impugnata sentenza va pertanto annullata senza rinvio sul punto della misura della pena, che va rideterminata come indicato; nel resto il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena, che ridetermina in quattro anni di reclusione ed Euro 18.000 di multa. Sostituisce l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea quinquennale, ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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