Cass. pen., sez. I 25-03-2009 (10-03-2009), n. 13003 Aumento per la recidiva – Criteri di determinazione.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1. Con la decisione in epigrafe la Cotte d’appello di Catania confermava la sentenza 25.3.2008 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città che aveva dichiarato L.D. e S.C. responsabili di concorso nel reato di detenzione e porto di armi clandestine (capo), di ricettazione (capo b) e lo S. responsabile altresì del reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9 (capo c), fatti commessi il (OMISSIS), con la recidiva reiterata specifica nel quinquennio per entrambi, e aveva condannato il L. alla pena di quattro anni, sei mesi di reclusione e 240 Euro di multa, lo S. alla pena di cinque anni di reclusione e 280 Euro di multa.
2. L.D. ricorre a mezzo del difensore avvocato Giorgio Antoci, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata denunziando:
2.1. erronea applicazione dell’art. 99 c.p., commi 3 e 4: la Corte d’appello aveva equivocato il gravame (che concerneva solo la recidiva, la continuazione e la pena); l’imputato era gravato da un solo precedente per delitto (l’altro precedente era per contravvenzione) sicchè non poteva essergli applicata la recidiva reiterata (specifica e infraquinquennale) di cui all’art. 99 c.p., comma 4;
2.2. erronea applicazione dell’art. 99 c.p. e vizio di motivazione, giacchè nessuna valutazione in ordine ai parametri dell’art. 133 c.p. assisteva l’applicazione dell’aumento di pena a titolo di recidiva nella misura in concreto determinata;
2.3. erronea applicazione dell’art. 99 c.p., u.c., giacchè l’aumento di pena applicato superava la pena inflitta per il precedente reato (di soli quattro mesi):
2.4. erronea applicazione dell’art. 81 c.p., la Corte d’appello, tratta in errore dalla ritenuta recidiva ex art. 99 c.p.p., comma 4, e dalla conseguente ritenuta applicabilità dell’art. 81 c.p., comma 4 aveva applicato un aumento di pena maggiore del dovuto.
3. S.C. ricorre a mezzo del difensore avvocato Salvatore Pavone, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata denunziando:
3.1. erronea applicazione dell’art. 99 c.p. e vizio di motivazione:
il Giudice dell’udienza preliminare, aveva affermato che la pena dello S. doveva essere aumentato della metà per la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale, ma la infraquinquennalità non era da considerare per lui; erroneamente la Corte d’appello, pur riconoscendo ciò, aveva affermato che la pena rientrava nei parametri dell’art. 99 c.p., commi 3 e 4, senza considerare però l’assenza di giustificazioni dell’aumento nella misura della metà, e cioè nel massimo;
3.2. violazione degli artt. 62 bis, 133, e 133 bis c.p.: a fronte delle deduzioni articolate nell’atto d’appello la motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche era illogica e carente; apodittica era la svalutazione delle compromesse condizioni di salute, allegate e documentate e il riferimento a una non meglio chiarita "efferatezza" del delitto, collegato ad una indimostrata e indimostrabile intenzione di commettere rapine.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi, che riguardano la sola determinazione della pena, con particolare riferimento all’aumento per la recidiva, appaiono, nei termini che si diranno, fondati.
La Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado che aveva determinato la pena:
– per L., partendo da quattro anni di reclusione e 200,00 Euro di multa per il capo a), considerata ma non specificata la continuazione interna; con aumento ex art. 81 c.p. per il capo b) di 6 mesi di reclusione e 40,00 Euro di multa (così anni 4 e mesi 6 e 240,00 Euro); con aumento della metà ex art. 99 c.p., commi 3 e 4 (così anni 6 e mesi 9 e 360 Euro); e diminuzione di un terzo per il rito abbreviato, e così anni 4, mesi 6 di reclusione e 240 Euro di multa;
– per S., partendo da quattro anni di reclusione e 200,00 Euro di multa per il capo a), considerata ma non specificata la continuazione interna; con aumento ex art. 81 c.p. per il capo b) di 6 mesi di reclusione e 40,00 Euro di multa (così anni 4 e mesi 6 e 240,00 Euro); con aumento ex art. 81 c.p. per il capo c) di 6 mesi di reclusione e 40,00 Euro di multa (così anni 5 e 280,00 Euro); con aumento della metà ex art. 99 c.p., commi 3 e 4 (così anni 7 e mesi 6 e 420 Euro); e diminuzione di un terzo per il rito abbreviato, e così anni 5 di reclusione e 280 Euro di multa.
1.1. Ora è d’immediata evidenza che la pena così determinata è innanzitutto illegale nella parte in cui l’aumento per la recidiva è stato calcolato non già sulla pena inflitta per il reato più grave tra quelli contestati e posto a "base" della continuazione ("interna" al singolo capo e "esterna", tra capi), ma sul risultato del cumulo giuridico delle pene ex art. 81 cpv. c.p..
Scaturisce da insegnamento giurisprudenziale consolidato che la considerazione unitaria del reato continuato è limitata ai soli effetti espressamente previsti dalla legge quali quelli relativi alla determinazione della pena; mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente indicati, la valutazione cumulativa può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo. Donde (come ricordato già da C. cost. n. 361 del 1994) la necessità dello scioglimento del cumulo ogni qual volta si sia in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità, richiedano la separata considerazione dei titoli di reato e delle relative pene. E il principio è stato di recente riaffermato, con riferimento al tema delle circostanze, da S.U. n. 3286 del 27/11/2008, Chiodi, che ha conseguentemente ribadito che "i reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti ed aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti". Sicchè neppure la recidiva, per quanto atipica possa ritenersi detta circostanza, può sfuggire alla criterio della valutazione per singolo reato, tanto più ove si considerino gli specifici aspetti che la possono connotare con riferimento all’epoca e all’indole dei delitti da porre a confronto.
In buona sostanza i Giudici di merito avrebbero dovuto prima individuare il singolo reato più grave determinandone la pena (è appena il caso di notare che la L. n. 110 del 1975, art. 23 prevede distinte ed autonome fattispecie, tra loro concorrenti) e applicare, se del caso, su di esso l’aumento per la recidiva, valutandone la "specificità" con riguardo a tale delitto; procedere quindi agli ulteriori aumenti di pena per gli altri reati in continuazione, considerate a tal fine titolo e circostanze a ciascuno riferibili.
2. E’ inoltre fondato il ricorso del L., laddove lamenta che risulta dal certificato penale che lo stesso era stato condannato in passato per una contravvenzione e per un delitto, e che per questo gli era stata inflitta la pena di quattro mesi di reclusione e 400,00 Euro di multa.
Sicchè la recidiva non poteva considerarsi "reiterata" perchè a seguito delle modifiche recate all’art. 99 c.p. dalla L. n. 251 del 2006 le contravvenzioni non sono valutabili ai fini delle recidiva (la norma parla ora di "delitto non colposo" anzichè di "reato non colposo"), e la "medesimezza" dell’indole andava specificamente valutata con riferimento al delitto per il quale v’era stata condanna e al reato posto a base della continuazione nella sentenza in esame:
con le ovvie diverse conseguenze in punto poi di valutazione della eventuale esclusione facoltativa della recidiva stessa.
Peraltro, e risolutivamente, l’aumento di pena inflitto per la recidiva non poteva comunque superare, a mente dell’art. 99 c.p., u.c. la pena irrogata per il precedente delitto (4 mesi e 400,00 Euro; mentre nel caso di specie l’aumento è stato di 2 anni, sei mesi di reclusione e 140 Euro di multa).
2.1. Inammissibile è invece la doglianza apparentemente riferibile all’art. 81 c.p., comma 4 perchè di tale norma non risulta essersi fatta applicazione.
3. Per S., risulta dal certificato penale che le condanne da lui riportate erano riferibili a sentenze divenute definitive al più nel 1997.
La situazione non era dunque quella, ritenuta in sentenza (e mai formalmente esclusa), di recidiva nel quinquennio.
Tuttavia, ove non risulti da escludere nè la reiterazione nè la specificità della recidiva (che non sono in questa sede oggetto di specifica doglianza), l’aumento della metà, benchè erroneamente calcolata sulla pena finale anzichè su quella riferibile al reato posto a base della continuazione, non sarebbe in astratto censurabile dall’imputato, giacchè a norma dell’art. 99 c.p., comma 4 tale aumento consegue alla sola recidiva reiterata, applicandosi alla recidiva reiterata infraquinquennale o reiterata specifica l’aumento di due terzi.
Resta tuttavia che la erroneità delle modalità di imputazione e calcolo della recidiva sulla pena risultante dalla continuazione, all’inizio rilevate, travolge l’intera determinazione sanzionatola, mentre l’omessa individuazione del reato più grave e la mancanza di specificazione della pena per esso inflitta non consente di valutare appieno le censure in punto adeguatezza del trattamento sanzionatolo articolate in ricorso.
3.1. Inammissibile è invece la doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, giacchè gli argomenti difensivi attengono a valutazioni squisitamente di fatto e i giudici di merito hanno fatto esauriente riferimento alla gravità dei delitti e ai precedenti penali del ricorrente, e cioè a parametri espressamente richiamati dall’art. 62 bis c.p..
4. La sentenza impugnata deve di conseguenza essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio per entrambi gli imputati, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania che procederà a nuovo giudizio sul punto, attenendosi ai principi enunciati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Catania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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