Cass. pen., sez. I 24-03-2009 (06-03-2009), n. 12876 Nomina di altri difensori in eccedenza – Riferimento alla data di effettiva attivazione delle operazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1.1. – La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza dell’11/3/ – 9/6/2008, dopo avere preliminarmente respinto tutte le eccezioni in rito, di nullità degli atti e di inutilizzabilità delle prove, sollevate dai difensori degli imputati, confermava la sentenza in data 5/12/2006 del Tribunale di Cosenza, che aveva ritenuto fondata l’ipotesi accusatoria circa l’esistenza di un’associazione mafiosa, organizzata e diretta da L.E. ("il principale"), P. F. e C.C., finalizzata al controllo delle attività economiche nel territorio di (OMISSIS) e, in particolare, alla realizzazione dei reati di usura, estorsione, ricettazione, truffa: associazione della quale facevano parte Pe.
G. ("zio P."), fiduciario di P. nella riscossione delle somme provento delle usure e delle estorsioni, C. F. e R., stretti collaboratori del fratello C. e il secondo contabile del gruppo, Co.Ma., cugino e uomo di fiducia dei Chirillo, e B.B., collaboratore degli stessi, nonchè, quali concorrenti esterni, Co.An., moglie di C.C., stabilmente incaricata della veicolazione all’esterno delle direttive del marito detenuto mediante "bigliettini" o "pizzini" e della riscossione di somme di denaro di illecita provenienza, e V.D., nella veste di intermediario fra l’associazione e le vittime delle attività usurarie ("fa girare i soldi dell’usura", "fa bidoni").
La Corte distrettuale, ai fini della ricostruzione della struttura e della strategia organizzativa dell’associazione criminosa, della suddivisione territoriale e dello specifico ruolo svolto da ciascuno degli imputati, valorizzava il materiale probatorio costituito dalle convergenti propalazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia A. (già contabile del sodalizio), Be., Pi. e Ar., riscontrate dai risultati delle intercettazioni di conversazioni telefoniche e ambientali captate nei colloqui in carcere fra C.C. con il fratello F. e con la moglie Co.An., ovvero fra P.F. e la moglie Pe.Da., con particolare riguardo alle modalità della mutua assistenza economica fra gli associati, alle verifiche contabili dei capi circa l’entità e la destinazione dei proventi del crimine, al diretto coinvolgimento degli associati in plurimi episodi di usura e di estorsione, dalle dichiarazioni accusatorie delle vittime Ch., D.S., Z., Pi. e Lo..
Ritenuta peraltro l’identità di tale associazione mafiosa con quella per cui erano stati già giudicati con sentenza definitiva nel processo "(OMISSIS)" e mancando la prova di ulteriori condotte partecipatile successive al loro arresto avvenuto il (OMISSIS), L. e P. sono stati prosciolti dal reato associativo ex art. 649 c.p.p., mentre nei confronti di C.C., deceduto nelle more dell’appello, si è dichiarato non doversi procedere per morte dell’imputato; dal reato associativo è stato pure assolto M.M. per difetto di specificità delle accuse dei collaboratori circa l’identificazione e la stabilità del ruolo da lui ricoperto nell’organizzazione.
1.2. – Quanto ai reati di usura aggravata commessi in danno di Ch.Em., amministratore delle società "(OMISSIS)" e " (OMISSIS)", la Corte riconosceva il ruolo preminente svolto da V.D., il quale, sia prima che dopo il suo ingresso come socio di fatto nella soc. (OMISSIS) mediante il conferimento di assegni, rimasti insoluti, per una quota del 33%, reperiva denaro a usura prestato dalle casse dell’associazione mafiosa – alla cui provvista provvedeva Ch. mediante assegni personali o tratti su conti correnti delle medesime società -, partecipando quindi alla riscossione degli interessi usurari per una quota del 2-3%. Si tratta, in particolare, dei reati di usura ascritti a V. (capi 2-4-17-18-23-25), a V., P. e sua moglie in concorso (capi 11-13-14, aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7), a V. e L. in concorso (capi 15-16, aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7), a V. e B. in concorso (capi 26-28-30-34) e alla conseguente ricettazione mediante incasso del titolo da parte di V.F., fratello di D. (capo 35).
Le dichiarazioni accusatorie di Ch., sentito come imputato di reato connesso, erano considerate attendibili intrinsecamente e, di volta in volta, efficacemente riscontrate in ordine ai singoli episodi dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite nel suo studio e nella sua autovettura o nella sala colloqui del carcere ove erano detenuti P. e C. C., dalle parziali ammissioni di V. e D.L., dalle testimonianze di S., G., St. e altri, dalle propalazioni del collaboratore Ar., dalla documentazione bancaria e contabile acquisita dalla GdF, con riguardo agli assegni emessi da Ch. e negoziati da beneficiari riconducigli alle persone degli imputati, dai costosi regali fatti da Ch. a P., L. e C.C. o alle rispettive mogli.
Si dava pure atto che, nel separato procedimento, gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato erano stati assolti da altra sezione della medesima Corte d’appello con sentenza n. 1255/06, per gli stessi o per diversi reati, non essendosi ritenute, in quel processo, sufficientemente sorrette da riscontri esterni individualizzanti le relative accuse di Ch., così com’era peraltro avvenuto nel presente procedimento in ordine alla imputazioni per le quali il quadro probatorio era stato considerato insufficiente o contraddittorio (sicchè V. era stato assolto dai capi 10-12-16-17-18-19-20-21-22-23-24-25-36-37-38, P. dai capi 10-11-12, D.L. dai capi 68-69).
1.3. – Circa i reati di estorsione (capo 6) commessi in danno di Ch. prima da G. e Ma. (quest’ultimo, noto pregiudicato, assolto nel separato giudizio per inidoneità offensiva della frase minacciosa da lui pronunciata all’indirizzo di Ch. in presenza di G.) per il recupero di un credito inesistente – una "mazzetta" – di L. 300.000.000 per l’acquisto di un terreno da parte della soc. (OMISSIS), e poi dal gruppo mafioso Presta, C.C., Pe., M. e V.D., cui quest’ultimo aveva indirizzato Ch. per assicurarsene l’asserita "protezione" e per ottenere un adeguato "sconto" del debito, le dichiarazioni accusatorie di Ch. trovavano riscontro nelle intercettazioni ambientali eseguite nel suo studio e in carcere, nelle dichiarazioni di G., nel sequestro dei titoli nell’abitazione di Co. e nello studio di Ch., nell’avvenuta negoziazione di una parte degli stessi. Conseguiva a tali riscontri probatori anche l’affermazione di responsabilità di Co. e Ca. per la ricettazione (capi 7 e 9) dei relativi assegni sequestrati o negoziati, della cui illecita provenienza essi erano consapevoli, nonchè di V. per le regalie (gioielli, autovetture ed altro) estorte a Ch. nel medesimo contesto criminale a favore dei capi del gruppo o delle loro mogli (capo 8).
1.4. – Anche per i reati di usura aggravata commessi da D.L. (capi 40-41-42-43-44-45-46 e capi 65-67-71-72-73-74-75, quest’ultimi in concorso con Ci.Pi.), titolare della soc. (OMISSIS) e socio di Ch., con riguardo ai prestiti a tasso usurario che Ch. rimborsava a D.L. con assegni incassati dalle figlie di quest’ultimo e il cui provento veniva acquisito al patrimonio personale dello stesso, separato e occulto rispetto a quello societario, la versione accusatoria di Ch. veniva riscontrata dalle risultanze delle indagini bancarie, dalle accertate modalità di negoziazione dei titoli all’incasso, dalle parziali ammissioni di D.L. e da talune conversazioni intercettate.
1.5. – Quanto agli episodi, tra essi storicamente collegati e speculari, di usura e di estorsione in danno di D.S. S. e di Z.F., per i quali sono stati giudicati colpevoli, rispettivamente, L.E. (pure ristretto in regime di art. 41-bis O.P. e nonostante l’assoluzione in separato giudizio del fratello M., incaricato dell’operazione) per il capo 78a, D. per il capo 78b, Po. e D. per il capo 79a, D. per il capo 79b, P. e Pe. per il capo 79c, P., Pe. e S. per i capi 79d e 81 (nonostante l’assoluzione in separato giudizio dei coimputati Sc. e s.), la Corte territoriale valorizzava, ai fini della ricostruzione probatoria degli episodi e dei ruoli dei singoli imputati, le convergenti dichiarazioni delle persone offese e del teste p., considerate coerenti con gli esiti delle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Circa i reati di estorsione in danno di Pi.Di. (capo 61), relativamente alla sua attività di pranoterapeuta, di tentata estorsione in danno del concessionario Lo. (capo 62, qualificato in primo grado esercizio arbitrario delle proprie ragioni), per l’acquisto di un’autovettura senza copertura per il finanziamento, e di truffa in danno del concessionario Pa. (capo 2 parte 2^), per l’acquisto di un’autovettura poi rivenduta, intestata a C. C. mediante un falso documento d’identità recante la foto di Be.Fi., l’affermazione di responsabilità dei fratelli C. era motivata con riferimento alle conversazioni ambientali intercettate in carcere fra C.C. e il fratello F. o la moglie Co.An., alle testimonianze delle persone offese e alla documentazione in atti; C.F. veniva inoltre dichiarato responsabile dei reati di falso e ricettazione del modulo di carta d’identità contraffatto con l’effigie del Be.Fi. e utilizzato per la cennata truffa (capi 3 e 4 parte 2^).
1.6. – Con riguardo al trattamento sanzionatorio, la Corte, previa declaratoria di non doversi procedere nei confronti di C. C. per essere i reati estinti per morte dell’imputato, riconosciuta la continuazione fra il reato associativo e i delitti fine e operato l’opportuno bilanciamento delle circostanze in relazione alla rispettiva caratura criminale dei prevenuti, rideterminava per ciascuno di essi le pene e le misure di sicurezza inflitte in prime cure, tenuto conto del parziale accoglimento dell’appello del P.M.; condannava inoltre il G. al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede a favore della soc. (OMISSIS), avuto riguardo all’affermazione di responsabilità dello stesso per la tentata estorsione di cui al capo 6).
2. – Avverso detta sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione il P.G. presso la Corte d’appello di Catanzaro, il difensore della parte civile soc. (OMISSIS) e i difensori degli imputati, articolando plurimi motivi di gravame per i seguenti profili di violazione di legge e di mancanza o illogicità della motivazione.
2.1. – Il P.G. ha denunziato l’erroneo riconoscimento della continuazione fra reato associativo e reati fine quanto agli imputati V.D. (la cui posizione è stata stralciata per il giustificato impedimento del difensore, avv. T. Sorrentino, a comparire per l’odierna udienza), Pe., Co.Ma., C.R. e F., pure in assenza di alcuna prova della medesimezza del disegno criminoso, e del cd. "bis in idem" ritenuto ex art. 649 c.p.p. a favore di L. e P. per il reato associativo, attesa la diversità dei reati fine e del perimetro temporale di operatività delle due associazioni; ha altresì contestato la fondatezza dell’assoluzione di M. per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa, nonostante le dichiarazioni dei collaboratori e del Ch. e il tenore della conversazione intercettata il (OMISSIS) fra Ch. e V..
2.2. – La parte civile, soc. (OMISSIS), ha lamentato l’omessa statuizione di condanna al risarcimento dei danni a carico di V.F., pure ritenuto responsabile del reato di ricettazione (capo 35) dell’assegno proveniente dall’usura di cui al precedente capo.
2.3. – V.D. (la cui posizione è stata peraltro stralciata per il giustificato impedimento del difensore, avv. T. Sorrentino, a comparire per l’odierna udienza) ha dedotto il travisamento dei fatti e delle prove in ordine a tutti i reati contestati, il difetto degli elementi costitutivi della fattispecie estorsiva nelle ipotesi di cui ai capi 6) e 8), l’insussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, l’immotivato diniego delle attenuanti generiche.
2.4. – V.F., quanto alla ricettazione di cui al capo 35) per la negoziazione del titolo asseritamente proveniente da usura in danno di Ch., ha denunziato il travisamento delle prove circa la natura dei sottostanti rapporti economici con il coimputato B..
2.5. – L.E. ha dedotto, per i reati di usura di cui ai capi 16) e 78a), la inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie di Ch. e D.S. e dei testi St. e Z. e il travisamento delle conversazioni intercettate, sottolineando la contraddittorietà dell’affermazione di una sua responsabilità rispetto al giudicato assolutorio per il coimputato L. M. nel separato procedimento conclusosi con sentenza n. 1255/06 della medesima Corte d’appello, nonchè la circostanza che egli all’epoca dei fatti era ristretto in regime carcerario ex art. 41 bis O.P..
2.6. – Il difensore di Co.An., nella qualità di moglie del defunto C.C., con un unico motivo di gravame illustrato anche con memoria integrativa, ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 150 c.p., artt. 314 e 315 c.p.p., art. 568 c.p.p., comma 3, artt. 571, 643, 644 e 645 c.p.p., in relazione agli artt. 3, 24, 27, 111 e 117 Cost., artt. 5 e 6 Conv. eur. d. uomo, per la mancata previsione, tra i soggetti legittimati ad impugnare, dei parenti dell’imputato deceduto nel corso del processo di cognizione, al fine di pervenire ad un’affermazione di innocenza del congiunto ed al conseguimento dei danni da errore giudiziario.
2.7. – Lo stesso difensore, per C.F. e C. M., dopo avere riproposto le eccezioni di nullità della richiesta e del decreto di rinvio a giudizio, di inutilizzabilità delle relazioni di servizio, delle intercettazioni e delle dichiarazioni dei collaboratori, nei termini già esposti e disattesi in appello, ha contestato, in merito all’affermazione di responsabilità per il reato associativo e per i plurimi reati fine di usura, estorsione, truffa, ricettazione e falso, l’apprezzamento di attendibilità delle dichiarazioni di Ch. e dei collaboratori A. e Be., la genericità e l’irrilevanza delle conversazioni intercettate in carcere, l’equivocità della documentazione acquisita, sottolineando la contraddittorietà della decisione con la pronuncia assolutoria della medesima Corte d’appello nel separato procedimento conclusosi con sentenza n. 1255/06 e invocando l’elisione delle ritenute aggravanti di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e art. 61 c.p., n. 7, la concessione delle attenuanti generiche e un più mite trattamento sanzionatorio.
2.8. – Co.An., a sua volta, premessa l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni per le ragioni già esposte e disattese in appello, ha denunziato l’erronea valutazione delle prove quanto al ruolo e al consapevole contributo recato all’associazione mafiosa mediante la mera acquisizione, nel corso dei colloqui avuti in carcere, del "biglietti" o "pizzini" affidatile del marito.
2.9. – Analoghi motivi di gravame sono stati proposti da C. R., fratello di C. (contabile del gruppo), e da B. B. (addetto alle "ambasciate" del capo) in ordine all’apprezzamento giudiziale delle prove dei reati ad essi rispettivamente contestati e delle relative aggravanti.
2.10. – La difesa di P.F., dopo avere ribadito le censure di nullità della richiesta e del decreto di rinvio a giudizio e di inutilizzabilità delle intercettazioni per le medesime ragioni esposte e disattese in appello, ha dedotto la carente e contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione di attendibilità delle persone offese Ch., D.S. e Z. e dei riscontri esterni individualizzanti, la contraddittorietà con la sentenza assolutoria n. 1255/06 pronunciata nei confronti di altri imputati degli stessi reati dalla medesima Corte d’appello (egli doveva essere assolto anche dal reato associativo di cui al capo 1, per il quale era stato invece applicato con la sentenza impugnata il disposto dell’art. 649 c.p.p.) e con la circostanza che egli era detenuto in carcere all’epoca dei fatti, denunziando altresì l’insussistenza degli elementi costitutivi delle usure e delle estorsioni e delle relative aggravanti (capi 6-13-14-79- 81), nonchè l’inadeguata motivazione in punto di determinazione della pena e di diniego delle attenuanti generiche.
2.11. – Analoghi motivi di gravame sono stati proposti da Pe.Da., moglie di P., la quale ha contestato la valutazione probatoria circa il ruolo da essa asseritamente rivestito di consapevole intermediaria delle volontà del marito detenuto e di incaricata della riscossione delle rate dei prestiti usurari di cui ai capi 13) e 14).
2.12. – Pe.Gi. ("zio P.") ha contestato la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di estorsione, sottolineando il contrasto motivazionale, per il profilo della valutazione probatoria, con la pronuncia assolutoria dei coimputati Ma., s. e Sc. nel separato procedimento conclusosi con la citata sentenza n. 1255/06; ha inoltre evidenziato l’aggravamento in peius dell’aumento di pena detentiva fissato in appello per le aggravanti (anni 3 anzichè 2), prima dell’applicazione della continuazione.
2.13. – Ca.Sa. ha dedotto, alla luce delle deposizioni dei testi sc., il travisamento delle prove quanto alla ricettazione contestatagli nel capo 9), il difetto di dolo specifico, la sussistenza dell’attenuante dell’art. 62 c.p., n. 6, la qualificazione del fatto come favoreggiamento reale.
2.14. – D.L.F. ha contestato l’attendibilità del Ch. per la ricostruzione dei rapporti economici relativi ai reati di usura asseritamente consumati in suo danno, l’insussistenza delle aggravanti e l’eccessività della pena inflitta.
2.15. – M.M. ha pure denunziato l’inattendibilità del Ch. in merito all’estorsione ascrittagli, per la quale gli altri coimputati Ma., G., Sc., Co. e s. erano stati assolti in separato giudizio con la citata sentenza n. 1255/06.
2.16. – D.A., relativamente ai reati di usura e di estorsione di cui ai capi 78) e 79) in danno di D.S., dopo avere eccepito nuovamente l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e ambientali, ha dedotto l’inattendibilità di D. S., il quale doveva essere peraltro ascoltato quale imputato di reato connesso e non come testimone, e dei testi Z. e p., il travisamento della natura dei rapporti con i L. e l’insussistenza/incompatibilità dell’aggravante del metodo mafioso con il reato di usura.
2.17. – Analoghi motivi di gravame sono stati avanzati da Po.
P. e da S.S., il quale ha anche sottolineato come, a suo avviso, le conversazioni intercettate di D.S. erano viziate da pregressa conoscenza delle operazioni intercettative in corso.
2.18. – G.F. ha messo ancora una volta in discussione la credibilità di Ch., richiamando, quanto alla tentata estorsione contestatagli (già ritenuta esercizio arbitrario delle proprie ragioni), il contraddittorio esito assolutorio per il coimputato Ma. nel diverso procedimento conclusosi con la citata sentenza n. 1255/06 in conseguenza della ritenuta inidoneità intimidatoria della frase minatoria da lui pronunciata nel corso dell’incontro con Ch..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Occorre innanzi tutto avvertire che la posizione di V. D. è stata stralciata in considerazione del giustificato impedimento del difensore, avv. T. Sorrentino, a comparire per l’odierna udienza, sicchè il relativo procedimento, riguardante sia il ricorso di detto imputato che il ricorso del P.G. nei confronti dello stesso, è stato rinviato a nuovo ruolo.
2. – L’esclusivo motivo di ricorso con il quale Co.An., nella qualità di moglie di C.C. (deceduto nelle more del giudizio di appello, nei cui confronti la sentenza impugnata ha dichiarato non doversi procedere per essere i reati estinti per morte dell’imputato), ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 150 c.p., artt. 314 e 315 c.p.p., art. 568 c.p.p., comma 3, artt. 571, 643, 644 e 645 c.p.p., in relazione agli artt. 3, 24, 27, 111 e 117 Cost., artt. 5 e 6 Conv. eur. d. uomo, per la mancata previsione, tra i soggetti legittimati ad impugnare, dei parenti dell’imputato deceduto nel corso del processo di cognizione, al fine di pervenire ad un’affermazione di innocenza del congiunto ed al conseguimento dei danni da errore giudiziario, risulta inammissibile, in quanto proposto da soggetto non legittimato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio – condiviso dal Collegio – per cui, sulla base del principio di tassatività delle impugnazioni sotto il profilo soggettivo di cui all’art. 568 c.p.p., comma 3, la facoltà di impugnazione spetta soltanto all’imputato, non anche ai suoi prossimi congiunti o eredi dopo la morte di quest’ultimo, nè all’eventuale procuratore speciale o al difensore, la cui legittimazione ad impugnare viene meno dopo la morte dell’imputato secondo il criterio generale che regola ogni rapporto di rappresentanza o di mandato, atteso che la morte del primo fa cessare gli effetti della procura ad acta e della nomina a norma dell’art. 1722 c.c., n. 4 (conf., ex plurimis, Cass. Sez. 1^, 5/4/1993 n. 1447, Pescatore, rv. 193958; Sez. 5^, 9/2/1999 n. 3552, Andronico, rv. 213362; Sez. 6^, 3/11/1999 n. 14631, Possamai, rv.
216322; Sez. 4^, 8/11/2000 n. 58/01, Pitruzzella, rv. 219149; Sez. 7^, 6/12/2001 n. 2769/02, Porta, rv. 220662; Sez. 4^, 8/1/2003 n. 49457, Paolillo, rv. 227069; Sez. 3^, 11/4/2007 n. 35217, Voce, rv.
237407 – 408; Sez. 6^, 19/3/2007 n. 14248, Striano, rv. 236495; Sez. 3^, 15/10/2008 n. 42728, Cacciolatto, rv. 241413).
Si è anzi affermato che la preclusione del difensore in proprio e dei prossimi congiunti dell’imputato al diritto di impugnazione consegue non tanto ad una carenza di legittimazione quanto, in radice, all’intervenuta caducazione del rapporto processuale penale (e di quello civile inserito nel processo penale), ormai irreversibilmente estinto, che mai potrebbe consentire l’attivazione di alcun atto serialmente connesso a quel processo ed a quella res iudicanda, sicchè, a ben vedere, l’atto di gravame da essi formulato si palesa addirittura "improponibile" (v. Cass., Sez. un., 25/10/2000 n. 30, Poggi Longostrevi, rv. 217245; Sez. 6^, 15/1/2008 n. 22392, P.G. in proc. Mcssineo, rv. 240318).
Ne deriva il difetto di rilevanza – oltre la manifesta infondatezza (v. Cass., Sez. 1^, 5/4/1993 n. 1447, Pescatore, rv. 193959; Sez. 4^, 8/11/2000 n. 58/01, Pitruzzella, cit.) – della questione di legittimità costituzionale per la quale l’esclusione degli eredi dal novero dei soggetti legittimati a proporre impugnazione avverso la sentenza che dichiari non doversi procedere per la morte dell’imputato violerebbe i principi di uguaglianza e di garanzia della difesa.
3. – Ritiene il Collegio che le preliminari censure in rito, con le quali la maggior parte dei ricorrenti ha riproposto le medesime eccezioni di nullità di atri e di inutilizzabilità di prove, nei termini e per i profili già formulati nelle precedenti fasi e motivatamente disattesi dai giudici di merito (p. 61-94 della sentenza di appello), siano destituite di fondamento per le seguenti ragioni.
3.1. – Non si configura la nullità della richiesta e del decreto di rinvio a giudizio per omesso deposito presso la segreteria del pubblico ministero degli atti di indagine dopo l’avviso di conclusione delle stesse, di cui era stata disposta la rinnovata notificazione al difensore di C.F., poichè i voluminosi atti di indagine – come aveva appreso fin dall’inizio il difensore – erano per motivi contingenti materialmente disponibili per la difesa dell’indagato presso la cancelleria del Gip., cui essi erano stati previamente trasmessi dopo la positiva notifica del medesimo avviso ai difensori degli altri imputati, essendosi così pienamente realizzata la doverosa discovery degli stessi con la concreta possibilità per la difesa di prenderne visione e di estrarne copia.
3.2. – Risulta infondata l’eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio per l’omesso interrogatorio "richiesto" il (OMISSIS) da C.F. e Po. dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, atteso che il P.M., il quale aveva già comunicato il 15/1/2005 l’avviso d’interrogatorio "di iniziativa" dei predetti indagati per il (OMISSIS), aveva comunque proceduto al regolare interrogatorio nel giorno all’uopo fissato, attesa l’imminente scadenza dei termini custodiali di fase, senza alcuna compressione del diritto di difesa.
3.3. – Priva di pregio si palesa l’eccezione di nullità del decreto di rinvio a giudizio per omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini al codifensore di P.F., avv. Giampiero Calabrese. L’avviso risulta invero notificato il 15/11/2004 agli avv.ti Franco Locco e Sergio Calabrese, i quali, nominati dall’indagato fin dall’11/11/2004 pur senza revoca espressa del primo, fin da quel momento hanno senza soluzione di continuità assistito in concreto il P. sia nell’udienza preliminare che in tutte le fasi del processo, sicchè l’imputato, con un comportamento concludente e inequivoco, ha dimostrato che intendeva affidare l’incarico difensivo solo agli avv.ti Locco e Sergio Calabrese, revocando implicitamente la nomina in eccedenza dell’avv. Giampiero Calabrese (conf. Cass., Sez. 5^, 9/7/1998 n. 9478, Petronelli, rv.
211451; Sez. 5^, 9/2/1999 n. 3549, P.M. in proc. Pucciarelli, rv.
212763; Sez. 4^, 2/7/2002 n. 31455, Gadner, rv. 222205; Sez. 5^, 3/10/2002 n. 36341, Zulianello, rv. 222678).
3.4. – Quanto all’eccezione di inutilizzabilità delle relazioni di servizio della polizia giudiziaria di cui ai modelli OP 85, consistenti nel rilevamento e nell’osservazione "occasionale" di contatti fra soggetti di interesse operativo durante i controlli su strada da parte delle forze di polizia, occorre rilevare che trattasi di operazioni descrittive di situazioni e contesti storico-spaziali, condotte al di fuori di attività d’indagine in senso stretto e non riproducibili mediante moduli narrativi nel dibattimento, nei genuini termini informativi in cui esse sono state "fotografate" nell’immediatezza: atti irripetibili, quindi, che, come tali, ben possono essere acquisiti al fascicolo per il dibattimento e utilizzati come prova (v. Cass., Sez. Un., 17/10/2006 n. 41281, P.M. in proc. Greco, rv. 234906).
3.5. – E’ stata anche dedotta l’inutilizzabilità, ai sensi del D.L. n. 8 del 1991, art. 16-quater, comma 9 conv. in L. n. 82 del 1991, ins. dalla L. n. 45 del 2001, art. 14, delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori A. e Be., siccome rese per la prima volta in dibattimento oltre il termine di 180 giorni previsto per la redazione del verbale informativo dei contenuti della collaborazione. L’eccezione è infondata poichè la prevista sanzione di inutilizzabilità trova applicazione solo con riferimento alle dichiarazioni rese fuori dal contraddittorio e, dunque, non alle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento (v., da ultimo, Cass., Sez. 1^, 13/6/2007 n. 35368, P.G. in proc. D’Arma, rv. 237616; Sez. 5^, 6/11/2007 n. 46328, Galletta, rv. 237979; Sez. 6^, 22/1/2008 n. 27040, Aparo, rv. 241007; cui adde Cass., Sez. Un., 25/9/2008 n. 1150/09, Correnti, rv. 241885).
3.6. – Parimenti infondata appare l’ulteriore questione relativa alla inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 63 c.p., comma 2 e art. 192 c.p., comma 3 (rectius: art. 192 c.p.p., comma 4 e art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), delle dichiarazioni della persona offesa, D. S.S., sul rilievo che egli doveva essere sentito nel dibattimento di primo grado come imputato di reato probatoriamente connesso. Ed invero, la Corte distrettuale ha precisato, in linea di fatto e in termini insindacabili dal giudice di legittimità, che D. S. non aveva rilasciato dichiarazioni autoindizianti durante l’esame testimoniale e che a suo carico non erano emerse iscrizioni per reati connessi o collegati, rilevandosi, per altro verso, che il soggetto passivo del delitto di estorsione assume, di regola, la veste di vittima e di testimone nel processo a carico dell’estorsore.
3.7. – E’ stata inoltre denunziata l’inutilizzabilità probatoria delle intercettazioni telefoniche e ambientali per i distinti e plurimi profili: della insufficiente motivazione dei decreti di convalida e di proroga circa il quadro indiziario, l’indispensabilità delle operazioni intcrcettative, l’urgenza e l’indisponibilità degli impianti; della effettiva diversità dei procedimenti in cui esse erano state autorizzate; dell’incerta originalità di parte dei supporti informatici esaminati dal perito;
della consapevolezza del D.S. di essere intercettato.
Le censure difensive, con le quali i ricorrenti si limitano a riproporre le medesime critiche già svolte e disattese, non tengono affatto conto, in realtà, delle corrette e logiche (perciò insindacabili in sede di legittimità) argomentazioni, sul punto, della sentenza impugnata.
Sembra invero agevole rilevare che:
– i decreti autorizzativi, di convalida e di proroga, anche per relationem agli atti di indagine, sono adeguatamente motivati con riferimento ai presupposti legittimanti il mezzo istruttorio, la sussistenza dei gravi indizi di reato e l’indispensabilità del mezzo di ricerca della prova;
– il decreto di convalida delle intercettazioni di cui al RIT 66/02 è congruamente motivato con riguardo alle intercettazioni ambientali nella sala colloqui del carcere ove era ristretto C.C., anche se per mero errore materiale il dispositivo si riferisce alla "utenza" suindicata;
– il decreto del P.M., relativo alle intercettazioni di cui al RIT 66/02, reca esauriente motivazione, ex art. 268 c.p.p., comma 3, delle ragioni che giustificavano l’utilizzo di impianti diversi da quelli in dotazione della Procura, sia per il profilo dell’eccezionale urgenza correlata alla coessenzialità dell’immediato ascolto alla ritenuta esistenza in atto di un’attività criminosa mediante gli ordini impartiti in carcere dal capo nel corso dei colloqui con i familiari (essendo irrilevante la circostanza del ritardo organizzativo nell’attivazione delle operazioni intercettative), sia per l’ulteriore profilo della concreta indisponibilità di linee libere ed efficienti presso gli uffici di Procura, giusta la certificazione del responsabile della sala ascolto, app. Q., corroborata anche da successiva documentazione;
– i decreti di proroga relativi alle intercettazioni di cui al RIT 66/02 risultano tempestivamente emessi con riferimento all’epoca di effettiva attivazione delle relative operazioni, e non alla data del decreto autorizzatorio (Cass., Sez. 1^, 9/5/1994 n. 2134, Sonnino, rv. 197697; Sez. 6^, 12/12/1995 n. 5501, Falsone, rv. 205648; Sez. 1^, 17/11/1999 n. 14595, Toscano, rv. 216205);
– circa il preteso divieto di utilizzazione di cui all’art. 270 c.p.p., i risultati delle intercettazioni di cui ai RIT 66/02 e 7/2002 (233/02), pur disposte in altri procedimenti, ben potevano essere utilizzati nel presente procedimento per l’accertamento dei delitti di usura per i quali non è obbligatorio l’arresto in flagranza, poichè l’attività d’indagine svolta in quei procedimenti, seppure instaurati per reati diversi dall’usura e dall’estorsione con riguardo alle operazioni finanziarie della soc. (OMISSIS), gestita da Ch. e D.L., ed alle ulteriori attività criminose della medesima associazione mafiosa de qua, appariva strettamente collegata, per l’aspetto oggettivo, finalistico e probatorio, ai reati in ordine ai quali il mezzo di ricerca della prova è stato disposto (v., ex plurimis, Cass., Sez. 1^, 17/11/1999 n. 14595, Toscano, rv. 216206; Sez. 2^, 19/1/2004 n. 9579, Amato, rv.
228384; Sez. 1^, 4/11/2004 n. 46075, P.M. in proc. Kunsmonas, rv.
230505; Sez. 3^, 13/11/2007 n. 348/08, P.M. in proc. Ndoja, rv.
238779);
– le bobine e i supporti informatici originali delle intercettazioni di cui al RIT 66/02 sono stati regolarmente acquisiti e depositati presso l’ufficio corpi di reato del Tribunale, e posti a disposizione dei difensori degli imputati, con facoltà per gli stessi di ascoltare le registrazioni o farne eseguire la trasposizione su nastro magnetico, sicchè non assume rilievo la circostanza che, ai fini della trascrizione peritale delle medesime registrazioni, si sia fatto uso, secondo la deposizione del m.llo Li., di "cassette già filtrate" (donde la ritenuta superfluità della rinnovazione della perizia sui supporti originali, tenuto conto anche della consulenza tecnica di parte e degli esiti istruttori emersi nel dibattimento di primo grado);
– non vi erano prove certe, ma solo sospetti e congetture, che D. S. fosse a conoscenza dell’attività captativa in corso nei suoi confronti.
3.8. – Quanto, infine, alla denunziata nullità dell’udienza camerale del 20/12/2005 davanti al G.u.p., fissata per il deposito della perizia di trascrizione delle intercettazioni, nel corso della quale, in assenza del perito impedito a comparire per ragioni di salute, l’operazione materiale di deposito della relazione è stata eseguita da un incaricato dello stesso, la Corte distrettuale, in base al principio di tassatività delle invalidità degli atti e in difetto di alcun pregiudizio per i diritti della difesa, ha correttamente ritenuto non essersi integrata in tale situazione alcuna nullità nè la conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni.
4. – Nel merito delle imputazioni i ricorrenti, con motivi di gravame sostanzialmente sovrapponibili, attinenti alla consistenza degli indizi circa l’effettiva sussistenza di un sodalizio criminoso e la loro concreta partecipazione al reato associativo o ai singoli episodi di usura, estorsione, ricettazione e truffa, ascritti rispettivamente a ciascuno di essi, hanno censurato il travisamento delle prove e l’errata valutazione dei contenuti fattuali sia delle prove dichiarative sia delle conversazioni telefoniche intercettate.
4.1. – Occorre premettere in proposito che, dando correttamente atto che, nel separato procedimento, gli altri imputati che avevano scelto il rito abbreviato erano stati assolti da altra sezione della medesima Corte d’appello di Catanzaro con sentenza n. 1255/06, per gli stessi o per diversi reati, essendosi valutato, in quel processo, insufficiente e contraddittorio il quadro probatorio complessivo, ivi comprese le dichiarazioni di Ch. considerate non sufficientemente sorrette da riscontri esterni individualizzanti, la Corte territoriale ha ritenuto di dover procedere autonomamente alla valutazione del materiale probatorio acquisito nel presente procedimento, verificando di volta in volta, con riguardo alle specifiche fattispecie contestate e alle singole posizioni individuali, la portata di ciascuna prova e l’affidabilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni accusatorie delle persone offese.
Osserva il Collegio che non è dato affermare l’esistenza di alcun vincolo valutativo, derivante per il giudice dell’autonomo procedimento dal giudizio espresso sulle prove e sulla responsabilità nel separato procedimento a carico di altri imputati anche per i medesimi reati ( Ma., L.M., Sc., s.), ferma restando in ogni caso, in caso di contrasto fra giudicati, la facoltà di chiedere la revisione della sentenza di condanna per l’oggettiva inconciliabilità dei fatti storici accertati stabiliti a fondamento della condanna con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile (non per la mera contraddittorietà logica fra le differenti valutazioni effettuate nelle due decisioni), a norma dell’art. 630 c.p.p., lett. a).
4.2. – Ciò posto, i giudici di merito, hanno ritenuto fondata l’ipotesi accusatoria circa l’esistenza di un’associazione mafiosa, organizzata e diretta da L.E. ("il principale"), P. F. e C.C., nel territorio di (OMISSIS), finalizzata in particolare alla realizzazione di reati di usura, estorsione, ricettazione e truffa, della quale facevano parte Pe., incaricato da P. per la riscossione delle somme di denaro, C.F. e R., stretti collaboratori del fratello C. e il secondo contabile del gruppo, C. M. e B.B., il primo cugino ed entrambi uomini di fiducia dei Chirillo, nonchè, quali concorrenti esterni, Co.
A., moglie di C.C., stabilmente incaricata della veicolatorie all’esterno delle direttive del marito detenuto mediante "bigliettini" o "pizzini" e della riscossione di somme di denaro di illecita provenienza, e V.D., nella veste di intermediario fra l’associazione e le vittime delle attività usurarie.
Ai fini della ricostruzione della struttura e della strategia organizzativa dell’associazione criminosa, della suddivisione territoriale e dello specifico ruolo, anche apicale, svolto da ciascuno degli imputati, è stato valorizzato il materiale probatorio costituito dalle convergenti propalazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia A. (già contabile del sodalizio), Be., P. e Ar., e dalle dichiarazioni delle vittime dei reati fine, Ch., D.S., Z., Pi. e Lo., riscontrate dagli emblematici e inequivoci risultati delle intercettazioni di conversazioni telefoniche e ambientali, captate nei colloqui in carcere fra C.C. con il fratello F. e con la moglie Co.An. ovvero fra P. e la moglie Pe.Da., con particolare riguardo alle modalità della mutua assistenza economica fra gli associati, alle verifiche contabili dei capi, al diretto coinvolgimento dei singoli associati in plurimi episodi di usura e di estorsione, al consapevole, rilevante e reiterato contributo dato al sodalizio criminoso dalla moglie di C.C., nel ruolo di intermediaria nella veicolazione all’esterno degli ordini e della volontà del marito, detenuto in carcere.
Quanto ai reati di usura e di ricettazione (si tratta dei reati di usura ascritti a V. nei capi 2-4-17-18-23-25, a V., P. e sua moglie in concorso nei capi 1143-14, a V. e L. in concorso nei capi 15-16, a V. e B. in concorso nei capi 26-28-30-34) e alla conseguente ricettazione mediante incasso del titolo da parte di V.F., fratello di D. (capo 35), commessi in danno di Ch.Em., dottore commercialista e amministratore delle società (OMISSIS) e (OMISSIS), aggravati dalla conoscenza delle qualità professionali e dello stato di bisogno della vittima e per taluni episodi anche L. n. 203 del 1991, ex art. 7 per il metodo mafioso utilizzato, la Corte distrettuale ha riconosciuto il ruolo preminente svolto da V.D., il quale aveva il compito di reperire denaro a usura per conto dell’associazione mafiosa, partecipando poi alla riscossione di una quota degli interessi usurari; ha quindi giudicato le dichiarazioni accusatorie di Ch., sentito come imputato di reato connesso, attendibili intrinsecamente e, di volta in volta, efficacemente riscontrate in ordine ai singoli episodi dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite nel suo studio e nella sua autovettura o nella sala colloqui del carcere ove erano detenuti P. e C.C., dalle parziali ammissioni di V. e D.L., dalle testimonianze di S., G., St. e altri, dalle propalazioni del collaboratore Ar., dalla documentazione bancaria e contabile acquisita dalla GdF, con riguardo agli assegni emessi da Ch. e negoziati da beneficiari riconducigli alle persone degli imputati, dai costosi regali fatti da Ch. a P., L. e C.C. o alle rispettive mogli.
Circa i reati di estorsione (capo 6) e di ricettazione (capi 7 e 9) commessi in danno di Ch. prima da G. e Ma. per il recupero di un credito inesistente – una "mazzetta" – di L. 300.000.000 per l’acquisto di un terreno da parte della soc. (OMISSIS), e poi dal gruppo mafioso Presta, Ch.Ca., P., M. e V.D., cui quest’ultimo aveva indirizzato Ch. per assicurarsene la "protezione" e per ottenere uno "sconto" del debito, le dichiarazioni accusatorie di Ch. trovavano riscontro, ad avviso della Corte territoriale, nelle intercettazioni ambientali eseguite nel suo studio e in carcere, nelle dichiarazioni di G., nel sequestro dei titoli nell’abitazione di Co.Ma. e nello studio di Ch., nell’avvenuta negoziazione di alcuni assegni da parte del Ca., nella consapevolezza della loro illecita provenienza, nelle regalie fatte ai capi della cosca (capo 8).
Anche per i reati di usura aggravata commessi da D.L. (da solo o in concorso con Ci.Pi.: capi 40-41-42-43-44-45-46 e capi 65-67-71-72-73-74-75), titolare della soc. (OMISSIS) e socio di Ch., con riguardo ai prestiti a tasso usurario che Ch. rimborsava a D.L. con assegni incassati dalle sue figlie e il cui provento veniva acquisito al patrimonio personale di questi, separato e occulto rispetto a quello societario, la versione accusatoria di Ch. veniva riscontrata dalle risultanze delle indagini bancarie, dalle accertate modalità di negoziazione dei titoli all’incasso, dalle parziali ammissioni di D.L. e da talune conversazioni intercettate.
Quanto agli episodi, tra essi storicamente collegati e speculari, di usura e di estorsione in danno di D.S.S. e di Z.F. (capi 78-79-81, per i quali sono stati giudicati colpevoli L.E., pure ristretto in regime di art. 41 – bis o.p. e nonostante l’assoluzione in separato giudizio del fratello M., D., Po., P., Pe. e S., nonostante l’assoluzione in separato giudizio dei coimputati Sc. e s.), la Corte territoriale valorizzava, ai fini della ricostruzione probatoria degli episodi e dei ruoli dei singoli imputati, le convergenti dichiarazioni delle persone offese e del teste p., ritenute coerenti con gli esiti di talune intercettazioni telefoniche e ambientali.
Circa i reati di estorsione in danno di Pi.Di. (capo 61), relativamente alla sua attività di pranoterapeuta, di tentata estorsione in danno del concessionario Lo. (capo 62) per l’acquisto di un’autovettura senza copertura per il finanziamento, e di truffa, falso e ricettazione (capi 2-3-4 Parte 2^) in danno del concessionario Pa. per l’acquisto di un’autovettura poi rivenduta, intestata a C.C. mediante un falso documento d’identità recante la foto di Be.Fi., l’affermazione di responsabilità dei fratelli C. era motivata con riferimento alle conversazioni ambientali intercettate in carcere, alle testimonianze delle persone offese e alla documentazione in atti.
4.3. – Orbene, ritiene il Collegio che l’imponente mole di elementi d’accusa dotati di una ben chiara oggettività convergeva significativamente ed univocamente nella definizione del contributo dato da ciascuno degli imputati all’esecuzione delle attività criminose rispettivamente contestate, puntualmente descritto in riferimento alle singole posizioni processuali con ampie e adeguate linee argomentative. E tale conclusione non è sindacabile in sede di legittimità perchè aderente ai principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione in tema di valutazione della prova di accusa ed inoltre sorretta da logica e puntuale motivazione, saldamente ancorata alle risultanze del quadro probatorio, dandosi ragione delle scelte eseguite e del privilegio accordato a taluni elementi fattuali e concludendosi senza contraddizioni o salti logici per la responsabilità degli imputati.
Tutte le censure mosse dai ricorrenti in merito all’affermazione di responsabilità per i delitti ad essi rispettivamente contestati risultano pertanto destituite di fondamento ed i ricorsi degli stessi vanno pertanto rigettati.
5. – Si palesano altresì manifestamente infondati e, per taluni versi, addirittura aspecifici i motivi di ricorso attinenti alla concreta determinazione della pena e alle statuizioni di confisca di beni, all’applicazione delle circostanze aggravanti, quelle proprie dei reati di usura, estorsione, ricettazione e truffa e quella speciale L. n. 203 del 1991, ex art. 7, ovvero al diniego delle attenuanti, in particolare delle attenuanti generiche. La Corte di merito ha, infatti, adeguatamente motivato in ordine al relativo e necessario quadro probatorio, con particolare riguardo sia alla consapevolezza dell’attività imprenditoriale e dello stato di bisogno della vittima dell’usura, sia all’avvenuta realizzazione delle condotte criminose avvalendosi, in taluni casi, delle condizioni derivanti dall’appartenenza degli imputati ad una cosca mafiosa, sia infine alla non meritevolezza delle attenuanti generiche per la gravità dei fatti e per i precedenti penali, anche gravi, di cui ciascuno degli imputati risultava gravato. Apprezzamenti, questi, tutti puntualmente e logicamente argomentati, perciò incensurabili in sede di sindacato di legittimità. 5.1. – Risulta invece fondato il motivo di ricorso con il quale Pe.Gi. ha denunziato la violazione del divieto di reformatio in peius quanto all’aumento di pena detentiva, fissato in appello sulla pena base di anni 6 di reclusione per il più grave delitto estorsivo di cui al capo 6), per l’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 (anni 3 anzichè 2, come determinato in prime cure), prima dell’applicazione dell’ulteriore aumento di pena per la continuazione con i rimanenti reati (mesi 10).
La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio nei confronti del Pe. limitatamente alla pena detentiva, che determina in anni 8 e mesi 10 di reclusione (anzichè anni 9 e mesi 10 di reclusione).
6. – Risulta Parimenti fondato il motivo di ricorso con il quale la parte civile, soc. coop. edil. "(OMISSIS)" a r.l., ha lamentato l’omessa statuizione di condanna al risarcimento dei danni (oltre che a carico di G.F. per la tentata estorsione di cui al capo 6) anche a carico di V.F., il quale è stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo 35), di ricettazione dell’assegno proveniente dall’usura di cui al precedente capo, contestata al fratello D. e al B.: condotta, quest’ultima, sicuramente generatrice di responsabilità aquiliana nei confronti della predetta società.
La sentenza impugnata va dunque annullata, sul punto, senza rinvio, limitatamente all’omessa statuizione risarcitoria a favore della parte civile soc. "(OMISSIS)" ed alla omessa, conseguente, condanna di V.F. al risarcimento dei danni a favore della parte civile da liquidarsi in separato giudizio, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla stessa sia nel giudizio di appello che nel presente giudizio.
7. – Il P.G. ha impugnato la sentenza di appello nella parte in cui, a suo avviso, era stata erroneamente riconosciuta la continuazione fra il reato associativo di cui al capo 1) e i reati fine, quanto agli imputati V.D. (la cui posizione è stata stralciata), Pe., Co.Ma., C.R. e F., in assenza di consistenti prove circa la medesimezza del disegno criminoso, nonchè era stato ritenuto il "bis in idem" a favore degli imputati L.E. e P.F. per il reato associativo, nonostante la diversità dei reati fine e del perimetro temporale di operatività delle due associazioni. Il P.G. ha altresì contestato, con uno specifico motivo di ricorso, la fondatezza dell’assoluzione di M.M. per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa, nonostante le dichiarazioni dei collaboratori e del Ch. e il tenore delle conversazioni intercettate.
Il ricorso è infondato posto che il P.G. si è sostanzialmente limitato a prospettare soluzioni fattuali diverse da quella cui è pervenuto il giudice di appello, la cui decisione, peraltro, non appare in alcun modo affetta da vizi di legittimità ed è improntata, invece, ad una corretta ed integrale valutazione dei dati probatori acquisiti e sottoposti al suo esame.
La Corte distrettuale, ai fini del proscioglimento ex art. 649 c.p.p. dal reato associativo, ha ritenuto l’identità dell’associazione mafiosa de qua con quella per cui L. e P. erano stati già giudicati con la sentenza definitiva pronunciata nel processo "(OMISSIS)", sull’assunto che mancava la prova di ulteriori, rilevanti, condotte partecipative successive al loro arresto avvenuto il (OMISSIS); mentre l’assoluzione di M. dal reato associativo è stata logicamente giustificata con riguardo al difetto di specificità e di efficacia dimostrativa delle accuse dei collaboratori e della persona offesa circa la precisa identificazione del ruolo da lui ricoperto nell’organizzazione e l’effettiva stabilità del suo inserimento in essa.
Quanto alla ritenuta continuazione, la stessa Corte ha affermato che il programma criminoso dell’associazione, alla luce delle risultanze intercettative, comprendeva tutti i reati fine oggetto del presente procedimento, fra i quali le usure, le estorsioni e i reati ad essi strettamente connessi, come la ricettazione dei titoli che ne costituiscono il profitto, tutti commessi nell’arco temporale di permanenza dell’associazione e perciò ad essa riconducibili fin dall’iniziale programmazione.
Orbene, rileva il Collegio che il ricorrente P.G., con i cennati motivi di gravame, non svolge una critica logico-deduttiva dell’apprezzamento degli elementi di prova, nè censura la violazione di regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, ma piuttosto offre una propria, diversa, verità processuale aderente alla tesi accusatoria che non può essere delibata in sede di legittimità, allorquando la struttura razionale del discorso giustificativo nella sentenza impugnata abbia – come nel caso in esame – una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata alle risultanze del quadro probatorio. Di talchè, le deduzioni del ricorrente circa pretese carenze motivazionali risultano prive di pregio, avendo la Corte distrettuale esaurientemente dato conto dei criteri fattuali e giuridici cui ha informato l’opportuno giudizio di merito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P. G. limitatamente alla pena detentiva, che ridetermina in anni otto e mesi dieci di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso del Pe..
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di V. F. limitatamente all’omessa statuizione risarcitoria a favore della parte civile soc. coop. edil. "(OMISSIS)" a r.l. e, per l’effetto, lo condanna al risarcimento dei danni a favore della stessa parte civile da liquidarsi in separato giudizio.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto da Co.An. in qualità di moglie di C.C., deceduto, e la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Rigetta i ricorsi del P.G. ed i ricorsi degli altri imputati e condanna quest’ultimi, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Condanna i ricorrenti V.F. e G.F. alla rifusione, in solido, delle spese del presente giudizio a favore della parte civile soc. "(OMISSIS)", che liquida in Euro 3.000,00 oltre accessori di legge, nonchè il solo V. anche alla rifusione delle spese del giudizio d’appello, che liquida in Euro 6.000,00 oltre accessori di legge.
Condanna i ricorrenti P.F., Pe.Gi. e S.S. alla rifusione in solido delle spese del presente giudizio a favore della parte civile Z.F., che liquida in Euro 3.000,00 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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