Cass. pen., sez. II 18-03-2009 (12-03-2009), n. 11926 Astratta applicabilità – Revoca della misura

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza pronunciata in data 5 dicembre 2008, il Tribunale per il riesame di Cagliari aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere adottata dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale della stessa città nei confronti di V. A., in data 18 novembre 2008.
In particolare l’indagato era accusato del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, malversazione in danno dello Stato, dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Dopo avere analiticamente esposto i profili fattuali della vicenda in esame ed aver formulato un giudizio di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, all’esito di una approfondita ed analitica disamina dei profili fattuali della vicenda processuale, il Tribunale si soffermava sulle esigenze cautelari ritenendo sussistente il pericolo di inquinamento probatorio per la necessità di perscrutare i rapporti con le altre società facenti capo agli indagati, nonchè il pericolo di condizionare soggetti informati sui fatti già escussi o ancora da esaminare.
Infine, il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di reiterazione di fatti della stessa specie di quelli per cui si procede alla luce della particolare gravità dei fatti, dell’elevato danno cagionato alla comunità e della spregiudicatezza dimostrata dagli indagati nel realizzare le condotte criminose loro ascritte.
Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione il difensore dell’indagato limitando espressamente il ricorso alla sola parte dell’ordinanza concernente i pericula libertatis.
In particolare il ricorrente, con il primo motivo, deduce la violazione degli artt. 273 e 275 c.p.p.: trattandosi di reati commessi fino al (OMISSIS), data dell’ultimo pagamento fittizio, ed essendo del tutto ininfluente la successiva data del (OMISSIS), coincidente con la revoca del finanziamento, il ricorrente osserva che tutti i reati per i quali era stata emessa la misura custodiale rientrano nella previsione del provvedimento di clemenza 31 luglio 2006, n. 241.
Ne consegue che essendo prevista per il reato più grave una pena massima di anni sei di reclusione, tenendo conto della continuazione, della possibilità di ottenere le attenuanti generiche e della possibilità di accedere a riti alternativi, vi era la possibilità concreta di una pena interamente assorbita nella causa di estinzione citata, valutazione completamente omessa dal Giudice nonostante la sussistenza di un preciso obbligo sul punto al momento dell’adozione della misura.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, nella sostanza, l’insussistenza delle esigenze cautelari: il pericolo di inquinamento probatorio, ritenuto sussistente con mera formula di stile e che, in ogni caso, avrebbe imposto la fissazione di un termine di durata della misura; il pericolo di reiterazione, ritenuto sussistente alla luce della gravità dei fatti senza tener conto che l’ultimo reato contestato risaliva a circa due anni e mezzo prima dell’arresto, che il meccanismo truffaldino era stato scoperto da oltre un anno, che i finanziamenti illecitamente ottenuti erano stati revocati e, infine, che tutte le società del V. erano ormai da tempo sotto osservazione da parte della Guardia di Finanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, questo Collegio osserva che effettivamente, secondo la disciplina dettata dall’art. 299 c.p.p., comma 1, le condizioni generali di applicabilità previste dall’art. 273 c.p.p., devono permanere anche nel corso dell’esecuzione di esse, per cui devono essere immediatamente revocate quando, anche per fatti sopravvenuti, le predette condizioni generali, così come quelle speciali e le esigenze cautelari, risultano mancanti. In particolare, secondo la disposizione dell’art. 273 c.p.p., comma 3, richiamato dal citato art. 299 c.p.p., comma 1, l’applicabilità e, quindi, la permanenza delle misure cautelari è esclusa ove sussista una causa di estinzione del reato o della pena che si ritiene possa essere applicata.
E’, altresì, vero, però che tale giudizio prognostico deve fondarsi su circostanze di fatto tali da far ritenere, in maniera evidente, certa e non solo probabile, l’applicabilità della causa estintiva del reato o della pena, sicchè la semplice prospettiva di applicabilità di detta causa non comporta, di per sè, il divieto di applicare misure coercitive e non legittima la revoca di quelle che sono state imposte (Cass., sez. 6^, 3 aprile 1992 n. 1165, ric. P.M. in proc. Muratori).
Pertanto la semplice possibilità di concessione dell’indulto anche per i reati per cui si procede non determina automaticamente la revoca delle misure cautelari in corso ove la causa estintiva della pena non risulti oggettivamente applicabile alla persona che vi è sottoposta in base a elementi certi, che ne rendano prevedibile l’applicazione. Infatti, il giudizio prognostico rimesso al giudice sull’applicabilità dell’indulto non può essere puramente ipotetico, ma deve ritenersi ancorato a dati obiettivi, desunti dalla posizione personale dell’indagato.
A questi criteri si è certamente uniformato il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Cagliari che, con riferimento alle esigenze cautelari ha espresso un giudizio di singolare gravita dei fatti, di un danno ingentissimo cagionato alla collettività, di una grande spregiudicatezza dimostrata nella predisposizione dei mezzi necessari per la commissione degli illeciti, della intenzione per il gruppo di proseguire l’attività illecita con metodi di difficile accertamento (cfr, dichiarazioni del F.), della reiterazione dei reati, nonchè dai precedenti penali per reati commessi nell’esercizio dell’attività d’impresa.
Ne consegue che, pur prescindendo dalla data di commissione dei reati – peraltro contestati fino al (OMISSIS) – certo è che il giudizio prognostico effettuato dal giudice preliminare, sia pur implicitamente, e per come è dato rilevare dalla lettura della motivazione dell’ordinanza custodiale, non deponeva certo per l’irrogazione di una pena condonabile.
Ciò anche alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha affermato, in ordine alla concedibilità dell’indulto, che la disposizione dell’art. 273 c.p.p., comma 2, nella parte in cui dispone che nessuna misura cautelare può essere applicata se sussiste una causa di estinzione della pena, ha efficacia certamente vincolante e preclusiva per il giudice solo nel caso in cui la causa estintiva copra per intero la pena astrattamente irrogabile:
viceversa, qualora l’estinzione riguardi soltanto una parte di tale pena, è compito del giudice cautelare determinare in via prognostica l’entità della pena presumibilmente irrogabile e stabilire di conseguenza se vi sia margine residuo per l’applicabilità della misura coercitiva (Cass., Sez. 6A, 11 novembre 1993 n. 3285, ric. Simeoli ed altri). E tale verifica, tipicamente di merito, non può essere operata nel giudizio di legittimità: anche sotto questo aspetto il ricorso non può, pertanto, ritenersi fondato.
Considerazioni basate sulle stesse argomentazioni comportano il rigetto del secondo motivo: la analitica indicazione dei pericula di cui all’art. 274 c.p.p., teste esaminati, unitamente alla dimostrata abilità nella manipolazione dei dati contabili, anche attraverso tentativi di condizionamento dell’attività ispettiva della banca concessionaria e della Guardia di finanza, ha indotto i giudici di merito, del tutto condivisibilmente e, comunque, con motivazione insuscettibile di censura in questa sede, a ritenere la custodia cautelare in carcere unica misura idonea a fronteggiare le suddette esigenze.
Quanto, infine, alla censurata mancata apposizione del termine, è agevole rilevare che questa Corte ha sempre affermato che la fissazione della durata di una misura cautelare personale disposta al fine di garantire l’acquisizione o la genuinità della prova, ai sensi dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. d), è necessaria solo quando la misura sia applicata per tutelare esclusivamente la suddetta esigenza, e non occorre se la misura sia disposta anche a tutela delle altre esigenze cautelari indicate nell’art. 274 c.p.p., essendo inutile fissare un termine di durata quando la misura cautelare deve continuare ad essere applicata per la salvaguardia delle altre esigenze cautelari (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 9777 del 25/02/2004 Cc. (dep. 03/03/2004) Rv. 228387).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non conseguendo dalla presente sentenza la rimessione in libertà dell’indagato, si dispone che la cancelleria, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, trasmetta copia di questo provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario nel quale è detenuto il ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; dispone che la cancelleria, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, trasmetta copia di questo provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario nel quale è detenuto il ricorrente.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *