Cass. pen., sez. V 25-02-2009 (05-02-2009), n. 8538 Intercettazioni dichiarate inutilizzabili nel giudizio di cognizione – Inutilizzabilità anche nel giudizio di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

PREMESSO IN FATTO
1 – La Corte di appello di Messina ha confermato le misure personali di prevenzione, disposte il 14.6.06 dal Tribunale nei confronti di A.M., M.C. e C.T.A., nonchè quelle patrimoniali nei confronti di ciascuno e di D.S. S., rigettando i ricorsi loro e dei terzi interessati, oggi del pari ricorrenti.
In motivazione ha respinto preliminarmente eccezioni proposte circa "l’utilizzo delle intercettazioni", facendo proprie le ragioni del Tribunale, ispirate all’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, che fonda il principio secondo il quale è possibile utilizzare i risultati delle stesse intercettazioni, ancorchè non consentita nel processo, affermato tra le altre da Cass., Sez. 6, Nicastro, 30.9.05.
Indi ha valutato la posizione di ciascuno di coloro cui è stata applicata misura personale, su scorta di dati che ne dimostrano i rapporti con D.S., già da essa raggiunto.
D.S. è inteso inserito in organizzazione di mafia, con posizione preminente a (OMISSIS), ed a lui fa capo M. C., che formalmente è suo datore di lavoro, come A. e C., tutti imprenditori nel settore degli appalti di lavori pubblici.
Il decreto ha quindi dato ragione del perchè ritiene corretta l’applicazione delle misure, respingendo anche per la situazione ambientale, sia la sostenuta occasionalità dei rapporti e l’inconsapevolezza dei prevenuti della qualità attribuita a D. S., che la valenza di segno opposto delle emergenze apprezzate dal Tribunale, e di talune pronunce negative di responsabilità (archiviazione del GIP del 2.8.07 e sentenza del GUP del 16.10.06, in particolare con riferimento a notizie od ipotesi di reato di cui all’art. 353 c.p.).
Quanto alle misure patrimoniali, ha dato conto di accertamenti in ciascun caso svolti a fronte di inaffidabili denunce di redditi, smentite dal tenore di vita di ciascuno e dei familiari, e della mancata dimostrazione di fonti lecite o comunque non rispondenti al rilevante valore dei beni confiscati a ciascuno, ancorchè intestati ad altri (e con incrocio di interessi societari tra le famiglie dei prevenuti in talun caso).
2 – Il ricorso per A.M. (Avv. Lo Presti) denuncia: 1 – violazione L. n. 375 del 1965, art. 1 e ss. in relazione artt. 271 e 268 c.p.p. in relazione art. 15 Cost., rilevando che questa Corte in sentenza 18.12.03 e quindi il GUP di Messina nella sentenza 16.10.06, passata in giudicato, ha dichiarato inutilizzabili (per carenza di motivazione dei decreti dispositivi) i risultati di intercettazioni, sui quali pressochè esclusivamente poggia il decreto di prevenzione, e contrappone alla sentenza Nicastro (Sez. 6, n. 39953/05 – rv.
236596), quella di segno opposto di Cass. Sez. 1, 15.6. – 20.7.07, n. 29688 (rv. 236670), che sostiene che le prove illegali di intercettazione non possono essere utilizzate neanche nel procedimento di prevenzione, salvo contrasto con i principi costituzionali (Corte Cost. 304/00); 2 – violazione L. n. 1575 del 1965, art. 2 – illogicità di motivazione circa i fatti, in particolare lo svolgimento di lavori non pubblici, per L. 500 milioni; 3 – violazione L. n. 575 del 1965, art. 1 – illogicità di motivazione, circa la qualità attribuita al ricorrente (concorrente esterno, in rapporto alla sostenuta mancanza di prova di attuale pericolosità).
Il ricorso comune (Avv. Tracio) per C.T.A. e dei terzi interessati C.F. e C.S., denuncia: 1 – violazione L. n. 575 del 1965, art. 1, quanto alla valutazione di pericolosità di C.T.A., perchè sono indimostrati meno che la sua partecipazione, l’uso di metodi di mafia o il fine di agevolare la consorteria mafiosa (come dimostra la sentenza di Cassazione, che ha annullato l’ordinanza di custodia, non solo per inutilizzabilità delle intercettazioni, ma per l’assenza di indizi specifici, e quella del G.U.P., che ha riqualificato l’associazione come non mafiosa); 2 – idem e vizio di motivazione sotto ogni profilo (assenza di indizi); 3 – violazione art. 268 c.p.p. (v. il motivo 1 del ricorso per A.); 4 – violazione L. n. 575 del 2006, art. 2 ter – vizio di motivazione della confisca (in particolare l’impresa "Calabrese Francesco" è stata fondata negli anni ’50, e dunque è assente correlazione temporale; oltre il motivo ripete giustificazioni disattese circa i singoli beni); 5 – idem, per l’avallo della disposizione di confisca generalizzata, senza distinzioni circa i beni aziendali e le consistenze economiche in tempi non sospetti.
Altro ricorso (Avv. Valentino) per il solo C.T. A. denuncia: 1 – violazione L. n. 575 del 1965, art. 1, vizio di motivazione quanto alla valutazione di pericolosità (con analisi in dettaglio dei dati posti a base del decreto); 2 – violazione L. n. 575 del 1965, art. 2 ter, vizio di motivazione (con analisi delle vicende delle diverse imprese connesse alla famiglia facente capo al padre Francesco, che smentiscono le illazioni dei due decreti).
Il ricorso comune (Avv. Calderone e Correnti) per D.S. S., A.M., M.C., nonchè per O. S., T.C.S., C.R., M. R.D., M.M., denuncia: 1 – violazione L. n. 575 del 1965, art. 1 e ss., in particolare sotto il profilo che A. e M.R.D. non sono stati ritenuti membri di associazione "barcellonese", assente di prova di loro pericolosità attuale, desunta peraltro solo dal tenore di intercettazioni già ritenute inutilizzabili (e di cui oltre si offre analisi per dimostrare errore logico del decreto, a fronte di quanto altrimenti ritenuto, che risulta di più smentito da altre acquisizioni di cui si da conto); 2 – violazione art. 2 ter L. cit., per quanto concerne la misura patrimoniale (di cui si sostiene anche la irrituale assunzione, e si offrono argomenti dello stesso segno di quelli di cui al motivo 5 del ricorso comune per i C., nonchè specifiche contestazioni alle argomentazioni adottate in ciascun caso nel decreto già del Tribunale e di quello confermativo della Corte di appello, con riferimento alle adduzioni ed alle censure anche per accertamenti tecnici).
3 – Il P.G. presso questa Corte ha chiesto il rigetto, ribadendo la richiesta dopo memorie di replica dei difensori dei ricorrenti, che si soffermano in particolare sull’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni.
La difesa di A., il 19.1.09, ha allegato a sostegno la recente sentenza delle S.U. Racco, n. 1153, 30.10.08 – 13.1.09 che afferma che "l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale, ha effetti anche nel giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione".
RITENUTO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati.
1.1 – La questione decisiva è se "l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale, abbia effetti anche nel procedimento di prevenzione".
La sentenza delle S.U., pur pronunciandosi relativamente al procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, afferma in genere che, nel rispetto dell’art. 15 Cost., l’inutilizzabilità dei risultati di intercettazione si estende a qualsiasi altro procedimento diverso da quello penale, perchè con la sanzione lo Stato rinuncia anzitutto al preminente interesse punitivo in ragione del diritto aita riservatezza. Ed inoltre spiega che i risultati inutilizzabili devono essere "fisicamente eliminati" (Corte Cost.
720/75, S.U. 3/96).
In materia di prevenzione il principio è stato già affermato, con riferimento all’ipotesi di difetto di motivazione del decreto di uso di impianti esterni per indisponibilità degl’impianti della Procura, da Cass., Sez. 1, n. 29688/07, Muscolino – CED rv. 236670.
La sentenza Nicastro (Cass., Sez. 6, n. 39953/05 – rv. 236596), citata nel decreto qui impugnato, tanto aveva già escluso, perchè nel caso l’inutilizzabilità non è patologica, dal momento che non implica inosservanza delle regole indicate nell’art. 15 Cost..
In effetti tale sentenza aveva formulato un’eccezione, sottintendendo che, presenti gli altri requisiti prescritti dall’art. 267 c.p.p. (gravità di indizi di reato per il quale si procede, ed assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini, etc.), l’uso dei risultati nel procedimento di prevenzione non sarebbe in contrasto con l’art. 15 Cost., perchè nel caso il difetto del decreto del p.m. concerne l’aspetto esecutivo delle intercettazioni.
La distinzione è gratuita. Seppure le intercettazioni possono svolgersi con impianti diversi della procura, dunque fuori di controllo dell’A.G., la ratio del divieto di utilizzazione, connesso dall’art. 271 c.p.p., comma 1 all’inosservanza del disposto dell’art. 268 c.p.p., commi 1 e 3 come a quello dell’art. 267 c.p.p., è comunque nel rilievo di assenza di motivazione del provvedimento dell’A.G.. Ed il sacrificio della sfera privata altrui è consentito dall’art. 15 Cost., soltanto per atto motivato dall’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.
Ne segue che le disposizioni del codice procedurale apprestano la garanzia di legge richiesta dalla Costituzione. Ed il divieto di utilizzabilità dei risultati di intercettazione per questa ragione ha la stessa insuperabile ratio anche nel procedimento di prevenzione.
1.2 – Anzi proprio il rilievo, che la tutela della riservatezza non si confina nel processo, conferma il principio di autonomia del procedimento di prevenzione da quello penale.
L’autonomia giustifica bensì l’uso di acquisizioni che non sarebbero utilizzabili a fini di "prova di reato" nel rito penale ordinario, e la possibilità di diversa valutazione degli stessi elementi di fatto acquisiti nel processo in rapporto al diverso fine. Ma non si tratta di autonomia nel caso in cui l’uso di qualsivoglia acquisizione implicherebbe il sacrificio di diritti sostanziali a monte sia del procedimento penale che di prevenzione, la qualcosa non consente di rifarsi a distinzioni categoriche d’inutilizzabilità riservate al processo penale, ed irrilevanti in altri, ancorchè apparentemente analoghi procedimenti giurisdizionali.
L’autonomia è insomma significata dal rilievo che il fine del procedimento di prevenzione non è l’accertamento di responsabilità per un fatto – reato, bensì la cautela da un pericolo correlato alla persona o ai mezzi di cui dispone. Perciò il provvedimento di applicazione della misura è un decreto motivato, in sintesi un atto giurisdizionalizzato per la garanzia del destinatario a fronte di una presunzione implicata da parametri legali vincolanti. Fuori dell’inosservanza di parametri propri, è incensurabile. Nel provvedimento difatti non hanno influenza le regole di valutazione della prova del fatto – reato (art. 192 c.p.p.), il che esclude per diritto vivente la possibilità di verifica di incompiutezza, illogicità manifesta o contraddittorietà della motivazione, secondo i parametri dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Ciò è tanto vero che la Corte Costituzionale con sentenza n. 321/04 ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11, che riserva il ricorso per cassazione in materia alla violazione di legge (questione, si badi, sollevata proprio da questa Corte, con ordinanza 156/04).
Ne segue anche che il giudice di legittimità, a fronte della inutilizzabilità dei risultati di intercettazione, intesi in motivazione elementi di fatto su cui poggia la decisione di prevenzione, non può verificare se il provvedimento offra comunque, su scorta di quanto residua, congrua giustificazione logica della decisione (cd. "prova di resistenza").
Ma, proprio perchè questa Corte può e deve censurare il decreto di prevenzione per violazione di legge, se la motivazione poggia sui risultati inutilizzabili di intercettazioni, afferma illegittima la decisione, senza necessità di operare distinzioni alla luce degli altri elementi rappresentati, che la legge (art. 4, comma 11 cit.) non autorizza a svincolare dal contesto per il riconoscimento residuale della sua fondatezza. Non si tratta, si ripete, della prova di un fatto, ma della valutazione di pericolosità secondo metro legale, sulla scorta di elementi la cui combinazione a fini induttivi è altrimenti del tutto svincolata.
Pertanto può e deve, in tal caso escludendo quanto è ex lege non riconoscibile, solo ripristinare il potere discrezionale valutativo del giudice di merito.
2.2 – Nella specie non è dunque dato stabilire in questa sede in quale misura i dati tratti dai risultati delle intercettazioni siano decisivi, ma solo rilevare che sono inutilizzabili e quindi la motivazione che su di essi si fonda manca di premessa conforme alla legge.
P.Q.M.
annulla l’impugnato provvedimento con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Messina.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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