Cass. pen., sez. I 13-02-2009 (03-02-2009), n. 6273 Condanna del concorrente per reato dal quale altri siano stati assolti in un separato procedimento sulla base dello stesso quadro probatorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1. Il 27 maggio 2008 la Corte d’appello di Potenza dichiarava inammissibile l’istanza di revisione della sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Taranto (irrevocabile il 10 marzo 2004) avanzata, ai sensi dell’art. 630 c.p.p., lett. a) e c), da S. S., condannato alla pena di ventidue anni di reclusione in ordine al delitto di concorso nell’omicidio premeditato di L. P.M., nelle lesioni personali cagionate, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione, a T.V.A., nell’illegale detenzione e porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo, nonchè in relazione al delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso.
I giudici di merito osservavano che l’asserito contrasto di giudicati tra quanto affermato nella sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Taranto e quanto stabilito dalla sentenza n. 9 del 7 dicembre 2006, con cui la Corte d’assise di Lecce aveva assolto D. L.P. dai reati di cui agli artt. 110 e 81 c.p., art. 575 c.p., art. 577 c.p., n. 1, art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p., L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14 non risultava provato, attesa la mancata attestazione di irrevocabilità sulla sentenza emessa nei confronti di D.L. e, in ogni caso, si basava sulla diversa valutazione del compendio istruttorio. Osservavano, inoltre, che le prove nuove indicate dalla difesa, costituite dalle dichiarazioni rese da alcuni soggetti, sentiti in sede di indagini difensive, non erano idonee ad inficiare il pregresso quadro probatorio, fondato sulle deposizioni di testi estranei e qualificati e a dimostrare l’estraneità di S. rispetto all’addebito formulato nei suoi confronti.
2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il difensore di fiducia, S., il quali lamenta: a) violazione dell’art. 630 c.p.p., lett. a) alla luce dell’intervenuta assoluzione del concorrente nei reati D.L.P., accusato di essere il mandante dell’omicidio, materialmente commesso da S.; b) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 630 c.p.p., lett. c), in quanto le prove nuove, ove assunte, avrebbero potuto fornire la prova di alibi a S..
OSSERVA IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Quando, come nel caso in esame, la richiesta di revisione sia proposta sulla base dell’asserita esistenza di una prova nuova, l’eventuale giudizio di manifesta infondatezza può e deve trarsi da una valutazione che abbia ad oggetto non solo l’affidabilità della dedotta circostanza, ma anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione così da stabilire se essa appaia in astratto idonea ad incidere in senso favorevole alla tesi dell’istante sulla valutazione delle prove a suo tempo raccolte e, nello stesso tempo, giustifichi la ragionevole previsione che essa, da sola o congiuntamente a quelle già esaminate nel corso del processo conclusosi con la sentenza di condanna, possa condurre al proscioglimento dell’istante (Cass., Sez. Un. 26 settembre 2001, Pisano).
L’eventuale giudizio di manifesta infondatezza può e deve trarsi, pertanto, da una valutazione che abbia ad oggetto non solo l’affidabilità della dedotta circostanza, ma anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione. Tale giudizio si differenzia da quello esaustivo della domanda di revisione di cui all’art. 637 c.p.p., nel fatto che i criteri di ragione in base ai quali svolgere valutazioni di affidabilità, persuasività e congruenza sia della fonte che del contenuto della prova non penetrano in profondità nel giudizio di rivisitazione della vicenda processuale in esame, ma consentono di pervenire a conclusioni decisorie in via immediata e diretta (Cass. 28 maggio 1996, Caporosso, rv. 205685).
Tale valutazione postula, tuttavia, la comparazione delle nuove prove con quelle su cui si fonda la condanna irrevocabile, di cui occorre, quindi, identificare il tessuto logico-giuridico. La comparazione non richiede soltanto il confronto di ogni singola prova nuova, isolatamente presa, con quelle già esaminate, occorrendo, invece, che la pluralità delle prove riconosciute nuove sia valutata anche unitariamente, vagliandosi, in una prospettiva globale, l’attitudine dimostrativa di esse, da sole o congiunte a quelle del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento. La valutazione del giudice in ordine alla manifesta infondatezza della richiesta impone un apprezzamento prognostico sull’esito possibile del giudizio di revisione in base alle nuove prove da acquisire.
Nell’economia di tale prognosi la comparazione tra le prove acquisite e quelle acquisende non può essere confinata nei termini dell’astrazione concettuale, ma deve ancorarsi alla realtà processuale già esistente e svilupparsi in termini realistici, così da non potere ignorare evidenti segni di in conferenza e/o inaffidabilità della prova nuova rilevabili ictu oculi.
La Corte d’appello di Potenza, in osservanza dell’obbligo generale stabilito dall’art. 125 c.p.p., comma 3, ha fornito una, sia pur sommaria, giustificazione logica con cui ha dimostrato di avere esaminato le risultanze sottoposte alla sua decisione (dichiarazioni testimoniali, assunte, ai sensi degli artt. 391 bis, 391 ter, 134 c.p.p. e ss., nei confronti di F.S., M. G., moglie del ricorrente, D.P.E., tutte concernenti gli orari degli spostamenti di S. la sera del (OMISSIS)) e ha compiutamente indicato i motivi per i quali le prove nuove dedotte, alla luce di quelle già valutate nel giudizio di cognizione (contenuto delle intercettazioni ambientali, dichiarazioni rese da Z.E., C.E., rinvenimento di una spranga di ferro sotto il sedile del lato guida dell’auto della vittima), sono inidonee a smentire il quadro probatorio su cui si è basato l’ampio tessuto motivazionale della sentenza di condanna, che si era già analiticamente soffermata sull’alibi fornito dal ricorrente. L’ordinanza impugnata, con motivazione sente da vizi logici e giuridici, ha evidenziato che le nuove prove addotte dalla difesa sono volte a supportare probatoriamente e a conferire nuova forza, a distanza di circa diciassette anni dal fatto, all’alibi fornito da S. nel corso del giudizio di cognizione e già negativamente scrutinato.
D’altra parte l’istituto della revisione non si configura come un’impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non è stato rilevato o non è stato dedotto, bensì costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti del giudicato, dando priorità alla esigenza di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici: da ciò deriva che l’efficacia risolutiva del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un’inedita disamina del deducibile (il giudicato, infatti, copre entrambi), bensì l’emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli del definito processo.
2. Con riguardo all’asserita inconciliabilità tra la sentenza cui si riferisce l’istanza di revisione e l’altra pronunziata dalla Corte d’assise di Lecce nei confronti di D.L.P. (di cui, peraltro, non è stata provata la natura definitiva), occorre evidenziare che, in tema di revisione, ciò che è emendabile è l’errore di fatto e non la valutazione del fatto, che costituisce l’essenza della giurisdizione, sicchè non è ammissibile l’istanza di revisione che, come nel caso in esame, fa perno sul fatto che lo stesso quadro probatorio sia stato diversamente utilizzato per assolvere un imputato e condannare un concorrente nello stesso reato nell’ambito di due distinti procedimenti penali.
Anche sotto questo profilo, dunque, la pronunzia giudiziaria emessa dall’A.G. di Lecce nei confronti di D.L.P. non è tale da costituire un elemento nuovo e sopravvenuto, inconciliabile con la sentenza di condanna pronunziata nei confronti di S.S. dalla Corte d’assise d’appello di Taranto.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro Mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro Mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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