Cass. pen., sez. I 13-02-2009 (03-02-2009), n. 6271 Partecipazione del magistrato di sorveglianza che abbia già adottato un provvedimento interinale sull’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 11 aprile 2007 il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava le istanze di differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità, anche nelle forme della detenzione domiciliare, e di affidamento in prova al servizio sociale avanzate da B.L., condannato con sentenza irrevocabile della Corte d’assise d’appello di Perugia del 18 dicembre 2006 alla pena di diciassette anni e quattro mesi di reclusione in ordine ai delitti di omicidio volontario, detenzione e porto illegale di arma, ricettazione, commessi il (OMISSIS), sottolineando l’adeguatezza delle terapie praticate in carcere, la natura positiva della risposta alle stesse, l’assenza di qualsiasi rivisitazione critica del lungo, pesante ed allarmante trascorso deviante.
2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il difensore di fiducia, B., il quale lamenta violazione di legge, essendo stato componente del Tribunale di sorveglianza lo stesso magistrato di sorveglianza che aveva respinto in via d’urgenza l’istanza, nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla compatibilità con l’ambiente carcerario delle condizioni di salute di B., tenuto conto anche del mancato accoglimento dell’istanza difensiva di espletamento di una consulenza medicolegale.
OSSERVA IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Con riferimento alla prima doglianza il Collegio osserva quanto segue.
La funzione svolta dal magistrato di sorveglianza a norma dell’art. 41 ter, comma 1 quater, ord. pen. ha natura cautelativa e non decisoria, sicchè il relativo provvedimento non costituisce un grado precedente di decisione rispetto a quella che promana dal Tribunale di sorveglianza; di conseguenza non solo non sussiste alcuna incompatibilità del Magistrato di sorveglianza, chiamato a pronunziarsi in via d’urgenza sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare, a comporre il collegio di detto Tribunale incaricato di decidere in ordine alla predetta istanza, ma anzi, per espressa previsione normativa (art. 70, comma 6, ord. pen.), il Collegio deve comprendere il Magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è posto il condannato in ordine alla cui posizione si deve provvedere (cfr., con riferimento a fattispecie relative ad altre misure alternative alla detenzione Cass., Sez. 1, 25 giugno 1993, n. 3025, rv. 194630; Cass., Sez. 1, 8 gennaio 1997, n. 4, rv. 206763; Cass., Sez. 1, 14 marzo 1997, n. 2002 del 14/03/1997 Cc. (dep. 27/05/1997) rv. 207738; Cass., Sez. 1, 13 gennaio 2005, n. 3039, rv. 230789).
Per completezza occorre osservare che, in ogni caso, l’incompatibilità ex art. 34 c.p.p., comma 2, (nel caso in esame insussistente) non attiene alla capacità del giudice, intesa quale capacità ad esercitare la funzione giudiziaria, in difetto della quale e soltanto per tale causa, opera utilmente la nullità assoluta di cui all’art. 178 c.p.p., lett. a).
Ed invero il difetto di capacità del giudice va inteso come mancanza dei requisiti occorrenti per l’esercizio delle funzioni giurisdizionali e non anche in relazione al difetto delle condizioni specifiche per l’esercizio di tale funzione in un determinato procedimento. Ne consegue che, non incidendo sui requisiti della capacità, la eventuale incompatibilità ex art. 34 c.p.p. non determina, comunque la nullità del provvedimento ex art. 178 e 179 c.p.p., ma costituisce soltanto motivo di possibile astensione, ovvero di ricusazione dello stesso giudice, da far tempestivamente valere con la procedura di rito ex art. 37 c.p.p., e ss. (Cass., Sez. 2, 26 giugno 2003, n. 30448, rv. 226572; Cass., Sez. 3, 14 novembre 2003, n. 2115, rv. 227588; Cass., Sez. 5, 8 novembre 2006, n. 40651, rv. 236307). Nel caso di specie non risulta che la parte abbia promosso l’astensione o la ricusazione del Magistrato di sorveglianza che, non essendo stata tempestivamente esercitata, è attualmente preclusa.
2. Relativamente alla seconda doglianza, anch’essa manifestamente infondata, la Corte rileva che, ai fini della concessione del differimento obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, art. 147 c.p., n. 2, e L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter, comma 1, lett. c) e comma 1 ter, occorre avere riguardo a tre principi costituzionali: il principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e, infine, quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo. Ne consegue che: a) le pene legittimamente inflitte devono essere eseguite nei confronti di coloro che le hanno riportate; b) l’esecuzione della pena non è preclusa da eventuali stati morbosi del condannato, suscettibili di un generico miglioramento per effetto del ritorno in libertà; c) uno stato morboso del condannato in tanto legittima il rinvio dell’esecuzione, in quanto la prognosi sia infausta quoad vitam ovvero il soggetto possa giovarsi in libertà di cure e trattamenti indispensabili non praticabili in stato di detenzione, neanche mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, ovvero ancora, a cagione della gravità delle condizioni, l’espiazione della pena si riveli in contrasto con il senso di umanità.
La malattia da cui è affetto il condannato deve essere grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione.
Ai fini del differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica, il grave stato di salute va inteso come patologia implicante un serio pericolo per la vita o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose, eliminabili o procrastinabili con cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 11. 3. La detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità il reinserimento sociale del condannato, mentre il differimento della pena previsto dall’art. 146 c.p., e art. 147 c.p., comma 1, n. 2, mira soltanto ad evitare che l’esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità. Alla luce di tali principi, a fronte di una richiesta di rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell’infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativi in conseguenza dell’impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale. Se, invece, le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non presentino le suddette caratteristiche di sofferenza o di prognosi infausta, e richiedano i contatti con i presidi sanitari territoriali indicati dall’art. 47 ter, comma 1, lett. c) ord. pen., può essere disposta la detenzione domiciliare ai sensi della citata disposizione (Cass., Sez. 1, 19 ottobre 1999, n. 5715).
4. Alla stregua di questi principi, nel caso in esame la ordinanza impugnata è esente dai vizi denunziati, in quanto con motivazione puntuale, argomentata ed esauriente, fondata su un complesso di elementi di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità, tra loro logicamente correlati e fondati sugli accertamenti clinici e sanitari svolti ha evidenziato la compatibilità dello stato detentivo con le condizioni di salute di B., ha illustrato le ragioni per le quali le patologie da cui è affetto il ricorrente possono essere adeguatamente curate in costanza di regime detentivo carcerario, ha, infine, sottolineato la gravità dei reati (omicidio, violazione alla normativa sulle armi ed altro) per i quali il ricorrente ha riportato la condanna definitiva.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro Mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro Mille alla cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2009

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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