Cass. pen., sez. I 13-02-2009 (03-02-2009), n. 6250 Elemento psicologico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1. Il 30 giugno 2008 la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del gup del Tribunale di Modena del 15 ottobre 2007, appellata dall’imputato che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato C.G. colpevole dei delitti di cui agli artt. 423, 424, 370, 56 e 575 c.p. e, ritenuta la continuazione tra i reati, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e con la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di cinque anni di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Entrambe le sentenze di merito ritenevano provata la responsabilità dell’imputato in ordine ai delitti a lui ascritti sulla base dei seguenti elementi:
1) incendio del fienile di proprietà di B.G. in data (OMISSIS) (fratello di E., già convivente di C.G.): a) dichiarazioni di B.E. che riferiva delle minacce orali e scritte ricevute, la sera prima del fatto, dall’ex fidanzato che aveva preannunciato che avrebbe appiccato fuoco alla casa e alla sua autovettura; b) dichiarazioni rese da Z.A. che affermava di avere letto un biglietto minatorio scritto dall’imputato a B.E. e da questa mostrato all’amico; c) dichiarazioni rese da M.P. in merito alle confidenze ricevute dalla figlia circa le minacce scritte e orali che le erano state rivolte dall’imputato;
2) episodi di danneggiamento continuato di cassonetti dei rifiuti, di un tendone esterno dell’abitazione di B.E., di materiale cartaceo e da imballaggio, di una catasta di legna, avvenuti nella notte del (OMISSIS): a) relazione di servizio dei Carabinieri di Serramazzoni che, in occasione dell’intervento, trovavano vicino ad uno dei cassonetti C.G., il quale aveva un accendino in mano, presentava la giacca strappata, ed era sporco di fango e di calcinacci; b) dichiarazioni rese da B. E., B.M., informati dalla vicina di casa, Z.A., della presenza dell’imputato nella parte esterna dell’abitazione della B. da cui l’uomo si allontanava dopo avere appiccato fuoco al tendone esterno; c) denuncia del legale rappresentante della società proprietaria del cantiere edile dove si era verificato l’incendio; d) dichiarazioni rese da G. S. in merito alla discussione insorta la sera prima tra il figlio della B. e C.G. che aveva minacciato di bruciare l’abitazione della sua ex convivente e tutto il paese di (OMISSIS); e) dichiarazioni rese da C.F. e C.C. concernenti le confidenze ricevute dall’imputato che aveva loro riferito di essere il responsabile dell’incendio dei cassonetti;
3) falsa denuncia di un incendio presso l’abitazione di B. E. effettuata ai Vigili del fuoco il (OMISSIS) mediante l’uso delle false generalità di B.M. e l’indicazione dell’utenza cellulare di B.M., figlio della B.: a) registrazione della chiamata pervenuta al 115 da parte di un uomo dall’accento meridionale, la cui voce era oggetto di sicuro riconoscimento da parte dei Carabinieri di Serramazzoni, cui l’imputato era ben noto; b) dichiarazioni rese dal pompiere P.G. che, contattando l’utenza cellulare indicata nella chiamata di soccorso, constatava che l’uomo che ne aveva la disponibilità aveva una voce diversa da quello che aveva segnalato l’incendio e si era qualificato con false generalità e recapiti telefonici; c) constatazione da parte dei Vigili del fuoco che non era in corso nessun incendio nel luogo segnalato nella telefonata;
4) furto e successivo incendio in zona boschiva dell’auto sottratta alla proprietaria B.E. in data (OMISSIS): a) denuncia di furto della parte offesa; b) dichiarazioni rese da C.C. in merito alle confidenze ricevute da C. G. che in sua presenza aveva ammesso di avere rubato e incendiato l’auto della B. con la quale "ce l’aveva a morte"; c) relazioni di servizio del Corpo forestale e dei Vigili del fuoco in merito all’intervento eseguito il (OMISSIS) per spegnere l’incendio che, all’interno di un’area boschivo, aveva completamente distrutto l’auto della B.;
5) tentato omicidio, in data (OMISSIS), di B. M. mediante l’uso di un cutter con lama in acciaio della lunghezza di circa dieci centimetri, strumento da punta e da taglio atto ad offendere; a) arresto in flagranza dell’imputato, trovato a cento metri da B.M., ferito; b) e sequestro, in tale contesto, di un cutter insanguinato; c) dichiarazioni della parte offesa, aggredita con un cutter dall’imputato all’altezza del viso da numerosi colpi, uno dei quali attingeva B. M. alla regione sottoscapolare sinistra; d) parziali ammissioni rese dall’imputato, il quale di avere aggredito B. con un cutter dopo essere stato affrontato dal giovane e dalla madre armati di un bastone; d) consulenza medico – legale da cui risultava che il cutter aveva attinto, tra l’altro, B.M. al collo, ove si trovano grossi vasi sanguigni, e che le altre lesioni erano univocamente indicative di un tentativo di difesa degli organi vitali da parte della vittima.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, C.G., il quale lamenta: a) violazione dell’art. 62 c.p., con riferimento alle dichiarazioni rese da C.C. e G.S., destinatali della confessione dell’imputato; b) violazione dell’art. 423 c.p., con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto contestato al capo sub 1), basata esclusivamente sulla vastità della distruzione, da inquadrare, più correttamente, nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 424 c.p., tenuto conto dell’elemento soggettivo; c) erronea applicazione della legge penale con riferimento ai reati contestati al capo 3, tenuto conto del fatto che si tratta di un reato di pericolo concreto, che in nessuno degli incendi fu necessario l’intervento dei vigili del fuoco e che le fiamme furono spente senza alcuna difficoltà con mezzi di fortuna;
d) manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato di cui all’art. 370 c.p., non essendo stati acquisiti elementi univocamente dimostrativi della responsabilità dell’imputato; e) mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato di furto dell’auto, considerato che la c.d. confessione stragiudiziale, seppur ritenuta utilizzabile, vale solo ed esclusivamente come testimonianza de relato ed è sottoposta al regime di valutazione della prova indiziaria; f) mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai reati di tentato omicidio e di porto del cutter, tenuto conto della natura delle lesioni, delle conclusioni del consulente della difesa, nonchè delle opposte conclusioni cui era pervenuto il Tribunale del riesame di Bologna con ordinanza dell’1 febbraio 2007, irrevocabile e acquisita al fascicolo del giudice e della mancanza di qualsiasi approfondimento in ordine all’elemento soggettivo.
OSSERVA IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. L’utilizzabilità della testimonianza indiretta sulle dichiarazioni rese dall’imputato fuori del procedimento si desume a contrario dall’art. 62 c.p.p., che vieta la testimonianza sulle sole dichiarazioni rese dall’imputato o dall’indagato nel corso del procedimento. Secondo la giurisprudenza del tutto prevalente di questa Corte, quindi, non è affatto vietata la testimonianza sulle dichiarazioni, aventi anche contenuto confessorio, rese fuori dal procedimento, ovvero prima del formale inizio delle indagini, le quali possono essere liberamente valutate dal giudice di merito (Cass., Sez. 5^, 5 novembre 1998, ric. D’Angelo, rv. 213074; Cass., Sez. 2^, 18 febbraio 2000, Tornatore, rv. 216357). In tale contesto, quindi, le dichiarazioni rese a persone diversa dall’autorità giudiziaria, dall’ufficiale di polizia giudiziaria, dal difensore ben possono essere oggetto di testimonianza e non rientrano fra quelle coperte dal divieto previsto dall’art. 62 c.p.p., poichè esse non possono ritenersi rese nel corso del procedimento nè a soggetti investiti di qualifica processuale istituzionalmente preposti a raccogliere in forma tipica le dichiarazioni degli indagati o degli imputati (Cass., Sez. 1^, 26 febbraio 2004, n. 25096, Alampi, rv.
228642; Cass., Sez. 6^, 20 maggio 1997, Varelli, rv. 208648).
Per completezza è da osservare che, nel codice di rito non si rinviene alcuna disposizione che predetermini il valore probatorio della testimonianza indiretta, quando essa risulti ammissibile e utilizzabile a norma dell’art. 195 c.p.p. (Cass. Sez. 1, 13 ottobre 1995, Grimaldi, rv. 202849). Questo significa che, salve le regole di esclusione e i limiti di utilizzabilità, il legislatore demanda alla valutazione in concreto del giudice di determinare il valore probatorio della testimonianza de relato (Cass., Sez. 5^, 4 febbraio 1993, Bevilacqua, rv. 195005), consentendogli di attribuirvi anche un’attendibilità maggiore di quella riconosciuta alle dichiarazioni del soggetto di riferimento (Cass., Sez. 1^, 21 dicembre 1999, Modeo, rv. 215342).
E’, peraltro, da ritenere, in conformità con una giurisprudenza consolidata sul punto (Cass., Sez. 2^, 17 gennaio 1997, Accardo, rv.
207843), che la testimonianza indiretta richieda pur sempre un apprezzamento particolarmente prudente e approfondito, in quanto il giudice ha il dovere di accertarne l’attendibilità non solo sotto il profilo della stessa esistenza e delle modalità di percezione da parte del dichiarante di quanto riferito, ma anche sotto l’analogo profilo della veridicità del testimone indiretto e delle modalità di percezione da parte dello stesso del fatto oggetto della dichiarazione (Cass., Sez. 1, 24 febbraio 1992, Barbieri, rv.
190770).
La sentenza impugnata, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha illustrato le ragioni per le quali le dichiarazioni rese da C.F., C.C. e G. S., tutti destinatari della confessione stragiudiziale dell’imputato, sono utilizzabili e pienamente attendibili, tenuto conto del contesto episodico, del tutto occasionale e informale in cui le ammissioni venivano rese, della casualità nella individuazione degli interlocutori, della univocità e concordanza dei racconti effettuati.
2. Manifestamente infondati sono anche il secondo e il terzo motivo di ricorso.
Il discrimine tra il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) e quello di incendio (art. 423 c.p.) è segnato dall’elemento psicologico del reato. Nell’ipotesi prevista dall’art. 423 c.p., esso consiste nel dolo generico, cioè nella volontà di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lievi proporzioni, che tende ad espandersi e non può facilmente essere contenuta e spenta (cfr. ex plurimis Cass., Sez. 1^, 23 dicembre 1999, n. 14592, rv. 216129). Il reato di cui all’art. 424 c.p., è, invece, caratterizzato dal dolo specifico, consistente nel voluto impiego del fuoco al solo scopo di danneggiare, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento. Pertanto, nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a detta ulteriore e specifica attività si associa, come nel caso in esame, la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dall’art. 423 c.p., è applicabile quest’ultima norma e non l’art. 424 c.p., nel quale l’incendio è contemplato come evento che esula dall’intenzione dell’agente (Cass. Sez. 1, 7 maggio 2003, n. 25781, rv. 227377).
Correttamente, in tale prospettiva, i giudici di merito hanno sottolineato, al fine di sostenere la configurabilità anche sotto il profilo soggettivo del delitto di cui all’art. 423 c.p., con riferimento ai fatti contestati al capo 1), la vastità delle fiamme, domate solo dopo molte ore di intervento dei vigili del fuoco, l’entità dei danni cagionati (distruzione di centoquarantasette rotoballe di fieno, di una falciatrice a motore, di un carro agricolo e di due veicoli, parcheggiati nelle adiacenze del fienile), la pluralità dei punti, intorno al perimetro del manufatto, cui era stato appiccato fuoco e, relativamente ai fatti di cui al capo 3), la molteplicità dei focolai attivati vicino a materiale altamente infiammabile, la concentrazione all’interno del garage di sacchetti di plastica, di carta, di bombolette di poliuretano espanso al fine di far meglio divampare le fiamme e di provocare le esplosioni riferite dai testimoni, la vicinanza al garage di una legnaia (anch’essa incendiata), posta sotto una tettoia di legno a circa cinquanta metri dal cantiere.
3. Manifestamente infondati sono anche il quarto e il quinto motivo di ricorso.
La sentenza impugnata, con motivazione logicamente articolata ed esente da vizi giuridici, ha indicato i plurimi elementi di prova su cui ha fondato l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato.
Per quanto concerne il delitto sub 3) essi sono costituiti dalla registrazione della chiamata pervenuta al 115 da parte di un uomo dall’accento meridionale, la cui voce era oggetto di sicuro riconoscimento da parte dei Carabinieri di Serramazzoni, cui l’imputato era ben noto, dalle dichiarazioni rese dal pompiere P.G. che, contattando l’utenza cellulare indicata nella chiamata di soccorso, constatava che l’uomo che ne aveva la disponibilità aveva una voce diversa da quello che aveva segnalato l’incendio e si era qualificato con false generalità e recapiti telefonici e, infine, dalla constatazione da parte dei Vigili del fuoco che non era in corso nessun incendio nel luogo segnalato nella telefonata. Dal complesso di queste prove si evince al di là di ogni ragionevole dubbio che il ricorrente pose in essere un complesso di accorgimenti al fine di attribuire ingiustamente a B. M., pur sapendolo innocente, la responsabilità della denuncia di un pericolo inesistente, tale da procurare pubblico allarme (art. 658 c.p.).
Relativamente al delitto sub 4) univoci e obiettivi elementi di colpevolezza sono desumibili dai seguenti elementi: a) denuncia di furto della parte offesa; b) dichiarazioni rese da C.C. in merito alle confidenze ricevute da C.G. che in sua presenza aveva ammesso di avere rubato e incendiato l’auto della B. con la quale "ce l’aveva a morte"; c) relazioni di servizio del Corpo forestale e dei Vigili del fuoco in merito all’intervento eseguito il 20 dicembre 2006 per spegnere l’incendio che, all’interno di un’area boschivo, aveva completamente distrutto l’auto della B.. Contrariamente all’assunto difensivo, quindi, le dichiarazioni di C.C. sono confortate da altri dati obiettivi, convergenti nell’individuare la responsabilità di C.G. nell’azione di danneggiamento in conseguenza della quale si sviluppò un fuoco di notevoli intensità e proporzioni, tendente a svilupparsi e ad estendersi, con difficoltà di estinzione documentata dal rapporto di intervento dei Vigili del fuoco.
4. Manifestamente priva di pregio anche l’ultima doglianza.
Nell’ipotesi di omicidio tentato, la prova del dolo ha natura essenzialmente indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quegli elementi della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità semantica, sono i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente.
Assume valore determinante, per l’accertamento della sussistenza dell’animus necandi l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, perchè altrimenti l’azione, per non avere conseguito l’evento, sarebbe sempre inidonea nel delitto tentato. Il giudizio di idoneità consiste, quindi, in una prognosi formulata ex post con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare (Cass., Sez. 1, 15 marzo 2000, rv. 215511; Cass., Sez. 1, 7 giugno 1997, rv. 207824).
La sentenza impugnata, in conformità con i principi in precedenza illustrati, ha, con motivazione compiuta e logica, correttamente argomentato la sussistenza del dolo omicidiario sulla base della condotta complessivamente serbata dall’imputato che, con un cutter a lama "a spezzare" monotagliente, perfettamente utilizzabile come strumento da taglio, ebbe a colpire reiteratamente con violenza, parti vitali del corpo della persona offesa quali il collo (sede della vena giugulare e dell’arteria carotidea) e, in conseguenza dell’azione difensiva posta in essere da B.M., la sede sottoscapolare sinistra. I giudici di merito hanno, inoltre, fornito una compiuta risposta alle argomentazioni della difesa, laddove hanno evidenziato, da un lato, l’irrilevanza della decisione intervenuta nell’ambito della procedura de liberiate, fondata su un materiale investigativo incompleto, e dall’altro l’incompatibilità della ricostruzione dei fatti offerta dall’imputato rispetto alla localizzazione e alla tipologia delle lesioni riscontrate e all’intera dinamica dell’azione.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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