Non deducibilità reddituale, per le società di capitali, dei compensi pagati ai propri amministratori. Estensione del precedente oppure clamorosa svista? Cass., Sez. V Civ. – ordinanza 13 agosto 2010, n. 18702.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Fatto e Diritto

Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione scritta prevista dall’art. 380-ter, nei termini che di seguito si trascrivono: tributaria regionale della Liguria che, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto il ricorso della società contribuente contro un avviso di accertamento per IRPEG, IVA E IRAP.
La società resiste con controricorso.
Il ricorso contiene due motivi. Può essere trattato in camera di consiglio (art. 375 c.p.c., n. 5) ed accolto, per manifesta fondatezza del primo motivo, assorbito il secondo, alla stregua delle considerazioni che seguono:
Si controverte esclusivamente in ordine alla deducibilità del compensi agli amministratori di società di capitali. Il giudice tributario – accogliendo la tesi della società – ha affermato che detti compensi sono deducibili nell’anno, pur successivo a quello di erogazione, in cui sia intervenuta la delibera ex art. 2389 c.c., mentre l’Agenzia, in base al disposto del d.p.r. n. 917 del 1986, art. 62, sostiene che essi non siano nella specie deducibili.
Il mezzo è manifestamente fondato, pur se per motivi non coincidenti con quelli sviluppati dalla ricorrente.
Questa Corte ha infatti affermato che il d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 62, il quale esclude l’ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l’opera svolta dall’imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone, non consente di dedurre dall’imponibile il compenso per il lavoro prestato e l’opera svolta
dall’amministratore di società di capitali: la posizione di quest’ultimo è infatti equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell’imprenditore, non essendo individuabile, in relazione alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società, e non ricorrendo quindi l’assoggettamento all’altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione (Cass. 24188/06).
La sentenza impugnata, nella parte in cui ha riconosciuto la deducibilità del relativo costo, è dunque ispirata ad un erroneo principio di diritto, non perchè i compensi degli amministratori di società di capitali siano deducibili nel solo anno in cui sono corrisposti, ma perchè non sono affatto che la controricorrente ha depositato una memoria, contestando la possibilità di decidere la causa sulla base di una questione non dedotta e comunque censurando, nel merito, il contenuto della relazione;
che il collegio condivide la proposta del relatore; che, quanto alla ritenuta novità dell’interpretazione, su cui la relazione si fonda, è decisivo il rilievo che essa non si basa su una questio facti non esaminata nei gradi di merito, bensì sull’interpretazione della norma della cui applicazione pacificamente si controverte in giudizio, cosicché deve escludersi che si tratti di questione rilevata d’ufficio;
che, d’altro canto, la circostanza che tale interpretazione non sia stata mai dedotta dall’Ufficio,
segnatamente in sede di accertamento, non appare vincolante per questo Giudice, alla luce di quanto dedotto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 30055/08, secondo cui "affermare, infatti, che nel giudizio tributario l’amministrazione finanziaria (e, adesso, l’Agenzia delle Entrate) è attore e che la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato vuol dire riconoscere che l’erario aziona una specifica pretesa impositiva – e cioè accerta un determinato debito tributario in capo al contribuente e ne richiede il pagamento – e che il processo che nasce dall’impugnativa dell’atto autoritativo è, sì,
delimitato nei suoi confini, quanto a petitum e causa petendi, dalla pretesa tributaria, ma solo nel senso che il fondamento e l’entità di questa non possono avere latitudine diversa da quanto dedotto nell’atto impositivo";
che, sotto tale profilo, la relazione appare coerente con l’atto impositivo, contenente la ripresa a tassazione dei costi dedotti per i compensi agli amministratori;
che, nel merito, appare irrilevante la circostanza che, nella sentenza citata nella relazione, si trattasse del compenso all’amministratore unico e non (come nella specie) ai componenti del consiglio di amministrazione, identica essendo nei due casi la problematica di fondo;
che pertanto, accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo;
che, attese le ragioni della decisione, appare equo disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.

la Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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