Cass. pen., sez. I 11-02-2009 (04-02-2009), n. 6000 Misure di prevenzione patrimoniali – Ambito di applicazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
La Corte d’appello di Milano respingeva il ricorso presentato da A.A. avverso il decreto emesso dal tribunale della stessa città col quale era stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per anni 4 e contestualmente era stata disposta la confisca di numerosi beni mobili e immobili riconducibili al proposto, confermando e richiamando per relationem il decreto di primo grado.
Quanto alla misura della sorveglianza speciale osservava che essa era fondata sulla gravità dei numerosi e reiterati precedenti penali dai quali emergeva che era persona dedita al crimine da almeno 30 anni e che aveva adeguato la sua condotta criminale all’età passando dalle rapine al traffico illecito di stupefacenti, alle estorsioni e all’usura, il che consentiva di inquadrarlo tra i soggetti ricompresi nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, commi 1 e 2. I motivi di impugnazione riproponevano le medesime questioni già affrontate dal giudice di primo grado e sostanzialmente si fondavano sulla mancanza del requisito dell’attualità della pericolosità in quanto il proposto avrebbe abbandonato la strada del crimine a partire dal 2000. La Corte osservava che tale motivo contrastava con la realtà dei dati oggettivi in quanto nel (OMISSIS) aveva commesso gravi fatti di traffico illecito di stupefacenti, nel (OMISSIS) aveva commesso reati di usura, e per di più la sua capacità criminale si era manifestata anche dopo lunghi periodi di detenzione per cui la carcerazione non aveva sortito alcuna funzione di rieducazione.
Concludeva che il tempo trascorso in libertà senza commettere reati era troppo breve per dimostrare il venir meno della sua pericolosità, anche perchè non era emerso alcun segno di ravvedimento o di pentimento e l’attività lavorativa da lui svolta in ambito familiare era in concreto difficilmente verificabile.
In relazione alla misura di prevenzione patrimoniale, contestualmente disposta ai sensi del L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter e L. n. 55 del 1990, art. 14, osservava che la difesa aveva riproposto le medesime questioni già esaminate dal giudice di primo grado e disattese perchè totalmente apodittiche e indimostrate sulla provenienza dei beni o del denaro. Contrastante con i dati documentali era l’affermazione che la famiglia di origine di A. fosse benestante, trattandosi di genitori in pensione dal (OMISSIS) con reddito inferiore ai mille Euro e che in precedenza avevano svolto un lavoro modesto; privi di ogni riscontro si erano rivelati i suggeriti lasciti ereditari; parimenti indimostrate le donazioni di S.L., padre naturale della moglie; non provati da dichiarazioni dei redditi o da buste paga i redditi da lavoro dipendente o autonomo derivanti dalla gestione di esercizi quali carrozzeria, panetteria e bar; la giustificazione addotta che si trattava di introiti non contabilizzati e quindi percepiti "in nero" non aveva ovviamente alcuna consistenza probatoria.
Parimenti infondati erano tutti i motivi riguardanti la giustificazione degli acquisti dei beni immobili sequestrati;
l’appartamento di (OMISSIS) era stato acquistato nell'(OMISSIS) dai genitori che non avevano alcuna disponibilità di denaro, era stato intestato alla figlia, ma usato da A. che già all’epoca aveva iniziato la sua attività di rapinatore; il primo appartamento di (OMISSIS) era stato acquistato dal preposto nel (OMISSIS) senza che potesse giustificare l’ingente esborso di denaro contante; il secondo appartamento di (OMISSIS) era stato acquistato nel 2003 grazie anche al prezzo di una mediazione mai provata ed anzi smentita dal terzo interessato; il bar tabacchi era stato acquistato senza fornire alcuna prova di provenienza del denaro da una fonte lecita di guadagno, limitandosi il preposto a sostenere che era il frutto di oltre venti anni di risparmi.
I buoni postali per un ammontare considerevole, rinvenuti in una cassetta di sicurezza nell’esclusiva disponibilità di A., erano stati considerati di sua esclusiva pertinenza, anche se in parte intesti al padre, in quanto costui non avrebbe avuto alcuna fonte lecita per acquistarli godendo di redditi assai modesti;
analoghe argomentazioni valevano per le polizze assicurative e per i depositi bancari. Avverso la decisione presentava ricorso il preposto e deduceva – erronea applicazione della legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta esistenza dell’attualità della pericolosità in quanto basata solo sui precedenti penali risalenti a più di 4 anni fa, omettendo di considerare che l’ultima volta che A. era stato arrestato, nel 2006, era avvenuto per fatti del (OMISSIS) ed era un procedimento ancora pendente, e che il suo affidamento in prova si era positivamente concluso; del tutto arbitraria era poi l’affermazione che l’attività lavorativa svolta in ambito familiare non garantisse adeguato controllo;
– erronea applicazione della legge e difetto di motivazione sulle misure patrimoniali in quanto il decreto si era fondato solo sulla mancanza di documentazione fiscale dalla quale emergesse la provenienza del denaro, mentre ogni altra prova era ammessa; la corte aveva rifiutato di assumere prove testimoniali che avrebbero potuto sostituire le prove documentali delle donazioni e della provenienza del denaro contante; la corte aveva omesso di motivare sulla riconducibilità dei buoni postali e dei conti correnti intestati ai soggetti terzi all’ A., non potendo limitarsi ad affermare che costoro non avevano redditi sufficienti per acquistarli o detenerli.
– con motivi aggiunti ribadiva le medesime considerazione ed aggiungeva che, poichè la L. 24 luglio 2008, n. 125 aveva abrogato la L. n. 55 del 1990, art. 14 che prevedeva la confisca dei proventi da estorsione e usura, i beni derivanti da detti reati dovevano essere restituiti e così tutti quelli acquistati dopo la commissione dei detti reati.
La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato. Il provvedimento impugnato è congruamente e logicamente motivato per cui non è aggredibile sotto il profilo della mancanza di motivazione. L’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale appare del tutto conforme ai principi di legge in materia, sussistendo la prova che il preposto rientra nelle categorie contemplate dalla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2, quale persona pericolosa che ha tratto dal crimine la sua principale fonte di sostentamento. I motivi di ricorso per altro sul punto si limitano a contestare il giudizio di attualità della pericolosità, dando però atto che l’ultimo arresto risale al (OMISSIS) e che l’ultima condanna riguarda fatti del 2004, dal che non può che dedursi che non è certo lontano il tempo in cui delinqueva e che non è stato acquisito alcun elemento dal quale dedurre che in futuro non delinquerà, vista la carriera più che trentennale nel settore criminale.
I motivi di ricorso sulle misure patrimoniali sono infondati, limitandosi ad affermazioni apodittiche sulla provenienza lecita del denaro, ammettendo però che le uniche fonti di prova potevano essere testimoniali, delle persone interessate, nonostante che si trattasse di transazioni contabili. Sul punto i provvedimenti di primo e secondo grado hanno dettagliatamente dimostrato l’infondatezza delle tesi difensive per cui può ritenersi dimostrata la provenienza illecita del denaro necessario per gli acquisti di beni mobili, immobili, buoni postali e polizze assicurative.
Quanto al motivo aggiunto che rappresenta la nullità del decreto di confisca patrimoniale in conseguenza dell’avvenuta abrogazione della L. n. 55 del 1990, art. 14 ad opera del cosiddetto decreto sicurezza del luglio 2008, deve osservarsi quanto segue.
La L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 14 aveva introdotto la previsione che le disposizioni della L. n. 575 del 1965, e quindi la possibilità della confisca prevista dagli artt. 2 bis e 2 ter, si applicassero anche ai soggetti indicati nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2 quando l’attività delittuosa da cui si riteneva derivassero i proventi fosse una di quelle previste dagli artt. 600, 601, 602, 629, 630, 644, 648 bis, 648 ter c.p. e contrabbando.
Secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità, la L. n. 55 del 1990, art. 14 era speciale rispetto alla L. 22 maggio 1975, n. 152, art. 19, comma 1 che prevedeva invece che "le disposizioni di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575 si applicano anche alle persone indicate nella L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, nn. 1 e 2".
L’art. 14, legge citata, si poneva in rapporto derogatorio, quale lex specialis posterior, sia per l’incipit della norma che così recitava "salvo che si tratti di procedimenti di prevenzione già pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge", sia per la dichiarata volontà del legislatore desumibile dai lavori preparatori della L. n. 55 del 1990 (Sez. 1, 5 febbraio 2008 n. 6841, rv. 238635) L’art. 14 legge citata in sostanza aveva avuto lo scopo di restringere il margine di operatività delle misure di prevenzione patrimoniali allo scopo di migliorarne la funzionalità concentrando l’attività di indagine ai casi più gravi.
A conferma di tale impostazione soccorre la giurisprudenza di legittimità formatasi prima dell’entrata in vigore della L. n. 55 del 1990, che pacificamente riteneva di interpretare la disposizione di cui alla L. n. 152 del 1975, art. 19 nel senso della piena equiparazione, ai fini delle misure di prevenzione patrimoniali, tra soggetti pericolosi in quanto indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso e soggetti pericolosi in quanto ritenuti abitualmente dediti ad attività delittuose da cui traggono i mezzi di vita ai sensi della L. n. 1423 del 1956 (Sez. 1, 11 dicembre 1989 n. 3253, rv. 183046; Sez. 1, 21 gennaio 1993 n. 226, rv. 193247; Sez. 1, 29 novembre 1993 n. 5166, rv. 196098).
Ricostruito in tal senso il quadro normativo di riferimento, deve procedersi all’esame degli effetti della L. 24 luglio 2008, n. 125, art. 11 ter che ha abrogato la L. n. 55 del 1990, art. 14. Deve in primo luogo osservarsi che tale abrogazione non ha prodotto alcun effetto sulla norma di riferimento generale di cui alla L. n. 152 del 1975, art. 19, visto che tale norma è sempre rimasta in vigore nel suo testo originale e che la "restrizione" di efficacia individuata nella L. n. 55 del 1990, art. 14 è stata frutto di interpretazione giurisprudenziale e dottrinale. Ne consegue che il venir meno della norma speciale fa rivivere nella sua pienezza l’operatività della norma generale che non è mai stata modificata o abrogata, per cui priva di pregio è la tesi difensiva prospettata secondo cui una volta abrogato la L. n. 55 del 1990, art. 14, non sussiste più alcuno strumento legislativo che consenta di estendere a soggetti ritenuti affetti da "pericolosità generica" le misure previste per i soggetti portatori di "pericolosità qualificata".
A parere del collegio non sussiste alcuna ragione per modificare l’interpretazione che la giurisprudenza di legittimità aveva già maturata sulla efficacia applicativa della L. n. 152 del 1975, art. 19, prima della entrata in vigore della norma speciale ora abrogata, nel senso che l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali della L. n. 575 del 1965 riguardasse tutti i soggetti individuati dalla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2. La Corte Costituzionale con la decisione n. 675 del 9 giugno 1988 aveva già affrontato la questione della legittimità della L. n. 152 del 1990, art. 19, comma 1, affermando che lo scopo di impedire l’eventuale ingresso nel mercato del denaro ricavato dall’esercizio di attività delittuose o di traffici illeciti, rende non irragionevole la scelta del legislatore di estendere le misure antimafia ad alcune delle categorie di persone socialmente pericolose, quali quelle individuate dalla L. n. 1523 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2. Deve infine osservarsi che l’interpretazione della rivitalizzazione della piena operatività della L. n. 152 del 1975, art. 19 comma 1, è confortata sia dalla ratio legis del cosiddetto decreto sicurezza che ha avuto lo scopo di rafforzare e non restringere la possibilità di utilizzo delle misure di prevenzione patrimoniali sia dall’introduzione di un doppio binario in materia di competenza a promuovere il procedimento di prevenzione.
Infatti la L. n. 125 del 2008, art. 10 ha introdotto la competenza a proporre le misure di prevenzione patrimoniali del Procuratore Nazionale Antimafia e del Procuratore distrettuale nei confronti di tutti i soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o di uno dei reati previsti dall’art. 51 c.p.p., comma 3 bis, mentre l’art. 11 cit. legge ha introdotto l’analoga competenza a proporre l’adozione delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti dei soggetti di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2, del Procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona. Il legislatore del 2008 ha avuto quindi ben presente la fattispecie prevista dalla L. n. 152 del 1975, art. 19 ed ha voluto confermarla introducendo questa competenza proprio all’art. 19, comma 1.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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