Cass. pen., sez. I 27-02-2009 (04-02-2009), n. 9015 Possibilità attuale di consumazione del delitto – Sopravvenuta impossibilità – Configurabilità della desistenza – Vizio di mente

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Torino confermava la condanna, in giudizio abbreviato (alla pena di anni sei di reclusione, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la diminuente del vizio parziale di mente equivalenti alle contestate circostanze aggravanti), di P.P. per concorso (quale esecutore materiale) con la convivente V. A. nel delitto tentato di omicidio commesso, in (OMISSIS), in danno di I.I., madre della V., colpita in più parti del corpo con un paio di forbici.
1.1. Spiegava la Corte di merito che, sulla base della relazione del consulente tecnico medico – legale del pubblico ministero, si era accertato che la I. aveva subito numerose ferite penetranti da punta e taglio al torace (cinque delle quali suturate chirurgicamente) interessanti i tessuti molli della parete toracica, i tessuti muscolari degli spazi intercostali ed il rivestimento pleurico.
Pur non essendovi stato pericolo di vita per la tempestività dei soccorsi, tali ferite avevano determinato pneumotorace bilaterale ed emotorace sinistro e si erano rivelate "potenzialmente idonee a cagionare la morte … essendo il torace sede di organi vitali, come il cuore ed i grandi vasi, che possono essere gravemente lesionati da ferite penetranti prodotte con strumenti appuntiti e lunghi".
Dalle perizie psichiatriche, eseguite in incidente probatorio, era, poi, emerso che il P. presentava un disturbo borderline di personalità che, per consistenza, intensità e rilevanza, ne aveva ridotto grandemente la capacità di intendere e di volere al momento del fatto.
1.2. Riteneva la Corte che l’evento non si fosse verificato per ragioni indipendenti dalla volontà dell’imputato.
Egli stesso, nell’interrogatorio del 5 gennaio 2007, aveva affermato di non essere riuscito ad uccidere la I. a causa della "confusione" in lui insorta "alla vista di tutto quel sangue", della telefonata fattagli nel frangente dalla V. e della resistenza opposta dalla vittima, che gli aveva tolto le forbici di mano ed era poi riuscita ad aprire la porta dell’abitazione per far entrare il vicino di casa che voleva darle aiuto. Le dichiarazioni del P. avevano trovato riscontro nel fatto che le forbici (l’arma del delitto) fossero state trovate sul pianerottolo antistante l’abitazione nonchè nelle dichiarazioni della I. la quale aveva affermato di essere riuscita a togliere dalle mani del suo aggressore le forbici (anche se poi lui era riuscito a riprendersele). Anche B.M., il vicino di casa, aveva confermato di essere intervenuto e di avere così avuto modo di notare che la I. stava resistendo, tanto che era riuscita ad aprire la porta ed a farlo entrare. E, d’altra parte, anche nell’interrogatorio del (OMISSIS) l’imputato aveva dichiarato di avere cercato di fuggire, dopo aver "tirato" un calcio nello stomaco alla I., perchè la donna urlava ed aveva avuto paura che lo "beccassero".
1.3. Osservava, poi, la Corte che la sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione era ampiamente provata.
L’imputato stesso aveva riferito che, la mattina del giorno prima, la V. gli aveva promesso un compenso in denaro per l’uccisione della madre e che l’omicidio era stato programmato per il mattino successivo (approfittando del fatto che la I. sarebbe rimasta in casa da sola) e doveva essere realizzato utilizzando "a mò di pugnale" le forbici. Lui e la V. avevano, inoltre, concordato di inscenare un falso litigio fra loro "per stornare i sospetti su di lei"; la sera del (OMISSIS), infatti, una pattuglia dei Carabinieri si era presentata a casa loro, su richiesta della donna che se ne era poi andata lamentando di essere stata percossa dal P..
La mattina del giorno dopo l’imputato aveva attuato il piano concordato, portandosi da casa le forbici che avevano scelto quale arma del delitto.
Non poteva dubitarsi, inoltre – proseguiva la Corte – della compatibilità di detta circostanza aggravante con la diminuente del vizio parziale di mente, considerato:
– che la premeditazione è compatibile con detto vizio a meno che sia in concreto originata "da cause che si identifichino con l’essenza dell’infermità psichica";
– che al P. non erano stati diagnosticati "disturbi di tipo delirante o idee fisse ossessive che non gli consentissero di recedere dal proposito omicida" (ma soltanto "instabilità affettiva dovuta a marcata reattività dell’umore con intensa disforia, irritabilità, ansia, incapacità di controllo della rabbia").
1.4. Con riguardo, infine, al trattamento sanzionatorio, la Corte escludeva la possibilità di ridurre la pena, tenuto conto dei precedenti penali dell’imputato, rappresentati da altri reati commessi con l’uso della violenza, e della particolare gravità del fatto realizzato anche per motivi di lucro.
2. Avverso l’anzidetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per mezzo del difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il difensore deduce l’inosservanza dell’art. 56 c.p., comma 3, nonchè mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto punibile il tentativo nonostante la desistenza volontaria dell’imputato. Il consulente tecnico medico – legale si era limitato ad osservare che, grazie alla tempestività dei soccorsi, non si era mai configurato un concreto ed imminente pericolo per la vita della I..
L’azione, pertanto, non era stata interamente compiuta, allorquando l’imputato aveva desistito dal proposito omicida.
La reazione della vittima non avrebbe mai potuto, stante la "disparità fisica" tra la stessa e l’aggressore, "vincere l’antagonista volontà" del P. e rendere plausibile una sua repentina fuga.
Ad un certo punto, tra l’altro, l’imputato era riuscito a recuperare il possesso delle forbici che, poco prima, la I. gli aveva tolto di mano. Non era vero, comunque, che il P. avesse cercato di fuggire, avendo anzi egli stesso chiesto al B. di chiamare la polizia.
Il fatto che l’imputato avesse risposto alle chiamate telefoniche della V. dimostrava l’insussistenza di una "pressochè istantanea" sequenza aggressione – reazione – fuga.
Ciò dimostrerebbe in sostanza che vi era stata da parte dell’imputato, in quei momenti, una revisione critica del proprio operato.
2.2. Con il secondo motivo la difesa lamenta l’erronea applicazione dell’art. 577 c.p., comma 1, n. 3.
Un omicidio "non improvvisato" non è necessariamente "premeditato".
Nel caso di specie, tra l’altro, l’intervallo di tempo tra ideazione ed attuazione del crimine non era di per sè significativo.
La premeditazione sarebbe, poi, incompatibile con la riconosciuta seminfermità mentale.
Non soltanto le patologie mentali generatrici di idee fisse ed ossessive osserva il difensore – sono ontologicamente incompatibili con la premeditazione, ma la sentenza impugnata, tuttavia, non aveva proceduto ad un "vaglio analitico" delle caratteristiche della malattia del P..
2.3. Con il terzo motivo il difensore si duole dell’erronea applicazione degli artt. 69 e 133 c.p..
La prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e, comunque, la riduzione della pena inflitta avrebbero contribuito ad adeguare il trattamento sanzionatorio al "profilo personale dell’imputato".
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
3.1. Il primo motivo del ricorso è infondato.
I vizi denunciati sono insussistenti.
La desistenza volontaria dall’azione di cui all’art. 56 c.p., comma 3 presuppone la costanza della possibilità della consumazione del delitto.
Qualora tale possibilità non vi sia più, si ha, sussistendone i requisiti, un delitto tentato punibile ai sensi dello stesso art. 56 c.p., comma 2.
L’impossibilità può consistere, sul terreno oggettivo, nella non realizzabilità fisico – materiale della consumazione e, sul piano soggettivo, anche soltanto nella non realizzabilità erroneamente ritenuta dal soggetto agente (in quest’ultimo caso una desistenza sarebbe di per sè possibile, ma manca la volontarietà).
Di queste regole la Corte di merito ha fatto corretta applicazione, apprezzando il materiale probatorio acquisito in modo adeguato e logico e così sottraendosi a qualunque censura di legittimità.
Le dichiarazioni dell’imputato, della vittima, del vicino di casa ed il ritrovamento delle forbici sul pianerottolo antistante la porta dell’abitazione depongono nel senso che il P. non abbia volontariamente abbandonato l’azione ma vi sia stato costretto da una serie di circostanze, oggettive e soggettive, quali l’imprevista reazione della I., l’accorrere del B. e, all’ultimo, il venir meno della convinzione di farcela a portare termine il progetto omicida.
La forza persuasiva di dette argomentazioni non può essere posta in discussione in questa sede, perchè ciò comporterebbe un’inammissibile incursione nella valutazione del fatto, che deve, invece, rimanere prerogativa esclusiva del giudice di merito.
Conseguentemente, i motivi di ricorso, con i quali si è dedotto anche il vizio di motivazione della sentenza impugnata, vanno disattesi, perchè inidonei a contrastare e, quindi, a porre in crisi l’adeguatezza e la logica interna dell’iter argomentativo della sentenza impugnata.
3.2. Ai limiti della genericità e, in ogni caso, destituito di fondamento è il secondo motivo.
La Corte di appello non ha compiuto errore alcuno nell’affermare la sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione. Ha, invero, tenuto conto che, ai fini della configurabilità dell’aggravante in questione, sono necessari due elementi: uno, psicologico, consistente nel perdurare, nell’animo del soggetto, di una risoluzione criminosa ferma ed irrevocabile; l’altro, cronologico, rappresentato dal trascorrere fra l’insorgenza e l’attuazione di tale proposito di un intervallo di tempo apprezzabile, in concreto sufficiente a far riflettere il soggetto agente sulla decisione presa ed a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere (cfr., ex plurimis, Cass. 1^ 18 dicembre 2008, Antonucci, RV 241575; Cass. 1^ 13 giugno 1997, Ogliari, RV 208471).
Ed ha ritenuto sussistere, nel caso in esame, entrambi gli elementi:
quello "ideologico" in quanto l’imputato si era dimostrato "fermo" nel proposito sia contribuendo alla messinscena della sera prima del delitto, sia realizzando il piano preordinato, con determinazione tale da permettersi anche di aiutare il marito della I., che stava partendo e lasciava quindi la moglie in casa da sola, a caricare alcune cose sull’autovettura; quello "cronologico" perchè, comunque, tra l’insorgenza del proposito e la sua attuazione era trascorso un tempo apprezzabile (ventiquattro ore), che era poi il tempo necessario per attendere il momento propizio, quello in cui la donna sarebbe rimasta sola in casa. Sulla base di questi elementi, dunque, il giudice di appello ha escluso che si fosse in presenza, come pretenderebbe il ricorrente, della "mera preordinazione di un delitto", intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a questa ultima immediatamente precedente.
Con riguardo, infine, alla compatibilità tra la riconosciuta aggravante ed il vizio di motivazione, la Corte territoriale, in assenza di diverse indicazioni medico – legali, altro non ha fatto che dare applicazione al costante principio giurisprudenziale secondo cui la premeditazione può risultare incompatibile con il vizio di mente nella sola ipotesi in cui consista in una manifestazione dell’infermità psichica da cui è affetto l’imputato, nel senso che il proposito criminoso coincida con un’idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità (così, fra le altre, sulla scia di Cass. S.U. 23 febbraio 1957, Maggiore, RV 097801, Cass. 1 13 ottobre 1998, Ingaglio, RV 212646;
Cass. 1 4 giugno 1992, Di Mauro, RV 191308).
3.3. Il terzo motivo è inammissibile, ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), perchè privo del requisito della specificità.
Il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr., ex plurimis, Cass. 4^ 1 aprile 2004, Distante, RV 228586; Cass. 2^ 8 luglio 1999, Albanese, RV 214249).
Il motivo si risolve, invece, nella mera enunciazione del dissenso del deducente rispetto alla valutazione compiuta dalla Corte di merito.
Si aggiunga che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze sono censurabili in cassazione soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (v., ad esempio, Cass. 3^ 22 aprile 2004, Ronzoni, RV 229298; Cass. 1^ 16 febbraio 2001, Felini, RV 219263).
Ed in tal senso, non può esservi dubbio che a giustificare la soluzione della equivalenza (recte a negare la prevalenza) sia sufficiente avere, come nel caso in esame, valorizzato i plurimi "violenti" precedenti dell’imputato.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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