Cass. pen., sez. I 27-01-2009 (15-01-2009), n. 3736 Principio della preclusione processuale – Applicabilità – Ragioni.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva la richiesta presentata, nell’interesse di A.R., di applicazione della disciplina della continuazione tra:
a) i reati di estorsione (art. 629 c.p., comma 2) e di usura (art. 644 c.p.) commessi in (OMISSIS) il (OMISSIS) in danno di S.V. e A. (sentenza di condanna del Tribunale di Lamezia Terme in data 6 marzo 1994 e sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 23 novembre 1995, divenuta irrevocabile il 29 aprile 1996);
b) i reati di estorsione e di usura commessi in (OMISSIS) dal (OMISSIS) al (OMISSIS) in danno di C.P. (sentenza di condanna del Tribunale di Lamezia Terme del 5 aprile 1997 e sentenza della Corte di appello di Catanzaro in data il 1 dicembre 1997, divenuta irrevocabile il 20 novembre 1998);
c) i reati di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), danneggiamento (art. 635 c.p.), estorsione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti)), commessi in (OMISSIS) ed altri vicini Comuni negli anni (OMISSIS) (sentenza di condanna della Corte di Appello di Catanzaro pronunciata il 7 giugno 2005 e divenuta irrevocabile il 9 novembre dello stesso anno).
2. Avverso l’anzidetta ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, chiedendone l’annullamento.
Articola un unico motivo con il quale deduce la violazione dell’art. 649 c.p.p..
Rileva che il Giudice per le indagini preliminari aveva provveduto in relazione ad un’istanza "meramente ripropositiva" di altra in precedenza formulata dall’ A. e respinta dal Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza pronunciata il 20 luglio 2007, depositata il successivo 20 agosto e non impugnata.
3. Con memoria depositata il 19 novembre 2008, il difensore di A.R. ha chiesto dichiararsi inammissibile o, in subordine, rigettarsi il ricorso, rilevando che la dedotta violazione dell’art. 649 c.p.p., è inconferente perchè detta disposizione non si applicherebbe nel giudizio di esecuzione.
Sostiene la difesa:
che la citata ordinanza del Tribunale di Catanzaro era stata "regolarmente impugnata" e non aveva ad oggetto "le medesime sentenze considerate dal Giudice per le indagini preliminari", dato che riguardava anche una sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di appello di Catanzaro il 1 novembre 1992 per violazioni della disciplina concernente le armi e resistenza a pubblico ufficiale;
– che vi era diversità anche in relazione alla "causa petendi" poichè la richiesta era fondata su nuove argomentazioni", vale a dire "sull’identità e prossimità temporali" dei reati di estorsione e di usura di cui alle sentenze di condanna indicate sub a) e b) e sulla "prospettata identità del disegno criminoso" tra detti fatti e quelli di cui alla sentenza indicata sub c);
– che non vi era, pertanto, reiterazione della medesima richiesta, differenti essendo sia il petitum che la causa petendi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Il ricorso merita accoglimento.
4.1. Deve premettersi che il ricorrente, seppur con forme non ineccepibili, ha comunque denunciato l’inosservanza, da parte del Giudice per le indagini preliminari, di una norma processuale prevista a pena di inammissibilità.
Non si tratta, tuttavia – come afferma il ricorrente – della norma contenuta nell’art. 649 c.p.p., ma di quella contemplata dall’art. 666 c.p.p., comma 2, la quale, peraltro, imponendo al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta che costituisca "mera riproposizione" di altra "già rigettata, basata sui medesimi elementi", ha di fatto formalizzato il principio di preclusione processuale "derivante dal divieto del ne bis in idem" (cfr. Cass. 1^ 22 dicembre 1994, Lo Casto, RV 196544; Cass. 6^ 7 febbraio 1994, Busterna, RV 196628) o che, comunque, esprime l’essenza di detto divieto (che trascende l’enunciazione formale del menzionato art. 649 c.p.p.).
4.2. Ciò premesso, con l’ordinanza impugnata, il giudice dell’esecuzione ha accolto una richiesta che avrebbe dovuto dichiarare inammissibile perchè costituiva "mera riproposizione" di altra richiesta "basata sui medesimi elementi" e già rigettata.
Risulta, invero, dagli atti, segnatamente dalla più volte menzionata ordinanza in data 20 luglio 2007 del Tribunale di Catanzaro:
– che effettivamente la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato presa in esame dal Tribunale riguardava non soltanto i fatti di cui alle sentenze indicate sub a), b) e c), ma anche il delitto di resistenza a pubblico ufficiale e le violazioni in materia di armi commessi in (OMISSIS), giudicati dal Tribunale di Vibo Valentia in data 28 maggio 1991 e dalla Corte di appello di Catanzaro in data 1 febbraio 1992 (sentenza divenuta irrevocabile l’il maggio 1992);
che il Tribunale aveva ritenuto che non fosse ravvisabile la continuazione tra il reato associativo di cui alla sentenza sub c) ed i fatti giudicati dalle sentenza sub a) e b), nonchè dalle sentenze da ultimo indicate, non essendo provata l’unicità del disegno criminoso e, in particolare, che A., contestualmente alla costituzione della societas sceleris ovvero all’adesione ad essa, avesse concepito un progetto dei singoli delitti realizzabili nell’ambito dell’accordo associativo;
– che, anzi, i fatti di cui alle sentenze indicate sub a) e b) non apparivano in concreto inquadrabili nel programma delittuoso "del clan capeggiato dall’ A.", essendo maturati in situazioni contingenti, autonome le une dalle altre ed originariamente imprevedibili.
Non è dubbio, dunque, che la richiesta presentata al Giudice per le indagini preliminari costituisse "mera riproposizione" di quella già rigettata dal Tribunale.
Essa aveva, invero, ad oggetto i medesimi fatti e le medesime sentenze, indicate sub a), b e c), e non determina diversità il fatto che l’istanza rigettata dal Tribunale riguardasse anche una quarta sentenza di condanna.
La "causa" di entrambe le richieste, inoltre, era l’asserita sussistenza di un unico disegno criminoso, cioè dell’elemento qualificante, nell’ambito del concorso materiale di reati, l’istituto della continuazione.
5. La decisione impugnata va, in conclusione, annullata senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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