Cass. pen., sez. I 27-01-2009 (09-01-2009), n. 3727 Misure alternative alla detenzione – Affidamento in prova al servizio sociale – Esito della prova – Condotta successiva all’espletamento della misura

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Napoli, valutando all’esito del suo esaurimento il periodo di affidamento in prova concesso (dal 16.3.2007 al 18.4.2007) a B.V., revocava ex tunc la misura e dichiarava non estinta la pena di un mese e due giorni di reclusione ad essa corrispondente.
A ragione osservava che appena due mesi dopo l’esecuzione della misura il B. si era reso latitante sottraendosi alla esecuzione di un ordine di carcerazione emesso nei suoi confronti dalla Procuratore generale presso la Corte d’appello di Reggio Calabria per una pena di 12 anni, 4 mesi e 22 giorni di reclusione (afferente condanna per un reato precedentemente commesso), tanto che non era stato possibile effettuare le notifiche per l’udienza di sorveglianza presso il suo domicilio, risultando irreperibile e vane le sue ricerche.
La latitanza implicava poi collegamenti criminali che dimostravano l’esito infausto della prova.
Propone ricorso per cassazione il B., nel frattempo arrestato, con atto 22.4.2008 e chiede l’annullamento della ordinanza. Premette che la stessa non gli era stata mai notificata, in quanto "sarebbe stata ricevuta dalla propria moglie" e denunzia:
1. violazione dell’art. 159 c.p.p. e nullità della citazione per l’udienza dinanzi al Tribunale di sorveglianza, sostenendo l’illegittimità del decreto d’irreperibilità, non preceduto da alcun tentativo di notificazione al domicilio del ricorrente e sostenuto solamente da un verbale di vane ricerche (del 17.1.2008) effettuate in realtà in diverso ambito, all’atto della esecuzione di un ordine di carcerazione, e soltanto presso l’abitazione del B., dove erano presenti moglie e figlie del B. che non avevano rifiutato la notificazione degli atti a lui indirizzati, nè il B. risultava latitante per il procedimento in esame;
2. violazione dell’art. 47 ord. pen., commi 11 e art. 12 ord. pen., lamentando che si era considerata ai fini della valutazione del periodo di prova una condotta, l’asserita latitanza, successiva di due mesi al suo esaurimento, che non integrava violazione di alcuno degli obblighi a lui imposti, che non costituiva un delitto nè era in connessione logica con la condotta antecedente (i reati cui si riferiva l’ordine di carcerazione risalivano a molti anni prima) e della quale non risultava dimostrata la volontarietà, giacchè il B. non s’era affatto dato alla fuga, ma s’era semplicemente allontanato dalla sua residenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Osserva il Collegio che il primo motivo di ricorso appare infondato giacchè il decreto di irreperibilità risulta ritualmente emesso all’esito di ricerche sufficientemente esaustive e correttamente non s’era proceduto alla notificazione dell’avviso di fissazione del procedimento a mani degli abitanti la casa da dove il ricorrente risultava essersi allontanato non essendo stato colà da lui eletto domicilio. Le notifiche risultavano inoltre perfezionate prima che dal carcere il ricorrente inviasse nomina di difensore di fiducia.
Fondato è invece il secondo motivo.
Secondo principi consolidati (Sez. U, n. 10530 del 27/02/2002, Martola) al termine dell’esperimento della prova il Tribunale di sorveglianza non deve limitarsi a riscontrare il formale ossequio del condannato alle prescrizioni impartitegli e ben può tenere conto di qualsiasi elemento fattuale seriamente sintomatico del mancato raggiungimento delle finalità cui è destinata la misura, valutando anche fatti e comportamenti che, "pur non riconducibili storicamente nel perimetro temporale della prova, si palesino tuttavia, avuto riguardo alla loro qualità e gravità, significativi e in grado di illuminare retrospettivamente il processo rieducativo del condannato ai fini del reinserimento sociale e della auspicata prognosi di non recidivanza". Quando tuttavia considera fatti successivi, non coperti da giudicato di condanna, occorre che di tali fatti valuti incidentalmente ed autonomamente sia la attribuibilità al condannato sia la concreta incidenza sintomatica sul giudizio di recupero sociale. E tali principi valgono, a maggior ragione, quando il fatto successivo non costituisce reato e non è suscettibile perciò di delibazione principale.
Ora la latitanza costituisce un dato obiettivo che consente di presumere ai fini strettamente processuali, la volontaria sottrazione ad un provvedimento restrittivo, ma non è di per sè un delitto nè un illecito d’altro genere. I reati cui si riferiva l’ordine di carcerazione al quale il ricorrente si presume si fosse sottratto erano d’altra parte pacificamente precedenti alla espiazione di pena mediante affidamento in prova al servizio sociale di cui si discute Sicchè erroneamente il Tribunale ha fatto discendere, alla stregua di un presunzione di secondo grado, dalla sola esistenza di un breve successivo periodo di "latitanza" del ricorrente per altro titolo (o meglio, dalla sola mancata tempestiva esecuzione di altro titolo di carcerazione) l’ipotesi di perduranti collegamenti criminali;
giacchè occorreva al contrario positivamente verificare, al fine di far rifluire quel comportamento sul periodo di prova, l’esistenza sia della volontarietà sia, soprattutto, dei perduranti collegamenti criminali, apoditticamente affermati.
Il provvedimento impugnato deve di conseguenza essere annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Napoli che procederà a nuovo esame attenendosi ai principi sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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