Cass. pen., sez. I 27-01-2009 (16-01-2009), n. 3607 Ammissione – Istanza – Omessa decisione nel termine – Nullità del provvedimento giudiziale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Lecce:
– confermava la condanna di B.M., alla pena di anni tredici di reclusione, per i delitti di tentato omicidio aggravato (artt. 56 e 575 c.p. e art. 576 c.p., comma 1, n. 2) in danno di C.N. commesso in (OMISSIS) (capo B7), porto e detenzione abusivi dell’arma (artt. 2 e 4 in relazione alla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 7) utilizzata per il suddetto attentato (capo B8), unificati sotto il vincolo della continuazione (art. 81 c.p., comma 2), esclusa la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203;
– confermava la condanna del medesimo imputato, alle pene di anni quattro e mesi tre di reclusione ed Euro 3.800,00 di multa per i delitti, unificati dal vincolo della continuazione, di cessione di sostanze stupefacenti a P.E. e ad altre persone (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, riconosciuta la circostanza attenuante della lieve entità dei fatti di cui al cit. articolo, comma 5) accertata in (OMISSIS) (capo D8), di partecipazione ad associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 quater, commi 1, 2, 3 e 4), permanente in (OMISSIS) (capo C), di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (cit. D.P.R., art. 291 bis e art. 295, comma 2, lettera d) accertato nella provincia di (OMISSIS) (capo C1), nonchè il (OMISSIS) (capo C2), riconosciuta la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7;
confermava la condanna di C.F. per i delitti di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p., commi 1, 3, 4 e 5), in (OMISSIS) (Capo B), nonchè per l’anzidetto reato di cui al capo C) e per il delitto di illecita detenzione di sostanze stupefacenti ("900 grammi di eroina/cocaina"), accertato in (OMISSIS) (capo D2);
– dichiarava il medesimo imputato, in riforma della decisione assolutoria di primo grado, colpevole del delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2, 3 e 4), commesso nel periodo (OMISSIS) (capo D) e, riconosciuta la sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, unificati i delitti sotto il vincolo della continuazione, rideterminava in anni diciotto di reclusione le pene irrogate dal giudice di primo grado (anni tredici e mesi due di reclusione ed Euro 60.000,00 di multa);
– confermava la condanna di C.S. per i delitti di cui ai capi C) e D2), nonchè per il delitto di illecita detenzione di sostanze stupefacenti accertato in (OMISSIS) (capo D6);
– dichiarava il medesimo imputato, in riforma della decisione assolutoria di primo grado, colpevole del menzionato delitto di cui al capo D) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate circostanze aggravanti (esclusa la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7), unificati i delitti sotto il vincolo della continuazione, rideterminava in anni quindici e mesi tre di reclusione le pene irrogate dal giudice di primo grado (anni undici e mesi undici di reclusione ed Euro 55.000,00 di multa);
– confermava la condanna di G.C. per i delitti di cui ai capi B), C), D2), nonchè per il delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, commesso in (OMISSIS) (capo C8);
– dichiarava il medesimo imputato, in riforma della decisione assolutoria di primo grado, colpevole del menzionato delitto di cui al capo D) e, riconosciuta la sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, unificati i delitti sotto il vincolo della continuazione, rideterminava in anni diciassette e mesi tre di reclusione le pene irrogate dal giudice di primo grado (anni dodici e mesi nove di reclusione ed Euro 60.000,00 di multa);
– confermava la condanna di G.G., per il delitto di cui al capo B), alla pena di anni sei di reclusione (dichiarata "assorbita" dalla pena "in espiazione" dell’ergastolo con isolamento diurno per anni tre, irrogatagli dalla Corte di assise di appello di Lecce con sentenza in data 12 febbraio 2002, divenuta irrevocabile);
confermava la condanna di L.G., per i delitti di cui ai menzionati capi B7) e B8), unificati dalla continuazione, alla pena di anni dodici di reclusione, esclusa la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7;
– confermava la condanna del medesimo imputato, per i delitti di cui ai capi B), C), C1) e C2), riconosciuta la continuazione, alla pena di anni cinque e mesi nove di reclusione, riconosciuta la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7;
– confermava la condanna di L.P. per i delitti di furto aggravato (art. 624 c.p., e art. 625 c.p., nn. 2 e 7) dell’autovettura AUDI A8, targata (OMISSIS), di proprietà di G.M., commesso in (OMISSIS) (Capo A), e di ricettazione (art. 648 c.p.) dell’autovettura THEMA FERRARI 8.32, targata (OMISSIS), commesso in (OMISSIS) (capo A1), ritenuta la continuazione tra gli stessi, alle pene di anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 400,00 di multa;
– confermava la responsabilità di L.A. per i delitti (in continuazione) di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, commesso in (OMISSIS) (capo D4) e di cessione di hashish a tali Mi. e Gr., commesso in (OMISSIS) (capo D5), riconosciuta la circostanza attenuante della lieve entità dei fatti e, esclusa la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, riduceva ad anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa le pene inflitte dal primo giudice (anni tre di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa);
confermava la condanna di M.P., per i delitti (in continuazione) di cui ai già indicati capi B), C), C1) e C2), nonchè per i delitti di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, commessi in (OMISSIS) (capo C4), in (OMISSIS) (capo C5) e in (OMISSIS) (capo C6), ritenuta la sussistenza, con riguardo ai fatti concernenti il contrabbando, della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, alla pena di anni sei e mesi sette di reclusione;
– confermava la condanna di P.M., per il reato di cui al capo B), alla pena di anni sei di reclusione;
– confermava la condanna di S.M.F., per il delitto di detenzione illegale di un fucile calibro 12 con matricola abrasa e relative munizioni (L. 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7 e L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 23, comma 3), accertati in (OMISSIS) in epoca anteriore e prossima al (OMISSIS) (capo B2), alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa;
– dichiarava PU.Fr., in riforma della decisione assolutoria di primo grado, colpevole dei delitti di cui ai capi B7) e B8) e lo condannava, riconosciuta la continuazione, alla pena di anni dodici di reclusione, esclusa la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7;
– dichiarava il medesimo imputato, in riforma della decisione assolutoria di primo grado, colpevole dei delitti di cui ai capi C) e D8), ritenuta la lieve entità del fatto, e, riconosciuta la continuazione, lo condannava alle pene di anni tre e mesi tre di reclusione ed Euro 3.600,00 di multa, esclusa la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. 1-1. Le questioni relative airinutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni.
La Corte ribadiva, in primo luogo, l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni eseguite.
1.1.1. Osservava, in particolare, in relazione al compimento delle operazioni mediante impianti "esterni", che il pubblico ministero aveva, nei decreti dispositivi, adempiuto l’obbligo motivazionale impostogli dall’art. 268 c.p.p., comma 3, affermando che gli impianti installati nella Procura della Repubblica erano "indisponibili" in quanto "tutti impegnati per altre indagini in corso" e che esistevano eccezionali ragioni di urgenza "connesse alle modalità tecniche di esecuzione del decreto" e "alle ragioni che avevano determinato l’adozione del decreto di urgenza" (illustrate mediante l’indicazione di "tutti gli elementi di fatto, in quel momento noti, dai quali era dato desumere che l’attività criminosa fosse in corso").
Con riferimento alle intercettazioni che non erano state disposte in via di urgenza ma seguendo l’iter ordinario, chiariva che il Tribunale aveva già dichiarato inutilizzabili quelle relative:
– all’IMEI (OMISSIS) in uso a M.P.;
– al numero (OMISSIS) in uso a L.P.;
– al numero (OMISSIS) in uso a L.P.;
– all’IMEI (OMISSIS) in uso L.P., N.N. e F. R..
Delle altre, e precisamente di quelle relative:
– all’IMEI (OMISSIS) in uso a M.P.;
– al numero (OMISSIS) in uso a L.P.;
– al numero (OMISSIS) in uso a L.P.;
– al numero (OMISSIS) in uso a R.G.S.;
la Corte ribadiva l’utilizzabilità dei risultati, desumendo le ragioni di eccezionale urgenza dai dati ricavabili dai provvedimenti autorizzativi del Giudice per le indagini preliminari richiamati dai decreti dispositivi del pubblico ministero.
Così, con riguardo alla prima, rilevava che nel citato provvedimento si era fatto riferimento all’imminente perpetrazione di un attentato nei confronti degli autori del tentativo di omicidio di L. G..
Quanto alla seconda utenza, osservava che le operazioni avevano tratto ragione dall’attività di un’organizzazione criminale dedita al compimenti di rapine in danno di banche ed uffici postali e dalla "attuale" disponibilità, da parte di L.P. e di N. N., delle autovetture di provenienza furtiva di cui ai capi A) e A1) dell’imputazione.
In relazione alla terza, si era avuta cura di riferirsi al compimento di rapine da parte di L.P., ai contatti tra questi e L.G. nell’ambito dell’attività di contrabbando ed all’organizzazione di un’azione di fuoco in danno di coloro che avevano attentato alla vita del L..
Con riguardo, infine, all’ultima utenza si era fatto riferimento ad un sodalizio mafioso operante nel settore delle rapine, commesse con autovetture provenienti da furti.
1.1.2. I Giudici di appello confermavano, poi, l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni relative alle utenze IMEI (OMISSIS) e numero (OMISSIS) in uso a L.G..
Si era contestata la tempestività del provvedimento di convalida del Giudice per le indagini preliminari.
Risultava, invero, che i decreti del pubblico ministero erano stati emessi rispettivamente alle ore 8,35 e 8,30 del 3 luglio 2001, depositati presso la cancelleria del Giudice per le indagini preliminari alle ore 13,20 e convalidati dal medesimo lo stesso giorno "alle ore 9,00". L’evidente errore materiale riguardante l’orario – precisava la Corte mostrando di condividere l’opinione del primo giudice – non era idoneo ad inficiarne la tempestività, atteso che la convalida era comunque intervenuta in data 3 luglio.
1.1.3. In relazione, poi, all’utenza numero (OMISSIS) in uso a B.M., la Corte di appello affermava l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni eseguite dalle ore 11,38 alle ore 14,00 del (OMISSIS) in quanto il provvedimento di proroga del Giudice per le indagini preliminari non indicava l’orario ma soltanto la data, la "richiesta di proroga era stata depositata alle ore 11,00 e la scadenza era alle ore 11,38. 1.2. Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
1.2.1. Riteneva, anzi tutto, la Corte che tutte le dichiarazioni rese prima dell’entrata in vigore della L. 13 febbraio 2001, n. 45 erano da considerarsi utilizzabili anche se non era stato redatto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione di cui all’art. 16 quater, introdotto dall’anzidetto provvedimento legislativo nel corpo della L. 15 marzo 1991, n. 82.
Tutti i collaboratori, invero, avevano già reso dichiarazioni prima dell’entrata in vigore della legge menzionata.
1.2.2. I giudici di appello, dopo avere ribadito l’attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia LE. G., L.C., D.M. (che avevano cominciato a collaborare nell’ultimo quadrimestre del (OMISSIS)) e D.T.D. (il cui momento collaborativo iniziale datava (OMISSIS)), ne riproducevano i contenuti essenziali.
1.2.3. L.G. (nell’udienza dibattimentale del 5 novembre 2003) aveva ricostruito la storia della Sacra Corona Unita fino al suo arresto dell'(OMISSIS), riferendo in particolare della partecipazione del suo "padrino" G.G. (al quale era stato "affiliato" fin dal (OMISSIS)), del fratello G.C. e di C.F..
1.2.4. Le sue dichiarazioni avevano trovato riscontro nelle conversazioni telefoniche intercettate e nelle affermazioni del fratello L.C., che aveva iniziato a collaborare il (OMISSIS), subito dopo l’arresto per l’omicidio di C. E..
Il collaborante aveva raccontato del periodo di egemonia di G.G., al quale era stato affiliato nel (OMISSIS), e di R.P.; quindi del dominio della triade D. – P. M. – V.; infine della decisione di suo fratello Gi. di costituire un gruppo autonomo.
1.2.5. D.M., che con P.M., V. A. e C.M., aveva formato un nuovo gruppo (esautorando R.P. ed i suoi affiliati) ed era diventato responsabile della zona di (OMISSIS), aveva, in particolare, riferito (all’udienza dibattimentale del 22 ottobre 2003) dei traffici di droga, dell’attività, particolarmente lucrosa, di contrabbando di sigarette e dei proventi derivanti dal versamento all’organizzazione della somma di "L. 10.000 a cassa" da parte delle squadre contrabbandiere "esterne". 1.2.6. D.T.D. aveva, infine, riferito fatti relativi anche al periodo (OMISSIS), vale a dire al periodo successivo all’arresto dei "capi storici" ed all’emersione di nuovi capi.
Aveva parlato, in particolare, del ruolo dominante assunto da C.F..
Il suo contributo probatorio era stato rafforzato dai risultati delle intercettazioni telefoniche eseguite.
1.3. B.M.: capi B7) – B8) – C) – C2) – D8. 1.3.1. La Corte premetteva che il B. era stato identificato, anche attraverso servizi di osservazione, pedinamento e controllo, come colui che aveva la disponibilità dell’utenza (OMISSIS).
I Carabinieri di (OMISSIS), luogo in cui l’imputato dimorava, ne avevano, inoltre, riconosciuto la voce.
1.3.2. Quanto ai reati di cui ai capi B7) e B8), la Corte confermava la concorrente responsabilità del B., osservando che gli elementi a suo carico erano desumibili dai seguenti elementi e rilievi indiziari:
– il (OMISSIS) L.G. aveva subito un attentato e, ferito, aveva subito avvisato il B.;
– quest’ultimo aveva invitato il fratello L.P. a non recarsi in ospedale;
– al B., M.P. aveva telefonato per sapere cosa fosse successo;
– già dal giorno successivo al subito attentato L.G. aveva cominciato a maturare propositi di vendetta nei confronti di C.N., che riteneva autore del medesimo;
– il C.N. aveva preferito, peraltro, allontanarsi dalla masseria dove abitava e B., infatti, aveva riferito a L. di non avere trovato nessuno nel corso dell’appostamento;
– il (OMISSIS) L.G. era arrivato ad (OMISSIS) e ad attenderlo c’erano il B. e PU.Fr.;
– nei giorni successivi erano proseguiti gli appostamenti;
– alcune conversazioni intercettate intercorse tra L. ed il B. lasciavano intendere che i due stessero approvvigionandosi di armi (tanto che L., procuratosi un fucile, lo aveva affidato a F.S.M., sua convivente, affinchè lo occultasse e, il (OMISSIS), i Carabinieri, localizzata l’abitazione dei due, avevano eseguito una perquisizione, rinvenuto il fucile ed arrestato il L.);
– successivamente all’arresto del L. erano proseguiti i contatti tra B., M.P. e PU.Fr., i quali si preoccupavano di prestare assistenza alla convivente ed alla figlia del detenuto;
– il (OMISSIS) LE.Pa. si era recata a colloquio con il padre L.G. presso la casa circondariale di (OMISSIS);
– da una cabina pubblica aveva telefonato al B., che aveva in uso il telefono del L., per avvisarlo che era davanti al carcere insieme alla madre;
– la telefonata delle ore 11,24 tra i due era avvenuta proprio nel momento in cui era stato esploso un colpo di arma da fuoco all’indirizzo del C.N. (prima della risposta era stato registrato un "fuori campo" in cui B. ed un’altra persona, poi identificata in PU.Fr., si erano mostrati preoccupati che qualcuno potesse "prendere la targa"; B. aveva detto altresì "si è inceppata");
– alle ore 11,47, quindi dopo circa 20 minuti, C.N. era stato ricoverato presso l’ospedale di (OMISSIS) in prognosi riservata perchè colpito al torace da un colpo di arma da fuoco.
Il dirigente della Squadra Mobile della Questura di (OMISSIS), Dott. Z., aveva, infine, riferito di essere intervenuto sul "posto dell’agguato" (nei pressi della Casa circondariale) e di avere ricostruito l’accaduto, raccogliendo le dichiarazioni di SI. F., convivente del C.N. e madre della L. P., P.C. e L.P..
1.3.3. Con riguardo ai reati di cui ai capi C), C1) e C2), la Corte ribadiva la responsabilità dell’imputato, affermando che essa si desumeva dalle dichiarazioni rese dal capitano dei Carabinieri M., dai risultati delle conversazioni captate sulle utenze del L. e del M.P. e dai "rapporti" con N.C., malavitoso tarantino.
In particolare, in data (OMISSIS), si erano susseguite diverse telefonate tra L. ed il B. aventi ad oggetto l’attività di contrabbando (capo C1), come era dato evincersi dai termini utilizzati ("casse" e "sigarette" correlate al verbo "mangiare").
Risultava, inoltre, che il (OMISSIS) M.P., in un contesto di conversazioni sul medesimo oggetto, aveva delegato al B. il compito di "mandargli subito i ragazzi" (capo C2).
1.3.4. In relazione al reato di cui al capo D8), la Corte territoriale riportava il contenuto di conversazioni telefoniche intercettate nei primi giorni dell'(OMISSIS).
Le prime conversazioni, seguite da attività di osservazione da parte dei Carabinieri, provavano che l’imputato era solito incontrarsi con G.F. (ritenuto nell’impostazione accusatoria il fornitore della droga, ma assolto dal Tribunale con sentenza passata in giudicato), al quale in occasione di uno degli incontri aveva consegnato la somma di L. 2.700.000.
Altre conversazioni dimostravano, invece, che P.E. si era, in più occasioni, "approvvigionato di droga leggera" dal B..
1.3.5. Affermava, inoltre, la Corte che "le inequivoche finalità con le quali il B. aveva posto in essere la condotta considerata (soprattutto in relazione al tentato omicidio del C.N.) giustificavano la contestazione della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7". 1.3.6. Infine, la Corte confermava il diniego delle circostanze attenuanti generiche, rilevando che "in ossequio ai criteri di cui all’art. 133 c.p." la pena sarebbe stata "ingiustificatamente ridotta" se fossero state riconosciute dette circostanze.
1.4. Associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo D): condanna di G.C., C.S. e C.F..
La Corte di merito, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, dichiarava, come si è detto, C.F. e C.S., nonchè G.C. responsabili del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (capo D).
Il sodalizio, avente la disponibilità di armi, avrebbe, al fine di agevolare l’attività del gruppo mafioso facente capo a C. F., al G. e al defunto D.G.M., provveduto ad acquistare, in (OMISSIS) (attraverso BA.An.) e in (OMISSIS) da B.N., sostanze stupefacenti, poi trasportate nella provincia di (OMISSIS) e distribuite anche da D.T.D. e M.P., da L.A. e M. F., da G.D., C.S. e C. A. (con la collaborazione anche di M.R. che, oltre a mantenere i contatti con i fornitori lombardi, aveva messo a disposizione del sodalizio propri locali per il deposito delle sostanze stupefacenti).
Spiegava la Corte che il reato associativo, permanente dal (OMISSIS), era provato:
– dagli stessi elementi relativi al reato di cui al capo D2) (attribuito ai tre imputati) ed al reato di cui al capo D6) (attribuito al solo C.S.);
dall’appartenenza dei medesimi ad un’associazione finalizzata al contrabbando di sigarette;
dall’appartenenza di C.F. e G.F. all’associazione di tipo mafioso denominata Sacra Corona Unita;
– dalle conversazioni telefoniche intercettate il (OMISSIS) alle ore 13,11, il (OMISSIS) alle ore 13,43 e il (OMISSIS) alle ore 18,31. 1.5. C.F. : capi B) – C) – D2);
1.5.1. Con riferimento al reato di cui al capo B), la Corte riassumeva le dichiarazioni rese dai collaboratori LE.Gi., L.C., D.M. e D.T.D..
Dalle dichiarazioni dei predetti, rilevava la Corte, era dato evincersi come C.F. avesse rivestito un ruolo apicale nell’ambito dell’associazione mafiosa, unitamente a D.G. M. e a G.G..
In particolare, D.T. aveva riferito che il C. si era affermato come "capo emergente" dell’associazione dopo la morte del C.E. e la cattura di L.G..
Lo stesso D.T., unitamente al M.P., si era affiliato al C. proprio per il potere che questi aveva acquisito.
Da conversazioni intercettate era, tra l’altro, risultato che affiliati in posizione subordinata gli si rivolgevano per avere istruzioni relative alle attività di contrabbando e di spaccio, alla ripartizione degli utili derivanti dalle attività medesime, nonchè per dirimere contrasti interni.
I giudici di appello escludevano, poi, che per i fatti in questione il C. fosse già stato giudicato dal Tribunale di Brindisi con sentenza del 22 marzo 2004.
Quella sentenza riguardava fatti relativi ad "un periodo differente" di vita dell’associazione.
1.5.2. La Corte non svolgeva esplicite considerazioni sui fatti di cui al capo C).
Quanto ai reati di cui ai capi D2) e D6) (quest’ultimo contestato al solo C.S.: v. infra 1.6), la Corte riferiva:
– che nella conversazione n. 208 dell'(OMISSIS) M.P. e C.F. avevano parlato di una fornitura di droga "tagliata male" (della stessa aveva riferito anche D.T.D., affermando che il C. era stato incaricato di piazzarla sul mercato);
– che in una conversazione del (OMISSIS) L.A. e M.F. avevano parlato di droga (che il primo avrebbe dovuto cedere a tale U.).
Il giorno successivo, il M.F. era stato contattato da C.A. e, cinque ore dopo, quest’ultimo ed il fratello F. avevano parlato con M.R. della necessità di contattare qualcuno che avesse disponibilità di "documenti" (cioè denaro, nell’interpretazione degli inquirenti);
– che nelle conversazioni del (OMISSIS) dello stesso anno G.C. aveva parlato con C.S. di una partita di sostanze stupefacenti difficile da piazzare sul mercato a causa del prezzo rivelatosi particolarmente elevato;
– che, inoltre, nella conversazione a più voci (i C. e G.C.) n. (OMISSIS) si era discusso della distribuzione dei proventi delle attività illecite del sodalizio;
– che doveva, infine, ritenersi "provato che l’attività illecita fosse finalizzata ad agevolare l’attività del sodalizio mafioso di cui al capo B)", come dimostrato dalla conversazione da ultimo citata.
1.5.3. Va detto, infine, che la Corte territoriale rideterminava la pena (anni diciotto di reclusione) nei seguenti termini:
– riconoscimento della continuazione tra i reati:
– violazione più grave: reato di cui al capo D);
– pena – base: anni dieci e mesi sei di reclusione:
– aumento per la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7: anni tre e mesi sei;
– aumento per i reati in continuazione: per il reato di cui al capo B), mesi nove; per il reato di cui al capo C), mesi tre; per il reato di cui al capo D2), anni uno e mesi sei; per il reato di cui al capo D6), anni uno e mesi sei.
1.6. C.S.: capi C) – D2) – D6);
La Corte si limitava a confermare le statuizioni relative ai capi C), D2) e D6), facendo riferimento a quanto detto in precedenza (sui due ultimi capi v. 1.5.2).
1.7. G.C.: capi B) – C) – C8) – D2).
1.7.1 La Corte di merito respingeva, anzitutto, l’eccezione di nullità formulata a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 96, comma 1.
Tale previsione – rilevava la Corte – è finalizzata ad assicurare l’effettività del diritto di difesa; non opera, pertanto, qualora l’omessa pronuncia nei termini sulla domanda di ammissione al patrocinio dei non abbienti sia priva di concreti effetti pregiudizievoli per la difesa".
E, nel caso in esame, non era ravvisabile lesione alcuna alla garanzia dell’effettività del diritto di difesa.
1.7.2. Confermava, poi, la responsabilità di G.C. in relazione al reato di cui al capo B), riportando le dichiarazioni rese da L.G., L.C., D.M. e D.T. D..
Il primo aveva riferito che il G., dopo essere stato scarcerato il 17 luglio 1999, era diventato il suo uomo di fiducia, particolarmente attivo nel contrabbando e nelle estorsioni in danno degli stessi contrabbandieri.
Le dichiarazioni erano state confermate anche da L.C. e da D.M., il quale aveva precisato che G.C. si dedicava anche al traffico di cocaina ed eroina.
Le dichiarazioni dei collaboratori risultavano confermate dalle conversazioni telefoniche intercettate dalle quali era dato evincersi come al G. si rivolgessero altri affiliati per ricevere istruzioni in ordine alle modalità da seguire nell’attività di contrabbando di tabacchi lavorati esteri e di spaccio di sostanze stupefacenti, nonchè per ripartire gli utili e dirimere contrasti interni.
1.7.3. La Corte territoriale non trattava esplicitamente dei fatti di cui ai capi C), C8), e D2) (con riguardo a quest’ultimo v. peraltro 1.5.2).
1.8. G.G.: capo B);
Con riferimento alla partecipazione dell’imputato alla Sacra Corona Unita, la Corte affermava che il G. aveva proseguito l’attività criminosa anche successivamente al periodo preso in considerazione dalla sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise di Brindisi il 22 luglio 1998 e divenuta irrevocabile il 13 marzo 2003.
La Corte ripercorreva, poi, il contenuto essenziale delle dichiarazioni rese dai quattro collaboratori sopra citati (LE. G., L.C., D.M. e D.T.D.).
Quest’ultimo aveva, in particolare, riferito che G. G., unitamente a C.F., aveva continuato, anche quando era detenuto (avvalendosi dell’opera del fratello C.), ad occupare una posizione di vertice nell’associazione.
Dette dichiarazioni erano state confermate dal contenuto di una conversazione intercettata il (OMISSIS).
In essa G.C. e C.A. avevano discusso della ripartizione dei proventi dell’attività di contrabbando e tra i beneficiari figurava G.G. ("quello che si chiama come me, non quello che cammina con te" dice G.C. al C. per riferirsi al fratello G.).
1.9 L.G.: capi B) – B7) – B8) – C) – C1) – C2);
1.9.1. In relazione ai reati di cui ai capi B7) e B8), la Corte si limitava a ribadire quanto già rilevato con riferimento alla posizione del B. (v. supra 1.3.2).
1.9.2. Con riguardo al reato associativo di cui al capo B), la Corte escludeva che il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Lecce, con sentenza del 4 aprile 2003 (non ancora definitiva al momento della pronuncia della sentenza), avesse già condannato l’imputato per il medesimo fatto.
Quel giudizio riguardava, invero, fatti commessi fino all’ (OMISSIS), mentre il presente giudizio era relativo a fatti commessi dal novembre 2000 al gennaio 2002.
La Corte elencava, quindi, le prove a carico dell’imputato, riferendo le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia.
E così, in particolare, spiegava che il collaboratore LE. G. aveva riferito che l’imputato, dopo aver fatto parte del gruppo di BR.Ci. e di V.A., era stato affiliato a lui.
Non aveva, peraltro, mai intrattenuto rapporti diretti con lui, pur sapendo che era il responsabile del territorio di (OMISSIS) e si occupava di estorsioni e di traffico di sostanze stupefacenti con l’obbligo di corrispondere al sodalizio mafioso il cinquanta per cento dei proventi.
Dell’affiliazione aveva parlato anche il collaboratore L.C., il quale aveva confermato che l’imputato era, per conto di LE. G., il responsabile della zona anzidetta e si occupava, in particolare, dei traffici di droga.
D.M. aveva riferito che l’imputato si occupava di estorsioni e di droga anche quando era il responsabile di quella zona per conto del BR..
Dichiarazioni analoghe aveva reso C.R. all’udienza dibattimentale del 30 giugno 2004.
Infine, D.T.D. aveva dichiarato di averlo conosciuto quando era stato scarcerato.
Glielo avevano presentato M.P. e PI. ed erano andati in un ristorante.
Nell’occasione l’imputato aveva ricevuto in regalo L. 2 milioni ed un paio di stecche di sigarette.
Poichè si trovava in semilibertà non prendeva parte attiva agli sbarchi;
aveva peraltro una "quota" in una squadra contrabbandiera.
Le conversazioni telefoniche intercettate avevano, infine, confermato il coinvolgimento del L. nel contrabbando di tabacchi lavorati esteri e la disponibilità da parte del medesimo di armi, circostanze indicative dell’appartenenza dell’imputato al sodalizio mafioso.
1.9.3. Il coinvolgimento di L.G. nei fatti di cui ai capi C), C1) e C2) emergeva – secondo la Corte – dalle conversazioni telefoniche intrattenute dal medesimo, nel (OMISSIS), con M. P..
In esse si discuteva di "sbarchi di sigarette".
Le indicazioni telefoniche erano state riscontrate da sequestri "nella zona costiera" ad opera dei Carabinieri e della Guardia di Finanza di Fasano.
Il significato delle conversazioni telefoniche intercettate era stato confermato dal D.T. nell’udienza dibattimentale del 9 marzo 2005 e, comunque, era chiaro nelle conversazioni del (OMISSIS) (con B.M.) e del (OMISSIS) (con la moglie S. F.).
1.9.4. La Corte territoriale confermava, infine, la pena irrogata dal giudice di primo grado, affermando che non avrebbe trovato giustificazione alcuna il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche data la "elevatissima capacità delinquenziale" dimostrata dal L. (che aveva avuto "un ruolo di primo piano all’interno della Sacra Corona Unita") ed i suoi precedenti penali.
1.10. L.P. : capi A) – A1).
Osservava la Corte di merito, in relazione ai reati di cui ai capi A) ed A1), che dal servizio di osservazione, corredato da videoriprese, effettuato dai Carabinieri, si era accertato che il (OMISSIS) L.P. e N.C. avevano ricevuto da tale L. S. due autovetture.
Una delle due, la AUDI A8, risultava essere stata sottratta il pomeriggio precedente al legittimo proprietario.
Analogo servizio di osservazione era stato svolto il successivo (OMISSIS) ed aveva consentito di documentare la consegna del L. S. al L.P. della Lancia Thema Ferrari, sottratta il (OMISSIS) al proprietario g.g..
La Corte confermava, infine, il diniego delle circostanze attenuanti generiche, richiamandosi ai precedenti penali dell’imputato.
1.11. L.A.: capi D4)-D5):
La Corte, dopo avere chiarito che le prove a carico dell’imputato, per i reati di cui ai capi D4) e D5), si desumevano dalla conversazione intercorsa il (OMISSIS) tra il medesimo e M.F., confermava la "equità" della pena irrogata dal giudice di primo grado.
1.12. M.P.: capi B) – C) – C1) – C2) – C4) – C5) – C6).
Con riguardo al reato associativo di cui al capo B) , la Corte escludeva che il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Lecce, con sentenza del 4 aprile 2003 (non ancora definitiva al momento della pronuncia della sentenza), avesse già condannato l’imputato per il medesimo fatto.
Quel giudizio riguardava, invero, fatti commessi fino all’ (OMISSIS), mentre il presente giudizio era relativo a fatti commessi dal (OMISSIS).
La Corte descriveva, poi, gli elementi a carico del M.P., in relazione al reato anzidetto, essenzialmente ricavandoli dalle dichiarazioni di D.T.D. e dai riscontri alle stesse desumibili dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate nel trimestre (OMISSIS) ed utilizzate come prova della sussistenza della partecipazione dell’imputato all’associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri di cui al capo C) ed agli specifici fatti di contrabbando commessi nella provincia di (OMISSIS) (capo C1) ed il (OMISSIS) (capo C2), in (OMISSIS) (capo C4), in (OMISSIS) (capo C5) ed il (OMISSIS) (capo C6).
1.13. P.M.: capo B).
1.13.1. La Corte di merito escludeva, anzitutto, di poter accogliere "l’eccezione di giudicato" perchè il reato associativo di cui al capo B) "risultava consumato in tempi diversi" rispetto ai fatti di cui alla sentenza di condanna del Tribunale di Brindisi n. 993 del 5 luglio 2000. Escludeva, poi, la continuazione tra il fatto contestato al capo B) ed altri fatti già giudicati con precedenti sentenze dal Tribunale di Brindisi (la citata decisione n. 993 in data 5 luglio 2000 e le pronunce n. 314 del 12 maggio 1994 e n. 418 del 30 giugno 1994), rilevando che si trattava di fatti commessi con diverse modalità e finalità in "non breve arco di tempo". 1.13.2. Riassumeva, poi, gli elementi probatori a carico dell’imputato, essenzialmente scaturenti dalle dichiarazioni di LE. G. e L.C..
Il primo aveva ricordato di essere stato, dopo l’ascesa dei mesagnesi, ed in particolare del gruppo capeggiato da D., V. e P.M., affiliato a quest’ultimo con lo stesso grado conferitogli in precedenza da G.G..
Una volta scarcerato, il L. aveva deciso di formare un proprio gruppo ed in virtù delle numerose affiliazioni era giunto a capeggiare, insieme ad C.E. (che, in seguito, lui stesso aveva fatto uccidere) l’associazione.
Anche in tale periodo, comunque, aveva continuato ad avere come referente il P.M. al quale aveva consegnato ingenti somme di denaro provenienti dal contrabbando di tabacchi lavorati esteri.
Anche L.C. aveva dichiarato di essersi affiliato al P.M. dopo l’isolamento del G. e del R. P. e di essersi occupato del traffico di sostanze stupefacenti e delle estorsioni in danno delle squadre di contrabbandieri.
Il P.M. aveva continuato a ricevere parte dei proventi dall’associazione anche dopo la costituzione del gruppo di L..
Che così fosse risultava, in particolare, da una conversazione telefonica del (OMISSIS) (n. (OMISSIS) delle ore 20,59).
In essa C.F. e C.A., G.C. e D.G.M. avevano parlato di destinare "pensieri" (sinonimo di quote di proventi illeciti) ai "quattro grandi", poi diventati due ed indicati come "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)".
Orbene, secondo gli inquirenti (in particolare, il più volte citato capitano M.) – spiegava la Corte – "(OMISSIS)" stava per " (OMISSIS)" (soprannome del P.M., come rivelato da G. A.) e "(OMISSIS)" significava "(OMISSIS)" (pseudonimo di V. A.).
La Corte affermava, peraltro, che dalla conversazione n. (OMISSIS) l’identificazione del P.M. era soltanto "intuibile", ma non "provata".
Veniva in soccorso, tuttavia, altra conversazione (la n. (OMISSIS)) nella quale era stato ripreso il tema dei "pensieri" e dei "grandi" (che sarebbero i capi storici dell’organizzazione), uno dei quali veniva definito come "(OMISSIS), quello là con il (OMISSIS)" oppure come "(OMISSIS)" o "(OMISSIS).
1.13.3. I giudici di appello confermavano, infine, il diniego delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione "dei numerosi e recenti precedenti penali, anche specifici" dell’imputato.
1.14. S.M.F.: capo B2).
Con riguardo al reato di cui al capo B2) (concorso nella detenzione illegale di un fucile calibro 12 con matricola abrasa e relative munizioni, accertato in (OMISSIS)), la Corte si richiamava al contenuto di una conversazione del (OMISSIS), già citata nella parte narrativa concernente il tentato omicidio in danno di C.N. (capo B7; v. supra 1.3.2).
Nella conversazione in questione il L. aveva detto alla S. di nascondere qualcosa sotto il letto e, dopo circa 20 minuti, l’aveva richiamata per accertarsi che i "videogiochi" fossero stati nascosti.
I carabinieri di Francavilla Fontana avevano, poi, perquisito l’abitazione, rinvenendo il fucile proprio all’interno della stanza da letto.
1.15. PU.Fr.: capi B7) – B8) – C) – D8).
1.15.1. Come si è accennato (v. supra 1), la Corte di appello, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, condannava l’imputato per i reati di cui ai capi B7), B8), C) e D8).
Con riguardo, anzi tutto, ai reati di cui ai capi B7) e B8) (v. supra 1.3.2), il Tribunale di Brindisi aveva assolto il PU., ritenendo non provato che fosse lui l’interlocutore del B. nelle conversazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS) e del M.P. in altra conversazione del (OMISSIS).
Rilevava, per contro, la Corte che era certo che la mattina del (OMISSIS) il PU., insieme al B., fosse andato alla stazione ferroviaria di (OMISSIS) ad attendere L.G. proveniente da (OMISSIS).
Quella stessa mattina, alle ore 7,35, B. aveva telefonicamente sollecitato una persona affinchè passasse a prenderlo.
Tale persona non poteva essere che il PU. atteso che, poco dopo, i due erano stati visti insieme alla stazione.
Nella citata conversazione del (OMISSIS), l’interlocutore del B., indicato come F., era lo stesso della menzionata conversazione del (OMISSIS).
Da altre conversazioni del (OMISSIS) era emerso che il PU. partecipava all’attività di contrabbando.
Da conversazioni del (OMISSIS) era dato evincersi che, per conto del B. e di L.G., sorvegliava i movimenti del C.N..
Il (OMISSIS) il B. gli aveva comunicato l’arresto del L..
Il (OMISSIS) aveva fatto visita insieme al B. al legale del L..
Altri elementi probatori sarebbero, secondo la Corte, costituiti "dalla comunicazione ricevuta in relazione all’arrivo di GR. F. e della fornitura di sostanze stupefacenti dell’ (OMISSIS)", "dalla partecipazione ad un trasporto di tabacchi lavorati esteri" risultante da conversazioni del (OMISSIS)", "dall’incarico probabilmente relativo ad un trasporto di sostanze stupefacenti" ricevuto dal B. in una telefonata del (OMISSIS) e dalla circostanza di avere "intrattenuto rapporti per conto del B. con uno spacciatore di (OMISSIS)".
(conversazioni del (OMISSIS). La sua voce era stata riconosciuta in quella dell’uomo che si trovava al fianco del B. alle ore 11,24 del (OMISSIS).
Il PU. avrebbe, altresì, prestato il proprio contributo all’occultamento dell’arma usata dal B. nell’attentato.
Il giorno successivo all’agguato, B. aveva chiamato un’utenza telefonica in uso al L. e chiesto "di F." ad una donna per assicurarsi che "non fosse successo nulla".
Alle ore 14,24 dello stesso giorno, chiamando la stessa utenza, il B. era riuscito a parlare con Fr., il quale gli aveva riferito di avere dato "quella cosa" (l’arma secondo gli inquirenti) a Ro..
1.15.2. Nessun riferimento specifico la Corte dedicava ai reati di cui ai capi C) e D8).
2. Avverso l’anzidetta sentenza, hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati, chiedendone l’annullamento.
3. I difensori dell’imputato B.M. articolano sei motivi.
3.1. Con il primo motivo deducono l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, segnatamente dell’art. 268 c.p.p., comma 3, e art. 267 c.p.p., commi 1 e 2. 3.1.1. Sostengono in particolare che l’obbligo motivazionale imponeva al pubblico ministero di specificare le ragioni dell’indisponibilità e comunque di riferire le medesime alle linee e non all’impianto.
Affermano, peraltro, che parte dei decreti sarebbe, con riguardo a detto profilo, correttamente motivata perchè contenente un riferimento alla circostanza che gli impianti "interni" fossero "impegnati per altre indagini in corso": si tratta in particolare delle utenze sub a), b), c), d), e), f), g) e h).
Sarebbero, invece, inutilizzabili i risultati relativi alle seguenti utenze:
1) (OMISSIS) in uso a L.G.;
2) IMEI (OMISSIS) in uso al medesimo;
3) (OMISSIS) in uso allo stesso;
4) (OMISSIS) in uso a B.M.;
5) (OMISSIS) in uso a persona non identificata;
6) IMEI (OMISSIS) in uso a B.M.;
7) (OMISSIS) in uso a M.P..
In tutti questi casi, l’inutilizzabilità deriverebbe dalla mancanza di motivazione in ordine alle eccezionali ragioni di urgenza non potendo le medesime essere riferite soltanto alle "modalità tecniche di esecuzione" tra l’altro non specificate.
Nè sarebbe corretta la motivazione per relationem prospettata dalla Corte di merito.
3.1.2. Denunciano, poi, i difensori "ulteriori palesi irregolarità e abnormità", ribadendo quanto già rilevato in ordine all’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni relative alle utenze IMEI (OMISSIS) e numero (OMISSIS) in uso a L.G. e ritenendo inaccettabile l’affermazione della Corte di merito secondo cui si sarebbe trattato di mera irregolarità (v. supra 1.1.2).
3.1.3. Altrettanto non "convincente" è dai difensori considerata la soluzione data dalla Corte alla questione relativa al decreto di proroga (utenza numero (OMISSIS)) mancante dell’orario (v. supra 1.1.3).
3.2. Con il secondo motivo lamentano "motivazione errata e comunque illogica" della sentenza impugnata nella parte in cui tratta dell’identificazione dell’imputato (v. supra 1.3.1).
In particolare, i difensori negano che l’utenza (OMISSIS) fosse intestata al B..
Contestano, in ogni caso, le affermazioni del capitano dei Carabinieri M., secondo cui la riferibilità all’imputato dell’utenza sarebbe provata dai tabulati telefonici, denunciando che i medesimi non erano stati acquisiti.
Si chiedono, inoltre, chi avrebbe riconosciuto la voce dell’imputato.
3.3. Con il terzo motivo la difesa deduce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e la "conseguente illogicità" della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 (v. supra 1.3.5).
Afferma in proposito che l’ipotizzata associazione di cui al capo C) sarebbe stata operativa dal giugno 2001 al febbraio 2002.
Nessun contributo probatorio era stato, pertanto, offerto dai collaboratori di giustizia L.G., L.C. e dal D., atteso che il loro rapporto conoscitivo non andava oltre l’anno (OMISSIS).
Le dichiarazioni sul punto del D.T. sarebbero "fumose" e, in ogni caso, la Corte territoriale non si sarebbe neppure resa conto che il giudice di primo grado aveva escluso l’anzidetta circostanza aggravante con riguardo al tentato omicidio in danno del C. N..
3.4. Con il quarto motivo denunciano la "illogicità" della motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi B7) e B8) (v. supra 1.3.2).
Escludono che le parole "si è inceppata" siano state pronunciate dal B..
E quand’anche fossero davvero state da lui pronunciate, "la sequenza temporale" non sarebbe "assolutamente compatibile con la dinamica voluta dall’accusa", nel senso che prima di detta frase non era stato rilevato il segnale dell’unico colpo sparato.
In sostanza ritengono che non sussista la prova del fatto che sia stato l’imputato a sparare.
La vittima non l’aveva visto.
Il testimone Z. non poteva deporre sulle dichiarazioni che gli erano state rese.
3.5. Con il quinto motivo i difensori lamentano la insufficienza e "illogicità" della motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi C), C1), C2) (v. supra 1.3.3) e D8) (v. supra 1.3.4).
Il linguaggio criptico delle conversazioni telefoniche intercettate non offrirebbe "certezze" probatorie.
Osservano, infine, i difensori che la circostanza aggravante del numero dei concorrenti superiore a dieci (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 quater, comma 3) non è provata.
3.6. Con il sesto motivo lamentano mancanza di motivazione della sentenza impugnata in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (v. supra 1.3.6).
I giudici di appello si sarebbero limitati a "formule di stile". 4. Il difensore dell’imputato C.F. sviluppa tre motivi.
4.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge, nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo D: v. supra 1.4).
Rileva il ricorrente che la sentenza impugnata perviene a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle cui era giunto il giudice di primo grado senza tuttavia effettuare una "revisione critica" dell’iter argomentativo della prima sentenza.
Il tempus commissi delicti sarebbe circoscritto al periodo novembre 2000 – gennaio 2002 ed in tale periodo gli unici reati – scopo sarebbero quelli di cui ai capi D2 e D6), il primo soltanto dei quali contestato all’imputato.
Inoltre, l’imputato era stato detenuto fino al maggio 2001.
Si era, poi, reso latitante perchè dopo un permesso – premio non era più rientrato in carcere, ma il 6 novembre dello stesso anno era stato arrestato a (OMISSIS).
Orbene il reato di cui al capo D2) – osserva il ricorrente – è contestato come commesso nelle province di (OMISSIS).
Non spiega, inoltre, la Corte quali sarebbero gli elementi da cui desumere l’esistenza dell’associazione; nè considera che BA. A. e M.R., indicati nel capo d’imputazione quali tramiti per l’approvvigionamento della droga, risultavano essere stati assolti con sentenza ormai passata in giudicato.
Ed anche C.A. e C.S., nei cui confronti era stata esclusa la sussistenza della circostanza aggravante del fine di agevolare il sodalizio mafioso di cui al capo B), erano stati assolti dall’accusa di essere parte del medesimo.
Gli elementi anzidetti contribuirebbero a determinare l’insanabile contraddittorietà della sentenza impugnata.
Rileva, infine, il ricorrente che la Corte territoriale, nel rideterminare la pena a carico del C., aveva erroneamente inserito nel calcolo anche il reato di cui al capo D6), mai contestato all’imputato.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata sul punto per consentire la rideterminazione della pena con l’esclusione dell’aumento per la continuazione irrogato con riferimento al reato anzidetto.
4.2. Con il secondo motivo lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata (v. supra 1.5.1) nella parte in cui ha escluso, con riguardo al delitto associativo di cui al capo B), l’applicazione dell’art. 649 c.p.p..
Sostiene il ricorrente che la sentenza di condanna in primo grado n. 424 del 2004 non contiene alcun riferimento temporale in relazione al reato associativo contestato.
La cessazione della permanenza del medesimo deve, dunque, essere individuata nella data di pronuncia della sentenza (22 marzo 2004).
Il reato di cui al capo B), indicato come commesso dal (OMISSIS), era, pertanto, da ritenere "assorbito" in quello precedentemente giudicato.
4.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi C) e D2).
La responsabilità è, invero – sostiene il ricorrente – "illogicamente ed immotivatamente" desunta da conversazioni telefoniche intercettate il cui contenuto è tutt’altro che di univoca interpretazione.
Non è dato comprendere, inoltre, come sia stata riconosciuta la voce dell’imputato.
5. C.S., con atto personalmente sottoscritto, affida le proprie doglianze a cinque motivi.
5.1. Il primo motivo del ricorso è, anche graficamente, identico al corrispondente motivo del ricorso (nel solo punto 3.1.1.) presentato nell’interesse dell’imputato B..
5.2. Anche il secondo motivo del ricorso è sostanzialmente identico al corrispondente motivo del ricorso presentato nell’interesse dell’imputato B..
5.3. Considerazioni analoghe valgono con riguardo al terzo motivo del ricorso in relazione al quale il ricorrente si limita a precisare di non ritenere "convincente" la sentenza impugnata nella parte in cui rileva che tutte le dichiarazioni rese prima dell’entrata in vigore della L. 13 febbraio 2001, n. 45 erano da considerarsi utilizzabili anche se non era stato redatto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione di cui all’art. 16 quater, introdotto dall’anzidetto provvedimento legislativo nel corpo della L. 15 marzo 1991, n. 82.
5.4. Con il quarto motivo lamenta "motivazione del tutto insufficiente ed illogica" con riguardo all’affermazione di responsabilità per il delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo D: v. supra 1.4).
E’ inaccettabile – sostiene il ricorrente – che l’esistenza del sodalizio sia desunta dall’asserita partecipazione ad un’associazione dedita al contrabbando di tabacchi lavorati esteri o dalla ritenuta commissione "di reati di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73".
Va rilevato, inoltre, che colui che, secondo l’impostazione accusatoria, fungeva da intermediario con i fornitori lombardi e da depositario delle sostanze stupefacenti, vale a dire M. R., è stato assolto dal Tribunale di Brindisi con sentenza ormai passata in giudicato. L’esclusione della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 costituirebbe "ulteriore conferma della mancanza del trait d’union di tipo mafioso" sotteso all’esistenza della contestata associazione.
5.5. Con l’ultimo motivo deduce "illogicità" della motivazione della sentenza impugnata con riguardo all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi C), D2) e D6) (v. supra 1.6).
No si rinviene – rileva il ricorrente – nel provvedimento gravato alcuna argomentazione a sostegno della confermata responsabilità.
Lacuna tanto più evidente se si considera che non sono stati a lui attribuiti fatti di contrabbando.
Dalle conversazioni telefoniche intercettate non emergerebbero, poi, elementi idonei a dimostrare detta responsabilità.
Insussistente e, in ogni caso, non provata è, infine, la circostanza aggravante del numero di concorrenti superiore a dieci di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 quater, comma 3. 6. Il difensore dell’imputato G.C. propone sei motivi.
6.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 96, la nullità assoluta degli atti del processo successivi alla scadenza del termine per provvedere sulla domanda di ammissione al patrocinio dei non abbienti a spese dello Stato.
Rileva che il 4 dicembre 2003 aveva, dalla Casa circondariale di Parma dove si trovava detenuto, proposto detta domanda.
La stessa era stata trasmessa dalla Direzione del carcere al Tribunale di Brindisi, che tuttavia non aveva mai provveduto (così come non aveva provveduto nel prosieguo la Corte di appello).
Afferma, infine, che la norma sopravvenuta che ha abolito la menzionata disposizione sarebbe applicabile soltanto alle domande di ammissione proposte successivamente alla sua entrata in vigore.
6.2. Con il secondo motivo lamenta l’inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione per il reato di cui al capo D) dell’imputazione (v. supra 1.4).
Rileva che il pubblico ministero aveva proposto ricorso per Cassazione, poi convertito in appello ai sensi dell’art. 580 c.p.p. La Corte di appello, tuttavia, non aveva rilevato la palese inammissibilità dell’impugnazione perchè "tesa a richiedere una rivisitazione delle prove, finalizzata cioè ad un giudizio di merito".
6.3. Con il terzo motivo prospetta l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche (v. supra 1.1).
Risulta violato – sostiene il ricorrente – il disposto normativo in ordine alla "decretazione d’urgenza" con la quale il pubblico ministero aveva autorizzato i Carabinieri a svolgere l’attività di intercettazione ed in ordine all’utilizzo di impianti diversi da quelli esistenti negli uffici della Procura della Repubblica.
A tale ultimo proposito si afferma che il pubblico ministero si sarebbe limitato a "riportare la dicitura contenuta nell’articolo del codice". In ordine alla "decretazione di urgenza" sarebbe, invece, sufficiente considerare che il ricorso alla stessa, nell’ambito del procedimento, era stato "normale" anzichè (come avrebbe dovuto) "eccezionale".
6.4. Con il quarto motivo denuncia erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 in ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto di cui al capo D) dell’imputazione (v. supra 1.4).
Osserva, in particolare, il difensore che, nonostante l’attività di intercettazione si fosse protratta per lunghi periodi, le azioni penalmente rilevanti del sodalizio sarebbero limitate "ad un arco temporale di pochi giorni".
La Corte, non ignorando detta circostanza, ha ritenuto allora di provare la stabilità del vincolo rifacendosi all’asserita intenzione dei "contraenti" di commettere altre azioni delittuose.
Nè può rilevare, ai fini della prova del reato in questione, l’asserita partecipazione dell’imputato al sodalizio mafioso di cui al capo B) dell’imputazione.
6.5. Con il quinto motivo denuncia vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi B), C), D), e D2) (v. supra 1.4; 1.7.2; 1.7.3).
Lamenta il ricorrente che l’identificazione delle voci è stata effettuata da ufficiali di polizia giudiziaria mai esaminati in dibattimento.
I colloqui intercettati si prestavano, inoltre, ad interpretazioni diverse.
Detti rilievi erano stati oggetto di motivi di appello sui quali la Corte aveva omesso di pronunciarsi.
Con riferimento in particolare al capo D2) dell’imputazione, osserva il ricorrente che, secondo l’accusa, emergeva, dalle conversazioni telefoniche intercettate, che una partita di sostanze stupefacenti proveniente dalla Calabria era stata depositata presso l’abitazione di M.R..
Questi, peraltro, è stato assolto con sentenza passata in giudicato.
6.6. Con l’ultimo motivo deduce (v. supra 1.7.2) erronea applicazione dell’art. 416 bis c.p..
Le risultanze probatorie deponevano "al più" per l’esistenza di rapporti tra fratelli e con altri soggetti gravati da precedenti penali.
I collaboratori di giustizia avevano, inoltre, riferito soltanto fatti risalenti ad un anno prima di quelli contestati.
Il solo D.T. aveva riferito fatti successivi, peraltro non integranti elementi costitutivi dell’ipotizzata associazione di tipo mafioso.
7. Il difensore dell’imputato G.G. enuncia un unico motivo. Deduce violazione degli articoli 416 bis c.p., artt. 192 e 649 c.p.p., nonchè manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo B) (v. supra 1.8).
Si richiama a "quanto esposto nell’atto di appello" in ordine alla "totale inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia" ed alla "totale ininfluenza delle conversazioni telefoniche intercettate".
Rileva in particolare che l’imputato era stato ritenuto far parte (mentre, insieme al P.M., era detenuto) del nuovo gruppo che, a partire dall’estate (OMISSIS), aveva affermato la propria egemonia ed osserva che tutte le dichiarazioni dei collaboratori erano riferite a periodi precedenti l’estate del (OMISSIS).
Egli era, tuttavia, già stata condannato, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., dalla Corte d’assise di Brindisi con sentenza del 22 luglio 1998 (divenuta irrevocabile il 13 marzo 2003) e del tutto apodittica era l’affermazione secondo cui avrebbe patrocinato dal carcere l’affermazione dei nuovi capi, tra i quali il fratello C..
8. Il difensore dell’imputato L.G. articola sette motivi.
8.1. Il primo motivo del ricorso è, anche graficamente, identico al corrispondente motivo del ricorso (v. supra 3.1) presentato nell’interesse dell’imputato B..
8.2. Anche il secondo motivo è sostanzialmente identico al corrispondente motivo del ricorso presentato nell’interesse dell’imputato B..
Si diversifica soltanto nella parte in cui il ricorrente lamenta "palesi errori" di identificazione degli interlocutori delle conversazioni telefoniche intercettate.
8.3. Considerazioni analoghe valgono con riguardo al terzo motivo del ricorso (v. terzo motivo del ricorso B.).
8.4. Con il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 649 c.p.p. in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo B) dell’imputazione (v. supra 1.9.3).
Rileva che l’imputato è stato condannato, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Lecce con sentenza in data 4 aprile 2003, confermata dalla Corte di appello della stessa città il 14 ottobre 2004.
L’accusa rivolta all’imputato, in quel procedimento, era quella di essersi affermato, dall’estate del (OMISSIS) e fino al suo arresto del (OMISSIS) (insieme a C.E., ucciso il (OMISSIS) dello stesso anno), quale nuovo capo dell’associazione mafiosa.
Vi è, dunque, assoluta coincidenza – sostiene la difesa dell’imputato – tra il fatto già giudicato e quello di cui al capo B) dell’imputazione.
E’ vero – rileva il ricorrente – che in questo processo il fatto è datato "(OMISSIS)", ma, in ordine a detto periodo, non sono emersi elementi di prova a carico dell’imputato.
Tutti i collaboratori di giustizia hanno riferito fatti anteriori a detto periodo.
Il D.T., che ha parlato anche di fatti successivi, non ha, tuttavia, offerto, con riguardo al L., alcun elemento, preciso e riscontrabile, della sua persistente partecipazione al sodalizio.
Se poi si considera che l’eventuale cessazione della permanenza del delitto associativo deve essere temporalmente collocata nel momento della pronuncia della sentenza di primo grado (4 aprile 2003), è ancora più evidente la violazione, ad opera della Corte di merito, del principio ne bis in idem.
E neppure – prosegue il ricorrente – poteva costituire ostacolo all’applicazione del principio di cui all’art. 649 c.p.p. il fatto che la sentenza in data 14 ottobre 2004 della Corte di appello di Lecce non fosse ancora passata in giudicato.
8.5. Con il quinto motivo il difensore denuncia "illogicità della motivazione della sentenza impugnata" nella parte in cui afferma la responsabilità dell’imputato per il delitto tentato di omicidio di cui al capo B7) (v. supra 1.9.2) .
Il ricorrente sviluppa in sostanza le stesse argomentazioni svolte nel quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato B. (v. supra 3.4), ribadendo come sia inspiegabile che non fossero state trascritte le conversazioni, tra il C.N. e la SI., intercettate nell’autovettura del primo e, in generale, la "paralisi investigativa" successiva all’episodio.
E, in ogni caso, non "sembra soddisfare il canone "dell’oltre ogni ragionevole dubbio" la conclusione secondo cui la prova del coinvolgimento del L. nell’episodio delittuoso in esame sarebbe data "dall’attività preparatoria emergente dalle conversazioni telefoniche intercettate". 8.6. Con il sesto motivo lamenta "illogicità della motivazione della sentenza impugnata" nella parte in cui afferma la responsabilità dell’imputato per i reati di cui ai capi C), C1) e C2) dell’imputazione (v. supra 1.9.1).
Il linguaggio criptico utilizzato nelle conversazioni non consentirebbe di affermare con certezza che l’imputato abbia posto in essere le condotte delittuose contestategli.
E, in ogni caso, non vi sarebbe prova della sussistenza della circostanza aggravante del numero dei concorrenti superiore a dieci di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 quater, comma 3. 8.7. Con l’ultimo motivo deduce la mancanza di motivazione (affidata a "mere formule di stile") della sentenza impugnata con riguardo al negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (v. supra 1.9.4).
9. Il difensore dell’imputato L.P. deduce violazione degli artt. 648 e 62 bis c.p., nonchè manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata (v. supra 1.10).
Rileva che anche in relazione all’autovettura Lancia Thema Ferrari il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come furto aggravato, essendo irrilevante la circostanza che dal momento della sottrazione del veicolo al momento del rinvenimento dello stesso nella materiale disponibilità dell’imputato fosse trascorso "qualche giorno di più" di "pochi giorni". Insoddisfacente era, inoltre, l’argomentazione relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
10. L.A., con atto personalmente sottoscritto, affida le proprie doglianze a due motivi.
10.1. Il primo motivo del ricorso è, anche graficamente, identico al corrispondente motivo del ricorso (nel solo punto 3.1.1) presentato nell’interesse dell’imputato B..
10.2. Con il secondo motivo lamenta l’illogicità e la palese erroneità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui (v. supra 1.11) non ha determinato la pena in misura inferiore a quella irrogata dal giudice di primo grado, pur avendo escluso la sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. 11. Il difensore dell’imputato M.P. prospetta cinque motivi.
11.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo B) (v. supra 1.12.1).
11.2. Con il secondo motivo lamenta mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermata sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7.
11.3. Con il terzo motivo si duole della mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta inapplicabilità del principio sancito dall’art. 649 c.p.p. con riguardo al menzionato delitto associativo di cui al capo B) (v. supra 1.12.1).
La Corte avrebbe dovuto rilevare che l’imputato era stato condannato per un fatto per il quale era stato già giudicato e condannato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, con sentenza in data 4 aprile 2003, divenuta irrevocabile il 30 settembre 2005.
11.4. Con il quarto motivo denuncia la mancanza di motivazione della sentenza impugnata (recte l’omessa pronuncia) in relazione alla richiesta applicazione della continuazione tra i delitti associativi, "diversi" secondo la Corte di appello, di cui si è detto al punto precedente.
11.5 Con l’ultimo motivo deduce mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche (v. supra 1.12.2).
12. Il difensore dell’imputato P.M. prospetta tre motivi.
12.1. Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 416 bis c.p., artt. 192 e 649 c.p.p., nonchè manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo B) (v. supra 1.13.2).
Si richiama a "quanto esposto nell’atto di appello" in ordine alla "totale inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia" ed alla "totale ininfluenza delle conversazioni telefoniche intercettate".
Rileva in particolare che l’imputato era stato ritenuto far parte (mentre, insieme al G.G., era detenuto) del nuovo gruppo che, a partire dall’estate (OMISSIS), aveva affermato la propria egemonia ed osserva che tutte le dichiarazioni dei collaboratori erano riferite a periodi precedenti l’estate del (OMISSIS).
Egli era, tuttavia, già stata condannato, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., dal Tribunale di Brindisi con sentenza del 5 luglio 2000.
E i collaboratori di giustizia avevano riferito fatti anteriori a tale data.
Del tutto apodittica era, poi, l’affermazione secondo cui avrebbe "patrocinato" dal carcere il nuovo vertice dell’organizzazione.
12.2. Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 81 c.p., nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso la continuazione (v. supra 1.13.1) tra i reati di cui all’anzidetta sentenza ed alle sentenze n. 314 del 1994 e n. 418 del 1994 pronunciate dallo stesso Tribunale, già unificati dal vincolo della continuazione a seguito di pronuncia della Corte di appello di Lecce del 28 aprile 1999, ed il reato di cui al capo B) dell’imputazione.
Le argomentazioni della Corte territoriale – osserva il ricorrente – se plausibili con riguardo ai reati – fine, non possono valere con riguardo al delitto associativo di cui si ritenga accertata la continuità anche dopo l’eventuale cessazione della permanenza.
Il singolo, nel partecipare con carattere permanente al sodalizio, ne accetta preventivamente programma e strategia operativa comune;
continua, pertanto, a perseguire ed a condividere il pactum sceleris, nonchè a concorrere alla realizzazione degli scopi del sodalizio.
Non poteva, pertanto, non essere ravvisata l’unicità del disegno criminoso.
12.3. Con il terzo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p. ed assoluta mancanza di motivazione in relazione alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche (v. supra 1.13.3), che ben potevano essere riconosciute.
13. L’imputata S.M.F. lamenta "inosservanza di norme penali" e "motivazione carente o comunque illogica" della sentenza impugnata in relazione all’affermazione di responsabilità (v. supra 1.14). Sostiene, in particolare, che le conversazioni telefoniche intercettate sarebbero indicative della sua totale estraneità al fatto contestatole. Non avrebbero i giudici di merito dimostrato la sua cooperazione nella detenzione dell’arma.
Il fatto avrebbe dovuto, pertanto, essere qualificato come mera connivenza non punibile o, al più come favoreggiamento.
14. Il difensore dell’imputato PU.Fr. articola otto motivi.
14.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, segnatamente dell’art. 268 c.p.p., comma 3.
I risultati delle intercettazioni relative alle utenze:
– IMEI (OMISSIS) in uso a L.G.;
– (OMISSIS) in uso a B.M.;
– (OMISSIS) in uso a B.M.;
– IMEI (OMISSIS) in uso a B.M.;
sarebbero inutilizzabili, dovendo ritenersi "apparente" la motivazione dei decreti dispositivi del pubblico ministero nella parte in cui prevedono il ricorso ad impianti "esterni" essendo "inidonei e comunque indisponibili quelli in dotazione alla Procura della Repubblica".
14.2. Con il secondo motivo lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, "risultante dal testo della stessa e da atti del processo", con riguardo all’identificazione dell’imputato.
Sostiene il difensore che non sia possibile affermare che la persona alla quale, la mattina del (OMISSIS), alle ore 7,35, B. aveva telefonato, invitandola a passare a prenderlo a casa, fosse il PU.. Nella telefonata non erano contenuti riferimenti alla persona del L., nè all’arrivo di qualcuno in stazione.
Non era vero, inoltre, che il B. avesse chiamato per nome ( Fr.) il proprio interlocutore, nè rispondeva a verità che lo avesse esortato a passare a prenderlo a casa.
Come rilevato dal giudice di primo grado, neppure la conversazione intercettata l'(OMISSIS) (la n. (OMISSIS) dell’utenza (OMISSIS)) poteva servire per identificare l’interlocutore del B. nel PU.. E’ vero che il capitano M. aveva riferito che nel corso della telefonata si era fatto riferimento ad un certo "zio Ma." (e PU. aveva uno zio con tale nome), sennonchè detto riferimento non risultava nella trascrizione della conversazione eseguita dal perito dott. l.g..
Era da escludere, inoltre, in assenza di qualsivoglia elemento di riscontro e come bene aveva ritenuto il giudice di primo grado, che il Fr. della conversazione intercettata il (OMISSIS) (n. (OMISSIS) – utenza IMEI n. (OMISSIS)) fosse il PU..
14.3. Con il terzo motivo, sempre con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo B7) , il difensore si duole della mancanza di motivazione su un punto di "decisiva rilevanza", vale a dire sulla prova a discarico rappresentata da una relazione del consulente tecnico dell’imputato.
Che il PU. fosse la persona che si era trovata al fianco del B. nel momento in cui questi aveva esploso il colpo d’arma da fuoco all’indirizzo del C.N., si desumerebbe – secondo la Corte – dal riconoscimento "fuoricampo" della voce del PU. (mentre il B. rispondeva alla chiamata telefonica di P. L.).
Osserva sul punto il ricorrente, dopo avere premesso che non risultava captato, come ribadito dal perito, alcun colpo d’arma da fuoco e che il giudice di primo grado aveva ritenuto inaffidabile detto riconoscimento della voce, che la Corte territoriale non aveva speso alcuna parola per disattendere le argomentazioni contenute nella relazione del consulente tecnico dott. G.F., il quale aveva rilevato che la voce fuoricampo aveva pronunciato una sola frase, tra l’altro di difficile ascolto e decifrazione, e che comunque quella voce non aveva le caratteristiche di quella del PU..
14.4. Con il quarto motivo denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, "risultante dal testo della stessa e da atti del processo", con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo B7).
La più volte ripetuta frase "si è inceppata", che sarebbe stata pronunciata dal B. dopo il colpo d’arma da fuoco sparato all’indirizzo del C.N., non è contenuta nella trascrizione eseguita dal perito, avendo questi affermato che le parole pronunciate erano incomprensibili.
Osserva, poi, il ricorrente, analizzando il verbale dell’udienza dibattimentale del 16 febbraio 2005, che non poteva affermarsi con certezza, neppure dopo avere riascoltato la registrazione, che quelle fossero le parole pronunciate.
La Corte di appello, in ogni caso, non si era neppure posta i problemi sollevati con l’atto di appello.
14.5 Con il quinto motivo lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, "risultante dal testo della stessa e da atti del processo", nonchè inosservanza ed erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo D8).
Osserva il ricorrente che nella sentenza non sono esplicitate le ragioni di detta affermazione di responsabilità se non con un generico riferimento al fatto che il PU. avesse coltivato rapporti con uno spacciatore di (OMISSIS) (che sarebbe il P.E.) per conto del B..
E tale affermazione risulta, comunque, priva di ogni supporto probatorio, come affermato dal giudice di primo grado, all’esito dell’analisi del contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate.
14.6. Con il sesto motivo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, "risultante dal testo della stessa e da atti del processo", in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo C).
Lo stesso Giudice per le indagini preliminari aveva escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del PU., rigettando la richiesta di applicazione di misura cautelare personale. Ed il giudice di primo grado era pervenuto a conclusione assolutoria.
Anche in tal caso la motivazione è del tutto carente.
Si parla in termini apodittici di partecipazione del PU. ad attività di trasporto di tabacchi lavorati esteri, risultanti da conversazioni del (OMISSIS).
Sennonchè per il fatto del (OMISSIS) (capo C3) l’imputato è stato assolto, unitamente al L., al B. ed al M.P., con sentenza ormai passata in giudicato.
L’episodio del (OMISSIS) mai è stato contestato all’imputato.
14.7. Con il settimo motivo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, "risultante dal testo della stessa e da atti del processo", nonchè inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 133 c.p. e del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in relazione al trattamento sanzionatorio per il reato di cui al capo D8). Osserva il ricorrente che la Corte ha inflitto all’imputato la pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa. Trattandosi di "droga leggera", non ha però spiegato per quale ragione abbia ritenuto di irrogare ad un incensurato una pena detentiva prossima al massimo edittale (anni quattro di reclusione nel testo del cit. D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 vigente all’epoca del fatto).
14.8. Con l’ultimo motivo deduce mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine all’entità dell’aumento a titolo di continuazione (anni due di reclusione) per il reato di cui al capo B8).
Al concorrente B., che era stato ritenuto, a differenza dell’imputato, immeritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stato, invero, applicato l’aumento di un anno di reclusione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
15. Dagli atti introduttivi del presente giudizio risulta che l’imputato M.P. è deceduto in data (OMISSIS). A norma dell’art. 150 c.p., la morte dell’imputato, avvenuta prima della condanna definitiva, estingue i reati al medesimo addebitati. L’estinzione dei reati impone, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lettera a), l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
16. Le questioni relative all’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni.
Sono insussistenti i vizi motivazionali prospettati con riguardo ai provvedimenti autorizzativi e dispositivi delle intercettazioni nei ricorsi degli imputati B. (v. supra 3.1), C.S. (5.1), G.C. (6.3), L. (8.1), L.A. (10.1) e PU. (14.1).
16.1. Lamentano, anzi tutto, gli imputati la mancanza di motivazione del provvedimento con cui il pubblico ministero ha disposto il compimento delle operazioni di intercettazione mediante impianti esterni ("di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria").
Il vizio motivazionale si concentrerebbe sulle condizioni che, ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3, legittimano la deroga al regime ordinario, vale a dire sull’insufficienza o inidoneità degli impianti installati nella Procura e sull’esistenza di eccezionali ragioni di urgenza che non consentano di frapporre indugi allo svolgimento dell’attività d’indagine.
Come si è anticipato, il vizio denunciati è insussistente.
La giurisprudenza delle sezioni Unite di questa Corte ha, ormai da tempo, individuato il contenuto "minimo" che il predetto decreto deve avere affinchè i risultati delle intercettazioni siano poi utilizzabili ai fini probatori.
E, come correttamente ribadito dal giudice d’appello, il pubblico ministero si è allineato a dette indicazioni interpretative.
Nella specie, si trattava di un caso di "insufficienza" degli impianti installati nella Procura della Repubblica e il pubblico ministero non si è limitato, nel proprio decreto, a dar conto della medesima, ma l’ha esplicitamente collegata alla "indisponibilità" di impianti installati nella Procura.
Ha, in altre parole, seppur concisamente, indicato la ragione dell’insufficienza.
Come si è accennato, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 26 novembre 2003, Gatto e, più recentemente, Cass. S.U. 12 luglio 2007, Aguneche) hanno statuito che, affinchè il decreto possa dirsi motivato, "va specificata la ragione della insufficienza o della inidoneità, anche solo mediante un’indicazione"; ciò che non basta è "l’asserzione" che gli impianti siano insufficienti o inidonei.
Quello che conta, insomma, è che il pubblico ministero non si limiti a ripetere la formula legislativa ma indichi la situazione oggettiva, riconducibile ai concetti normativi di insufficienza e di inidoneità, che impone il ricorso agli impianti esterni.
E proprio nel caso oggetto dell’indicata pronuncia delle Sezioni Unite 26 novembre 2003 (Gatto) si era ritenuto che l’espressione che il pubblico ministero aveva adoperato ("essendo indisponibili gli impianti installati presso questa procura", espressione sostanzialmente identica a quella usata dal pubblico ministero nel caso in esame) fosse idonea a soddisfare il requisito della motivazione previsto dall’art. 268 c.p.p., comma 3.
16.2. Per quanto concerne, poi, la dedotta mancanza di motivazione, nel decreto del pubblico ministero, sulle "eccezionali ragioni di urgenza", la questione è superata dal riferimento, contenuto nei decreti stessi, ai provvedimenti del giudice per le indagini preliminari che avevano autorizzato le intercettazioni, atteso che questi ultimi, come la Corte di merito ha chiarito con considerazioni adeguate ed immuni da vizi logici (v. supra 1.1.1), contenevano idonee giustificazioni della sussistenza delle anzidette ragioni di urgenza.
Anche in tal caso, la Corte territoriale ha, dunque, applicato i principi più volte ribaditi dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 26 novembre 2003, Gatto; Cass. S.U. 31 ottobre 2001, Policastro; Cass. S.U. 21 giugno 2000, Primavera).
Nè d’altra parte, le espressioni utilizzate nei singoli decreti autorizzativi, come riportate nella sentenza impugnata (v.supra 1.1), sono state oggetto di specifica censura nei ricorsi in esame.
16.3. Sono inammissibili, ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), perchè privi del requisito della specificità gli altri profili del primo motivo dei ricorsi presentati nell’interesse degli imputati B. e L. con i quali si denunciano "ulteriori palesi irregolarità e abnormità" (v. supra 3.1.2, 3.1.3 e 8.1).
Il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr., ex plurimis, Cass. 4, 1 aprile 2004, Distante, RV 228586; Cass. 2, 8 luglio 1999, Albanese, RV 214249;
Cass. 5, 21 aprile 1999, Macis, RV 213812; Cass. 1, 31 gennaio 1996, Arra, RV 203513).
Nella specie, i motivi anzidetti si risolvono nella mera enunciazione del dissenso dei deducenti rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte di merito e si articolano, tra l’altro, nella pedissequa riproduzione delle censure già svolte in sede di appello, senza che il ricorrente si faccia carico di criticare le argomentate rationes decidendi poste dalla Corte di merito a sostegno dell’apprezzamento della loro infondatezza. Si aggiunga che le censure sono affette da genericità anche perchè le parti eccepiscono la inutilizzabilità di conversazioni telefoniche intercettate senza dedurne la rilevanza probatoria, nel contesto degli altri elementi di prova (cfr., ex plurimis, Cass. 6, 18 ottobre 2000, P.G. in c. Paviglianiti, RV 219617).
Deve ricordarsi, invero, che la sentenza impugnata, pur se formalmente viziata da inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in tanto va annullata in quanto si accerti che la prova illegittimamente acquisita ha avuto una determinante efficacia dimostrativa nel ragionamento giudiziale, un peso reale sul convincimento e sul dictum del giudice di merito, nel senso che la scelta di una determinata soluzione, nella struttura argomentativa della motivazione, non sarebbe stata la stessa senza l’utilizzazione di quella prova, nonostante la presenza di altri elementi probatori di per sè ritenuti non sufficienti a giustificare identico convincimento (cfr., per tutte, Cass. S.U. 21 giugno 2000, T’ammaro;
Cass. S.U. 25 febbraio 1998, Gerina).
Ed incombe su chi denuncia con il ricorso per Cassazione l’inutilizzabilità di determinati atti l’onere di indicare se ed in quale misura il giudice di merito li abbia posti a fondamento della sua decisione e le ragioni per le quali questa non sia in grado di resistere senza la loro valorizzazione (così, tra le altre, Cass. 2 1 febbraio 2000, Carloni, RV 215408).
17. La dedotta nullità per omessa decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio dei non abbienti a spese dello Stato.
La questione di nullità per omessa decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio dei non abbienti a spese dello Stato, dedotta dalla difesa dell’imputato G.C. nel primo motivo del ricorso (v. supra 7.1), è destituita di fondamento.
17.1. Con le modifiche apportate dalla L. 29 marzo 2001, n. 134 al testo originario della L. 30 luglio 1990, n. 217, art. 6, l’inosservanza del termine di dieci giorni per la decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato era stata sanzionata, ai sensi dell’art. 179 c.p.p., comma 2, con la nullità assoluta degli atti compresi tra la scadenza del termine e la data di effettiva adozione del provvedimento sull’istanza.
La L. 24 luglio 2008, n. 125 ha ora modificato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 96, testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, nel quale era stata trasfusa la disposizione del menzionato art. 6.
Al comma 1 sono state, invero, soppresse le parole "ovvero immediatamente, se la stessa è presentata in udienza a pena di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 c.p.p., comma 2".
Il comma 1 prevede ora che, "nei dieci giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l’istanza di ammissione", l’autorità giudiziaria, verificatane l’ammissibilità, "ammette l’interessato al patrocinio a spese dello Stato se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva prevista dall’art. 79, comma 1, lett. c), ricorrono le condizioni di reddito cui l’ammissione al beneficio è subordinata".
E’ stato, dunque, soppresso l’obbligo di provvedere "immediatamente" se l’istanza è presentata in udienza.
Inoltre, l’obbligo di provvedere nei termini non è più previsto a pena di nullità assoluta.
17.2. Non è necessario chiedersi, in questa sede, se la violazione della norma non sia più presidiata da nullità o se, invece, la riforma abbia semplicemente mutato il regime di rilevabilità e deducibilità del vizio (il termine resta, peraltro, pur sempre finalizzato, come già la Corte costituzionale aveva avuto modo di affermare con la sentenza 1 ottobre 2003, n. 304, ad assicurare l’effettività del diritto di difesa).
Occorre piuttosto interrogarsi, nel silenzio del legislatore in ordine al regime intertemporale, sulla sorte delle domande per le quali non sia intervenuta alcuna decisione.
Essa resta affidata, essendo coinvolte disposizioni di carattere processuale, al principio tempus regit actum.
Ne deriva che se, al momento dell’entrata in vigore della novella, il termine di cui si discute sia ormai inutilmente decorso, deve continuare ad applicarsi la precedente disposizione, atteso che lo ius superveniens non potrebbe sanare un atto ormai colpito da nullità. 17.3. La menzionata modifica normativa offre, in ogni caso, un sostegno "postumo" all’indirizzo esegetico che ha introdotto, nella "lettura" del precedente precetto, il criterio di offensività concreta del vizio quale condizione per la sua rilevanza, escludendo in altre parole che la nullità sussista indipendentemente dal concreto pregiudizio dell’interesse tutelato dalla norma violata.
La prevalente giurisprudenza di questa Corte è, invero, da tempo orientata nel senso che "la nullità prevista dall’art. 96 … per il caso in cui il giudice ometta di decidere, nel termine previsto dalla legge, sull’istanza di ammissione proposta … non opera qualora tale omissione sia priva di concreti effetti pregiudizievoli per la difesa" (cfr., ex plurimis, Cass. 6, 10 maggio 2006, Cavaliera, RV 234725; Cass. 2, 22 novembre 2005, Faraci, RV 232987; Cass. 6, 12 novembre 2004, Bevilacqua Sauchella, RV 230605).
In altre parole, la nullità non è correlata alla mera intempestività, ma è integrata soltanto qualora sia dal ritardo derivata un’effettiva lesione del diritto di difesa.
Le prerogative della difesa non sono, peraltro, di regola mai lese nei contesti, come quelli dibattimentali, in cui sia prevista la partecipazione necessaria del difensore, nominato di fiducia o designato d’ufficio (questi non sarebbe, invero, legittimato a non comparire per il fatto che il suo assistito non sia stato ancora ammesso al patrocinio dei non abbienti).
E nel caso in esame non è ravvisabile lesione alcuna alla garanzia dell’effettività del diritto di difesa.
Lo stesso ricorrente non ha addotto specifici elementi idonei a configurare la sussistenza di concreti pregiudizi.
Le considerazioni svolte in ricorso sono, invero, genericamente ed astrattamente riferite alla lunghezza ed alla complessità del processo, al numero delle udienze, alle (non meglio specificate) "consulenze" di cui il G. avrebbe potuto avvalersi.
18. L’associazione di tipo mafioso di cui al capo B) dell’imputazione.
18.1. Il secondo motivo del ricorso dell’imputato C.F. (v. supra 4.2) è fondato.
Il difensore (che non contesta l’attendibilità dei dichiaranti, nè in generale la sussistenza dei fatti addebitati) lamenta, con tale motivo, mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’applicazione dell’art. 649 c.p.p..
Afferma che la Corte di appello ha condannato l’imputato per fatti, indicati in imputazione come commessi dal (OMISSIS), per i quali era già stato giudicato e condannato dal Tribunale di Brindisi con sentenza del 22 marzo 2004.
Sul punto i giudici di appello si limitano a rilevare che detta sentenza riguardava "fatti relativi ad un periodo differente di vita dell’associazione", in modo confuso riferendosi a episodi in tema di spaccio di stupefacenti da collocarsi nell'(OMISSIS).
Neppure specifica la Corte di merito se, nel procedimento in cui era stata pronunciata la menzionata sentenza, l’imputazione per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. contenesse specifici riferimenti temporali (l’imputato lo nega).
In ogni caso, dovendo la cessazione della permanenza essere individuata, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (cfr., ex plurimis, Cass. 1, 10 febbraio 1993, P.G. in proc. Sepe, RV 193335; Cass. 2, 14 marzo 1997, Maranto, RV 208752; Cass. 5, 8 aprile 1998, Di Caro, RV 211809; Cass. 1, 5 dicembre 2000, Conti, RV 217966), nella pronuncia della sentenza di condanna di primo grado (nella specie, 22 marzo 2004), avrebbe la Corte dovuto chiarire perchè su fatti riferiti al periodo (OMISSIS) non sarebbe operativa la preclusione di cui all’art. 649 c.p.p..
18.2. E’, invece, destituito di fondamento il quarto motivo del ricorso dell’imputato L..
In tal caso, invero, la cessazione della permanenza non può essere individuata nella pronuncia della sentenza di condanna del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Lecce (4 aprile 2003) perchè essa riguardava fatti commessi fino all'(OMISSIS), mentre il capo B) dell’imputazione è riferito – come la Corte territoriale ha più volte ribadito – a fatti successivi (periodo (OMISSIS)) che sfuggono al divieto di ne bis in idem di cui all’art. 649 c.p.p. (in argomento cfr. da ultimo Cass. 1, 8 aprile 2008, Zavettieri, RV 239628).
Il motivo in esame è infondato anche nella parte in cui censura "nel merito" l’affermazione di responsabilità.
Non è vero che vi sia – come sostiene il difensore – assoluta coincidenza tra il fatto già giudicato e quello di cui al capo B) dell’imputazione (l’accusa rivolta all’imputato, in quel processo, era quella di essersi affermato, dall’estate del (OMISSIS) e fino al suo arresto del (OMISSIS);
– insieme a C.E., ucciso il (OMISSIS) dello stesso anno – quale nuovo capo dell’associazione mafiosa), nè risponde a verità che, in relazione al periodo (OMISSIS), non siano emersi elementi di prova della partecipazione dell’imputato all’associazione.
In particolare, D.T.D. aveva dichiarato di avere conosciuto L. quando era stato scarcerato.
Con M.P. e PI., che glielo avevano presentato, erano andati a pranzo e, nell’occasione, l’imputato aveva ricevuto in regalo L. 2 milioni ed un paio di stecche di sigarette.
D.T. aveva, poi, precisato che L. non prendeva parte attiva agli "sbarchi" perchè si trovava in semilibertà, ma aveva, nell’ambito del sodalizio mafioso, una "quota" in una squadra contrabbandiera.
Le conversazioni telefoniche intercettate avevano offerto riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, confermando il coinvolgimento dell’imputato nel contrabbando di tabacchi lavorati esteri e la disponibilità da parte del medesimo di armi.
18.3. Il primo motivo del ricorso dell’imputato P.M. (v. supra 12.1) è fondato (restano assorbiti gli altri motivi).
La Corte di merito si è avvalsa, invero, per affermare la responsabilità dell’imputato, di dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia riferite a fatti anteriori a quelli giudicati dal Tribunale di Brindisi con sentenza di condanna in data 5 luglio 2000.
Nè l’affermazione di responsabilità può essere giustificata dal contenuto della conversazione telefonica n. (OMISSIS), ore 20,59, nel corso della quale C.F. e C. A., G.C. e D.G.M. avevano parlato di destinare "pensieri" (sinonimo di quote di proventi illeciti) ai "quattro grandi", poi diventati due ed indicati come "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)".
Orbene, secondo gli inquirenti (in particolare, il più volte citato capitano M.), "(OMISSIS)" starebbe per "(OMISSIS)" (soprannome del P.M.) e "(OMISSIS)" significherebbe "(OMISSIS)" (pseudonimo di V.A.).
In sostanza, detta conversazione telefonica dimostrerebbe che P.M. aveva continuato a ricevere parte dei proventi dall’associazione anche dopo la costituzione del gruppo facente capo a L.G..
Ma è la stessa Corte di appello, peraltro, ad affermare che da tale conversazione l’identificazione del P.M. sarebbe soltanto "intuibile", ma non "provata".
Inoltre, la "lettura" dell’altra conversazione (indicata in sentenza come la n. 636), che, secondo i giudici di appello, servirebbe a confermare detta identificazione, è confusa ed appare porsi in contraddizione con le precedenti affermazioni, atteso che questa volta P.M. verrebbe definito come "(OMISSIS), quello là con il dente scasciato".
18.4. Il ricorso dell’imputato G.G. (v. supra 7), che prospetta, in sostanza, censure di manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione complessiva delle prove di responsabilità, è infondato.
I vizi denunciati non sussistono.
Questa Corte deve, come più volte si è ribadito, limitarsi a verificare, analizzando il testo del provvedimento impugnato, la coerenza dell’argomentazione, la corretta applicazione delle regole di valutazione delle risultanze probatorie e delle regole della logica, controllando che il giudice del merito abbia dato esaustiva risposta ai motivi, specificamente prospettati, che non siano manifestamente infondati e che esprimano (quanto a rilevanza probatoria) decisività.
E soltanto in caso di manifesta (cioè evidente, immediatamente percepibile, macroscopica) contraddittorietà o illogicità la motivazione, quindi la decisione, può essere cassata.
E’ pur vero che ora, a seguito delle modificazioni apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46 il vizio di motivazione rilevante può ora risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche "da altri atti del processo", purchè siano "specificamente indicati nei motivi di gravame", che, in altre parole, all’illogicità intrinseca della motivazione (cui era equiparabile la contraddittorietà logica tra argomenti della motivazione), caratterizzata dal limite della rilevabilità testuale, si è affiancata la contraddittorietà tra la motivazione e l’atto a contenuto probatorio. Nella specie, peraltro, non è stato denunciato alcun travisamento od omessa considerazione di dati probatori (l’informazione "travisata" – la sua esistenza – inesistenza – o non considerata deve, tra l’altro, essere tale da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso) e la struttura logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata è, come si diceva, immune dai vizi prospettati dal ricorrente. La Corte territoriale ha desunto che la partecipazione dell’imputato alla Sacra Corona Unita fosse proseguita anche successivamente alla sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’Assise di Brindisi (22 luglio 1998) e lo ha fatto sulla base del contenuto essenziale delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia.
D.T.D., in particolare, aveva riferito che G. G., unitamente a C.F., aveva continuato, anche quando era detenuto (avvalendosi dell’opera del fratello G. C.), ad occupare una posizione di vertice nell’associazione e dette dichiarazioni avevano trovato conferma anche nel contenuto di una conversazione intercettata il (OMISSIS), dalla quale era possibile desumere che il G. continuava a beneficiare di proventi derivanti dall’attività associativa. Il ricorrente, per contro, intraprende un percorso non consentito in sede di legittimità, propugnando una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.
E dette censure, naturalmente, non possono a scalfire la congruenza logica e giuridica del discorso giustificativo che sorregge il convincimento concordemente espresso dai giudici di appello, risolvendosi appunto in una prospettazione alternativa, tra l’altro ai limiti della genericità, degli elementi probatori che oltrepassa i limiti del sindacato logico della motivazione.
18.5. L’ultimo motivo del ricorso dell’imputato G.C. è inammissibile.
Risultano, invero, privi di pregio i profili, meramente fattuali e sprovvisti del requisito di adeguata specificità, delle censure svolte dalla difesa in ordine al positivo apprezzamento delle prove di responsabilità (v. supra 6.6).
La Corte di merito, nel condividere sostanzialmente il ragionamento probatorio del giudice di primo grado, ha rilevato che le dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia costituivano prove sufficienti dell’ipotizzata partecipazione dell’imputato al sodalizio mafioso (v. supra 1.2 e 1.7.2).
La Corte territoriale ha, dunque, efficacemente dato risalto, con adeguato apparato argomentativo, alle ragioni del giudizio di penale responsabilità dell’imputato.
Di talchè, le censure del ricorrente circa pretese violazioni di legge della sentenza impugnata, relativamente al punto suindicato, risultano altresì manifestamente infondate.
19. L’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri di cui al capo C) dell’imputazione ed i singoli fatti di contrabbando (capi C1 e C2 dell’imputazione).
19.1. Il quinto motivo del ricorso (v. supra 3.5) presentato nell’interesse dell’imputato B. è parzialmente fondato. a) Come si è detto (v. supra 1.3), la Corte di merito ha ribadito la responsabilità dell’imputato per il reato associativo di cui al capo C), limitando osi ad affermare che essa era desumibile "dalle dichiarazioni rese dal capitano dei Carabinieri M., dai risultati delle conversazioni captate sulle utenze nella disponibilità di L.G. e del M.P. e dai "rapporti" con N.C., malavitoso tarantino". Non servono particolari considerazioni per dimostrare che in motivazioni come questa manca del tutto la trama argomentativa, sia in ordine agli elementi di fatto sia in ordine alla loro concatenazione logica.
Resta assorbito il profilo del motivo in cui si contesta la sussistenza della circostanza aggravante del numero dei concorrenti superiore a dieci di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 quater, comma 3. b) Non è fondato, invece, il motivo con riferimento ai reati di cui ai capi C1) e C2).
In relazione ai medesimi la sentenza impugnata è sufficientemente argomentata e le richiamate conversazioni (v. supra 1.3) del (OMISSIS) non lasciano dubbi in ordine all’oggetto delle stesse.
D’altra parte, i difensori dell’imputato si limitano a sostenere genericamente che il linguaggio "criptico" delle conversazioni telefoniche intercettate non offrirebbe "certezze" probatorie.
Ma non è dato comprendere in che senso il linguaggio sarebbe "criptico", dato il riferimento esplicito a "casse" ed a "sigarette". c) E’ fondato il terzo motivo del ricorso dell’imputato B. (v. supra 3.3).
La sentenza impugnata non spiega, invero, perchè la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, esclusa con riferimento ai reati di cui ai capi B7) e B8), sarebbe, invece, "confermata" con riguardo alle fattispecie in esame.
Incorre, anzi, sul punto in un’evidente disattenzione, là dove (v. supra 1.3.5) afferma che "le inequivoche finalità con le quali il B. aveva posto in essere la condotta considerata (soprattutto in relazione al tentato omicidio del C.N.) giustificavano la contestazione della circostanza aggravante", non rilevando che – come si è detto – il giudice di primo grado aveva escluso la sussistenza dell’aggravante con riguardo proprio al tentato omicidio.
19.2. Il terzo motivo del ricorso presentato nell’interesse dell’imputato C.F. (v. supra 4.3) è fondato.
La Corte territoriale omette qualsivoglia argomentazione in ordine al reato di cui al capo C) dell’imputazione ed alla confermata responsabilità per il medesimo, dedicando ogni attenzione alla fattispecie associativa contestata al capo B).
19.3. L’ultimo motivo del ricorso presentato nell’interesse dell’imputato C.S. (v. supra 5.5) è fondato (restano assorbiti il secondo ed il terzo motivo: 5.2 e 5.3).
Anche in tal caso la Corte di appello ha omesso qualsivoglia argomentazione in ordine al reato di cui al capo C) dell’imputazione ed alla confermata responsabilità.
19.4. Per le stesse ragioni è fondato, con riguardo al più volte citato capo C) dell’imputazione, anche il quinto motivo del ricorso (v. supra 6.5) proposto nell’interesse di G.C..
19.5. Il sesto (ed il secondo nella parte correlata) motivo del ricorso presentato nell’interesse di L.G. (v. supra 8.2 e 8.6) sono generici e manifestamente infondati. a) Del tutto generiche sono le doglianze relative agli asseriti "errori di identificazione degli interlocutori delle conversazioni telefoniche intercettate". b) Considerazioni analoghe valgono con riferimento all’affermazione di responsabilità dell’imputato per i reati di cui ai capi C), C1) e C2) dell’imputazione, atteso che la Corte di appello ha – come si è visto (v. supra 1.10.3) – adeguatamente argomentato il proprio convincimento commentando le conversazioni telefoniche, intrattenute dall’imputato nel (OMISSIS) con M.P., nelle quali si discuteva di "sbarchi di sigarette", con indicazioni riscontrate da avvenuti sequestri.
Il "significato" di dette conversazioni era stato, tra l’altro, confermato da D.T.D. nell’udienza dibattimentale del 9 marzo 2005. Non è dato comprendere, pertanto, come possa il difensore pretendere di disarticolare dette affermazioni dolendosi genericamente del "linguaggio criptico" utilizzato nelle conversazioni che "non consentirebbe di affermare con certezza" la riconducibilità all’imputato delle condotte desunte dalle stesse.
E’ vero, invece, che manca qualsivoglia motivazione della sussistenza della circostanza aggravante del numero dei concorrenti superiore a dieci di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 quater, comma 3. c) Fondato è il terzo motivo del ricorso (v. supra 9.3).
Come già si è detto, con riguardo all’imputato B., la sentenza impugnata non spiega perchè la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, esclusa con riferimento ai reati di cui ai capi B7) e B8), sarebbe, invece, "confermata" con riguardo alle fattispecie in esame.
19.6. Del tutto immotivata è, infine, l’affermazione di responsabilità del PU. in ordine al delitto di cui al capo C).
Va accolto, pertanto, il sesto motivo del relativo ricorso (v. supra 14.6).
20. L’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e le attività illecite (capi D2, P6 e D8 dell’imputazione).
20.1. Il quinto motivo del ricorso presentato dai difensori dell’imputato B. (v. supra 3.5), concernente l’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo D8), è inammissibile, ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), perchè privo del requisito della specificità.
Il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr., ex plurimis, Cass. 4, 1 aprile 2004, Distante, RV 228586; Cass. 2, 8 luglio 1999, Albanese, RV 214249;
Cass. 5, 21 aprile 1999, Macis, RV 213812). Il motivo si risolve, invece, nella mera enunciazione del dissenso del deducente, correlato all’asserito linguaggio ermetico delle conversazioni telefoniche intercettate, rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte di merito (v. supra 1.3.4).
20.2. Il terzo motivo del ricorso dell’imputato C.F. (v. supra 4.3) è inammissibile perchè generico e manifestamente infondato. Con esso il ricorrente si limita a dedurre il proprio dissenso, con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo D2), rispetto all’interpretazione dei dati probatori individuati dalla Corte di merito nelle conversazioni di cui si è detto (v. supra 1.5.2). Le doglianze sono prive di contenuti di effettiva critica alla giustificazione della decisione impugnata (limitandosi ad invocare un’asserita oscurità dei contenuti delle conversazioni telefoniche intercettate), la quale ha peraltro adeguatamente motivato l’affermazione di responsabilità dell’imputato.
20.3. E’ fondato, invece, il primo motivo del ricorso dell’imputato C.F. (v. supra 4.1).
La Corte territoriale, invero, nel rideterminare la pena a carico del C. a seguito della condanna per il reato associativo di cui al capo D) (v. infra 20.6), ha erroneamente incluso tra i reati "satellite" della riconosciuta continuazione quello di cui al capo D6), mai contestato all’imputato, applicando in relazione al medesimo l’aumento di anni uno e mesi sei di reclusione.
20.4. La assoluta genericità caratterizza l’ultimo motivo del ricorso proposto nell’interesse di C.S. (v. supra 5.5).
20.4. Il quinto motivo del ricorso dell’imputato G.C. (v. supra 6.5) è inammissibile.
Anche in tal caso il ricorrente si limita a dedurre il proprio dissenso, con riguardo all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo D2), rispetto all’interpretazione dei dati probatori individuati dalla Corte di merito nelle conversazioni telefoniche intercettate.
20.5. Fondato è, invece, il quinto motivo del ricorso (v. supra 14.5) presentato nell’interesse dell’imputato PU. (è assorbito il settimo motivo: v. 14.7).
E’, invero, del tutto mancante di motivazione la sentenza impugnata nella parte in cui afferma il concorso dell’imputato nel reato di cui al capo D8), non rilevando, a tal fine, il generico ed indimostrato riferimento al fatto che il PU. avesse coltivato, per conto del B., rapporti con uno spacciatore di (OMISSIS) (che sarebbe il P.E.: sul quale v. supra 1.3.4).
20.6. Sono fondati i motivi di ricorso proposti in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato associativo di cui al capo D) da C.F. (primo motivo: v. 4.1), C. S. (quarto motivo: v. 5.4) e G.C. (quarto motivo:
v. 6.4; il secondo motivo del ricorso di detto imputato è infondato, atteso che, prima della pronuncia della sentenza impugnata, la Corte costituzionale, con sentenza in data 6 febbraio 2007, n. 26, aveva ripristinato, con efficacia ex tunc, l’incondizionata legittimazione del pubblico ministero a proporre appello contro le sentenze di proscioglimento).
Il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (così, ex plurimis, Cass. S.U. 12 luglio 2005, Mannino, RV 231679).
La Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di detto principio.
I giudici di appello non danno ragione, invero, delle scelte operate e della diversa valutazione degli elementi probatori.
Mancano nella pronuncia in esame i necessari passaggi e le argomentazioni indispensabili al fine di rendere l’intero iter logico comprensibile, verificabile da parte del giudice sovraordinato.
La sentenza non contiene, in particolare, le informazioni fattuali rilevanti ai fini del decidere, limitandosi (v. supra 1.4) ad una sterile enunciazione delle asserite prove a carico (quelle derivanti dalle intercettazioni relative, tra l’altro, soltanto a tre conversazioni registrate nell’arco di pochi giorni), così precludendo ogni possibilità di controllo.
21. Il tentato omicidio di C.N. (capi B7) e B8) dell’imputazione).
21.1. Il secondo ed il quarto motivo del ricorso presentato nell’interesse dell’imputato B. (v. supra 3.2 e 3.4), nonchè il quinto motivo del ricorso dell’imputato L.G. (v. 8.5), sono destituiti di fondamento.
La struttura logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata è immune dai vizi motivazionali prospettati.
Quanto all’identificazione del B., la sentenza chiarisce che l’ascolto delle conversazioni telefoniche intercettate era stato correlato ad attività di osservazione di "incontri" che aveva confermato la riconducibilità dell’utenza (OMISSIS) all’imputato (e, non a caso, il ricorso "tace" su questo punto della motivazione).
Con riguardo, poi, all’affermazione di responsabilità per il tentato omicidio (ed i reati al medesimo strumentali), la motivazione è aderente al quadro probatorio ed immune da vizi logici.
Particolarmente significativa è, anzi tutto, la circostanza che L.P., figlia dell’imputato L.G., si trovasse in quel momento sul luogo dell’agguato (e non perchè – come riferito dallo stesso C.N. – avesse un appunto con loro, vale a dire con sua madre SI.Fi. e con lui).
Non meno rilevante, ai fini dell’affermazione di responsabilità, è il rilievo delle parole ("si è inceppata") dal B. pronunciate, con evidente riferimento ad un’arma, proprio nei momenti in cui l’imputato era in collegamento telefonico con L.P., che sono, poi, i momenti in cui era stato sparato il primo ed unico colpo all’indirizzo del C.N. (e non appare determinante che il rumore del colpo sia o no stato captato dall’attività di registrazione in corso).
Sulla base di dette circostanze assumono un chiaro significato tutti gli altri elementi acquisiti successivamente all’attentato subito da L.G. il (OMISSIS) (v. supra 1.3.2): l’immediato intervento a sostegno di B.; i propositi di vendetta del L. nei confronti del C.N.; gli appostamenti eseguiti dal BARLETTA per controllare i movimenti del C.N. che si era allontanato dalla masseria dove abitava; le conversazioni telefoniche intercorse tra L. e B. e riguardanti l’approvvigionamento di armi.
La forza persuasiva di detto apparato argomentativo non può essere posta in discussione dalla diversa lettura degli elementi probatori tentata dalla difesa e, comunque, costituente inammissibile incursione nella valutazione del fatto (che deve, invece, rimanere prerogativa esclusiva del giudice di merito).
21.2. La sentenza impugnata deve, invece, essere annullata, in accoglimento del terzo motivo (v. supra 14.3) prospettato nell’interesse del PU. (resta assorbito l’ottavo motivo e contengono affermazioni non condivisibili il secondo ed il quarto: v.
14.2, 14.4 e 14.8), nella parte in cui, in riforma della decisione del primo giudice, ha dichiarato l’imputato colpevole dei reati di cui ai capi B7) e B8).
Gli elementi presi in considerazione dalla Corte di merito (v.
1.15.1) servono a dimostrare, senza possibilità di equivoci, che B. aveva uno stretto rapporto con PU., che i due si erano recati insieme il (OMISSIS) alla stazione ferroviaria di (OMISSIS) a prendere il L. che arrivava dal nord e che entrambi si erano prodigati in aiuto della figlia e della convivente quando era finito in carcere.
Gli elementi anzidetti non sono, tuttavia, idonei ad affermare che fosse proprio il PU. la persona la cui voce "fuoricampo" era stata registrata il (OMISSIS), ore 11,24, nel momento culminante della vicenda. In punto di riconoscimento della voce del PU., la Corte non ha chiarito come potessero essere disattese le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado (oltre a quelle del consulente tecnico dell’imputato, il quale aveva rilevato che la voce fuoricampo aveva pronunciato una sola frase, tra l’altro di difficile ascolto e decifrazione, e che comunque quella voce non aveva le caratteristiche "tecniche" di quella del PU.).
Ciò si ripercuote inevitabilmente sull’affermazione secondo cui le due conversazioni intercettate il giorno successivo all’agguato coinvolgerebbero il PU..
22. Il ricorso di L.A. (capi D4 e D5 dell’imputazione) Ricordato che del primo motivo del ricorso si è trattato al punto 17.1, resta da dire che il secondo motivo del ricorso (v. supra 10.2) è manifestamente infondato.
Non risponde al vero, infatti, che la Corte di appello non abbia "determinato la pena in misura inferiore a quella irrogata dal giudice di primo grado, pur avendo escluso la sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7".
Dal dispositivo della sentenza impugnata risulta, invero, che la Corte, avendo escluso detta circostanza in relazione ai reati di cui ai capi D4 e D5, ha ridotto ad anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa la pena irrogata dal giudice di primo grado (anni tre di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa).
Si sarebbe, semmai, dovuto rilevare (ma non era certo interesse dell’imputato) che la Corte di appello aveva, in motivazione, affermato la sussistenza dell’aggravante per poi, però, escluderla nel dispositivo.
23. Il ricorso di L.P. (capi A e Al dell’imputazione).
Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato L.P. (v. supra 9) è inammissibile.
In particolare, manifestamente infondato è il profilo del ricorso in cui si contesta la qualificazione giuridica del fatto avente ad oggetto l’autovettura Thema Ferrari (v. 1.10).
Sul punto la struttura logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata è immune dai vizi prospettati dal ricorrente.
L’imputato è, invero, stato trovato in possesso dell’autovettura di provenienza furtiva quando ormai erano trascorsi parecchi giorni da quello in cui il legittimo proprietario ne aveva subito la sottrazione. Correttamente, pertanto, la Corte ha ritenuto sussistere il c.d. presupposto negativo del delitto di ricettazione, vale a dire che il possesso fosse stato dall’imputato acquisito "fuori dei casi di concorso nel reato" di furto.
Con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, il motivo è inammissibile, ex art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), perchè privo del requisito della specificità.
Come già si è avuto modo di dire, il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.
24. Il ricorso di S.M.F. (capo B2 dell’imputazione).
Il ricorso (v. supra 13) è inammissibile perchè manifestamente infondato. Le censure formulate dalla ricorrente non riescono a scalfire la congruenza logica e giuridica del discorso giustificativo che sorregge il convincimento espresso dai giudici di merito relativamente alla responsabilità dell’imputata per il concorso, con il convivente L.G., nell’occultamento dell’arma di cui si è detto al punto 1.14. Esse si risolvono in uno sterile e generico tentativo di offrire un’interpretazione alternativa alle in equivoche conversazioni telefoniche intercettate.
25. I motivi concernenti il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Inammissibili sono, infine, i motivi con i quali gli imputati B. (3.6) e L. (8.7) sostengono che la sentenza impugnata sarebbe mancante di motivazione nella parte in cui ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
I motivi sono manifestamente infondati, oltre che genericamente formulati.
I ricorrenti pretendono che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall’ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
L’esercizio di detto potere deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
La concessione di dette circostanze presuppone, inoltre, l’esistenza di elementi suscettibili di positivo apprezzamento.
Nella specie, tuttavia, del tutto legittimamente la Corte di merito ha ritenuto ostativi al riconoscimento delle attenuanti generiche:
i precedenti penali degli imputati, trattandosi di parametro considerato dall’art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell’art. 62 bis c.p. (v. 1.9.4);
– i criteri enunciati dall’art. 133 c.p, e la complessiva adeguatezza del concreto trattamento sanzionatorio (v. 1.3.6).
Si tratta di considerazioni giustificative del diniego, che le generiche censure dei ricorrenti non valgono a scalfire.
26. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere, anzitutto, annullata senza rinvio nei confronti di M.P. per essere i reati al medesimo addebitati estinti per sopravvenuta morte dell’imputato (v. 15).
La sentenza va, poi, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce nei confronti di:
– PU.Fr. (v. 19.7; 20.5; 21.2) e P.M. (v. 18.3);
– B.M. limitatamente all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo C) dell’imputazione ed alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 (v. 19.1);
– C.F. limitatamente all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi B), C) e D) dell’imputazione ed all’aumento di pena per la continuazione applicato con riguardo al reato di cui al capo D6) (v. 18.1; 19.2;
20.3 e 20.6);
– C.S. limitatamente all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi C) e D) dell’imputazione (v. 19.3 e 20.6);
– G.C. limitatamente all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi C) e D) dell’imputazione (v. 19.4 e 20.6);
– L.G. limitatamente all’affermata sussistenza delle circostanze aggravanti di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 ed al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 quater, comma 3, (v. 19.5).
Nel resto i ricorsi degli imputati B., C.F., C.S., G.C. e L.G. vanno rigettati.
Devono, inoltre, essere rigettati i ricorsi di G.G. (v. 18.4) e L.A. (v. 22) e dichiarati inammissibili i ricorsi di L.P. (v. 23) e S.M.F. (v. 24).
Segue la condanna dei quattro imputati da ultimo indicati al pagamento, in solido tra loro, delle spese processuali.
Segue, infine, a norma dell’art. 616 c.p.p., non emergendo ragioni di esonero, la condanna dei ricorrenti L.P. e S. al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 (mille/00).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M. P. per essere i reati al medesimo addebitati estinti per sopravvenuta morte dell’imputato.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce nei confronti di PU.Fr. e P.M..
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce nei confronti di:
– B.M. limitatamente all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo C) dell’imputazione ed alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7;
– C.F. limitatamente all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi B), C) e D) dell’imputazione ed all’aumento di pena per la continuazione applicato con riguardo al reato di cui al capo D6);
– C.S. limitatamente all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi C) e D) dell’imputazione;
– G.C. limitatamente all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi C) e D) dell’imputazione;
– L.G. limitatamente all’affermata sussistenza delle circostanze aggravanti di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 ed al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 quater, comma 3.
Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti imputati.
Rigetta i ricorsi di G.G. e L.A. e dichiara inammissibili i ricorsi di L.P. e S.M. F., condannando i quattro imputati in solido al pagamento delle spese del procedimento e, i soli L.P. e S. al pagamento, ciascuno, a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00 (mille/00).

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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