Cass. pen., sez. VI 27-01-2009 (14-01-2009), n. 3528 (ord.) Persistenza dell’interesse in caso di revoca o sostituzione della misura con una meno afflittiva nelle more della decisione sull’impugnazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1.-. C.P. ricorre per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale di Catanzaro, sezione 2^ penale, adito ex art. 309 c.p.p., in riforma della ordinanza del GIP di Lamezia Terme in data 2-10-07 applicativa della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 110 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ha sostituto tale misura con quella degli arresti domiciliari.
Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5, insistendo per la perdita di efficacia della misura cautelare per la mancata trasmissione della annotazione di servizio in data 4-10-07 della Questura di Catanzaro, atto sopravvenuto, a suo dire, di segno a lui favorevole, dati gli esiti negativi dei più accurati accertamenti espletati dalla polizia giudiziaria (perquisizione più accurata della autovettura sulla quale viaggiava l’indagato unitamente a T.S.; ispezione delle aree esterne nelle vicinanze della progressiva chilometrica ove i due erano stati bloccati).
2.-. Risulta dagli atti che C.P. è stato rimesso in libertà successivamente alla presentazione del ricorso in discussione. Ne deriva la esigenza di verificare, preliminarmente, la persistenza dell’interesse al ricorso in capo all’indagato.
3.-. Secondo un oramai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in materia cautelare l’interesse alla impugnazione persiste in capo all’indagato, pur se rimesso in libertà, in relazione all’accertamento della sussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p., in quanto tale accertamento può costituire presupposto per il riconoscimento del diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare ingiustamente subita (Sez. Un. n. 20 del 12-10-1993, Durante). Corollario di tale principio è che l’interesse alla impugnazione di un provvedimento coercitivo dopo la cessazione della misura cautelare non permane quando l’impugnazione è diretta ad ottenere una decisione sulla sussistenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p., o sulla scelta tra le diverse misure possibili ai sensi dell’art. 275 c.p.p., in quanto si tratta di cause di illegittimità inidonee a fondare il diritto di cui all’art. 314 c.p.p., stante la tassatività della formulazione di tale disposizione, che si riferisce esclusivamente alle condizioni di applicabilità delle misure di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p.. (sez. 6^, 26-5-2004, n. 37894, Tortìglia; sez. 5^, 9-12-1993, n. 4091, Lazzarini).
4.-. Già in applicazione di questi principi in riferimento ai motivi di ricorso in cui si fa questione unicamente di esigenze cautelari deve concludersi per la insussistenza di un attuale interesse ad impugnare in capo all’indagato.
Deve però rilevarsi che, come recentemente osservato da questa Corte (Sez. 6^, sentenza n. 1956 del 15-11-2006, Campodonico), anche quando viene contestata la sussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari è pur sempre necessaria la verifica della attualità e della concretezza dell’interesse, tenuto conto che l’art. 568 c.p.p., comma 4, richiede, come condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, la sussistenza di un interesse che abbia tali caratteri, sia diretto cioè a rimuovere un effettivo pregiudizio che la parte asserisce di avere subito con il provvedimento impugnato, interesse che deve persistere sino al momento della decisione. Pertanto, come precisato anche nella citata sentenza delle Sezioni Unite, tale interesse "non può risolversi in una mera ed astratta pretesa alla esattezza teorica del provvedimento impugnato", priva cioè di incidenza pratica sulla economia del procedimento. Conseguentemente "una applicazione pressochè automatica dei principi posti dall’orientamento più volte ricordato delle Sezioni Unite presenta il rischio di accogliere una nozione di "interesse" troppo ampia, che finisce per presumere sempre e comunque che l’indagato agisca anche al fine di precostituirsi il titolo in funzione di una futura richiesta di un’equa riparazione per la ingiusta detenzione ai sensi della disposizione contenuta nell’art. 314 c.p.p., comma 2, che tra l’altro disciplina una fattispecie tendenzialmente eccezionale e residuale rispetto alle altre ipotesi previste".
In realtà è proprio la presunzione della esistenza di un interesse, scollegata da ogni manifestazione di volontà in tal senso, ad essere il sintomo più eloquente della mancanza di un interesse attuale e concreto alla impugnazione. Ne deriva che "in difetto di una espressa indicazione che dimostri l’intenzione di una futura utilizzazione della pronuncia, l’interesse in questione finisce per essere commisurato al probabile successo dell’azione di riparazione e l’impugnazione diventa lo strumento per rimuovere un pregiudizio futuro, solo teoricamente ed eventualmente collegato al provvedimento impugnato, là dove è pacifico che la situazione pregiudizievole che l’impugnazione tende a rimuovere deve porsi in rapporto causale con l’atto impugnato, del quale deve essere conseguenza immediata e diretta". Ciò comporta quanto meno l’onere a carico del ricorrente di rappresentare l’esistenza di un simile interesse anche con riferimento alla mancanza delle cause ostative di cui all’art. 314 c.p.p., comma 4: occorre cioè che "la parte manifesti, in termini positivi ed univoci, la sua intenzione di servirsi della pronuncia richiesta in vista della azione di riparazione per l’ingiusta detenzione, intenzione che, naturalmente, nel giudizio in cassazione può essere comunicata dal difensore direttamente in udienza ovvero attraverso memorie scritte".
5.-. Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse anche in riferimento alle censure in cui si fa questione di sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura, per le quali non risulta alcuna sicura e documentata manifestazione di volontà da parte dell’interessato, diretta ad utilizzare la decisione al fine di proporre l’azione di riparazione ex art. 314 c.p.p..
6.-. Il venir meno dell’interesse, sopraggiunto alla proposizione del ricorso, non configura un’ipotesi di soccombenza. Ne deriva che il ricorrente non deve essere condannato nè alle spese processuali nè a sanzioni pecuniarie in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta mancanza di interesse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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