Cass. pen., sez. II 22-01-2009 (08-01-2009), n. 3192 Reato concorrente – Circostanza aggravante – Contestazione sulla base degli elementi già acquisiti nella fase delle indagini preliminari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con sentenza 1.7.08 la Corte d’Appello di Catania, in accoglimento dell’appello del PG, negata la concessione delle attenuanti generiche rideterminava la pena a carico di C.G. e D.S. A. (imputati di concorso in rapine pluriaggravate, ricettazione e violazioni della L. n. 1423 del 1965, art. 9, reati tutti unificati nel vincolo della continuazione) rispettivamente in anni 11 e mesi 6 di reclusione ed Euro 3.200,00 di multa e in anni 8 e mesi 9 di reclusione ed Euro 2.800,00 di multa.
Rigettava invece gli appelli dei predetti imputati, che ricorrevano contro detta sentenza (per il tramite dei rispettivi difensori), chiedendone l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti e riportati globalmente;
a) violazione degli artt. 570 e 582 c.p.p., atteso che l’appello del PG era stato proposto dall’Avvocato Generale (soggetto non legittimato ad impugnare, ad avviso del ricorrente) e che detto gravame era stato depositato presso la segreteria della Procura della Repubblica di Catania e non presso la cancelleria del giudice a quo, come invece previsto dall’art. 582 c.p.p., comma 1 (tale censura era mossa dal solo D.S.);
b) violazione dell’art. 517 c.p.p., art. 178 c.p.p., lett. b) e art. 179 c.p.p., con riguardo alla rapina consumata il (OMISSIS), in quanto erroneamente l’impugnata pronuncia aveva ritenuto rituale la contestazione suppletiva dell’aggravante di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 7 nonostante che fosse già a conoscenza del PM che al momento della commissione del reato il C. era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno, tanto che la stessa aggravante era stata già tempestivamente contestata in relazione alla tentata rapina del (OMISSIS);
c) violazione della L. n. 575 del 1965, art. 7 e dell’art. 81 cpv. c.p. in relazione alla tentata rapina del 1.2.2007, essendo la predetta aggravante incompatibile con il delitto tentato (tale doglianza era mossa da entrambi i ricorrenti) e non essendo più applicabile ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., nel senso che, essendo stato individuato il reato più grave nella rapina consumata, le aggravanti contestate in relazione ai reati satellite restavano prive di efficacia (tale censura era sollevata solo dal C.);
d) violazione degli artt. 125 e 546 c.p.p. per carenza di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche (che erano state invece concesse dal Giudice di prime cure), in particolare circa l’asserita ininfluenza a tal fine della confessione resa dal C. all’udienza dibattimentale del 9.1.08, nonchè violazione dell’art. 15 c.p. nella parte in cui l’impugnata sentenza aveva valutato due volte a carico dell’imputato l’aver commesso i reati mentre era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno: una prima volta per applicare l’aggravante speciale, una seconda per negare le attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p..
2- Osserva la Corte che i ricorsi sono infondati e vanno, perciò, rigettati.
Quanto al primo motivo, premesso che l’Avvocato Generale è soggetto perfettamente legittimato ad impugnare in quanto facente parte dell’ufficio della Procura Generale, risulta in atti che il relativo atto di appello è stato regolarmente depositato presso la segreteria di detto ufficio per essere poi trasmesso alla cancelleria del giudice a quo, il che non viola l’art. 582 c.p.p., atteso che tale norma consente la presentazione dell’impugnazione anche a mezzo di incaricato, senza che sia necessario nè un atto formale di delega, nè l’attestazione, da parte del pubblico ufficiale che riceve l’atto, del suo nominativo, dal momento che la stessa ricezione dell’atto presuppone un’attività di verifica dell’identità dell’incaricato, il quale svolge un’attività meramente materiale nell’ambito delle funzioni dell’ufficio di cui fa parte, che non può che essere ricondotta a disposizioni impartite dal titolare dell’ufficio stesso (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 35345 del 12.6.02, dep. 21.10.02; conf. Cass. n. 4947/97; Cass. n. 12754/98; più di recente v. altresì Cass. Sez. 2^ n. 29608 del 7.7.06, dep. 4.9.06; Cass. Sez. 5^ n. 506 del 25.9.06, dep. 12.1.07; Cass. Sez. 5^ n. 8096 dell’11.1.07, dep. 27.2.07).
La prima doglianza va quindi disattesa.
3- Anche il motivo di ricorso che precede sub b) è infondato.
In proposito giova ricordare che secondo le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sent. n. 4 del 28.10.98, dep. 11.3.99) la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante ex art. 517 c.p.p. possono essere effettuate anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
Si ritiene di dover mantenere fermo tale orientamento (su cui si sono registrate, sia prima che dopo l’intervento delle Sezioni Unite, decisioni di segno fra loro contrastante).
Si muova dal rilievo che se il PM può provvedere a contestazione suppletiva nel corso dell’istruzione dibattimentale, a maggior ragione può esercitare tale potere prima che essa abbia inizio, non sacrificandosi in alcun modo il diritto di difesa dell’imputato, che può chiedere ed ottenere un termine a difesa ex art. 519 c.p.p..
La contestazione effettuata nella fase iniziale del dibattimento, a seguito di nuova o diversa valutazione da parte del pubblico ministero dei dati acquisiti nelle indagini preliminari, rende più completo ed adeguato l’oggetto del rapporto processuale, senza con ciò violare il diritto di difesa dell’imputato (cfr. ad es. Cass. Sez. 5^ del 17.5.93, Maiorano; Cass. Sez. 2^ del 26.9.94, Nobile).
La contraria opinione fa leva sul dato letterale degli artt. 516 e 517 c.p.p. ("Qualora nel corso dell’istruzione dibattimentale emerga …"), da cui si desume che la contestazione non potrebbe aver luogo se non in forza di elementi ulteriori rispetto a quanto acquisito nella fase delle indagini preliminari, vale a dire acquisiti nel corso dell’istruzione dibattimentale stessa. Viene poi rafforzata dall’osservazione che ciò sarebbe funzionale alla salvaguardia del principio del contraddittorio tra le parti su base paritaria che caratterizza il rito accusatorio. Diversamente – si sostiene – si consentirebbe al pubblico ministero di eludere l’obbligo della "discovery" al momento dell’instaurazione del dibattimento. Cioè, da una parte, si andrebbe a sottrarre materiale investigativo alla conoscenza dell’imputato in sede di udienza preliminare e, dall’altra, riversando detti elementi nella fase dibattimentale, mediante la contestazione suppletiva, si verrebbe ad incidere sull’esercizio del diritto di difesa (cfr. Cass. Sez. 3^, 22 marzo 1996, Iaccarino). In conclusione – secondo tale orientamento – la contestazione suppletiva o la modifica dall’imputazione trarrebbero ragione esclusiva dalle risultanze emerse in sede di istruzione dibattimentale (Cass. sez. 3^ del 17.3.98, Piccioni).
In realtà va ricordato che già la direttiva n. 78, di cui all’art. 2, Legge Delega per il vigente codice di rito (L. 16 febbraio 1987, n. 81), nel prevedere il potere del PM di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione, non pone specifici limiti temporali al suo esercizio, nè consente di fare distinzioni quanto alla fonte degli elementi dai quali la contestazione suppletiva trae origine. E ciò è stato previsto dalla direttiva in esame e poi introdotto nel codice di rito perchè la modifica dell’imputazione o la contestazione di una circostanza aggravante, come pure di un reato concorrente, non possono che considerarsi come eventualità fisiologiche in un sistema processuale che si ispira al rito accusatorio incentrato nel dibattimento, ma che non consente, come più volte ricordato dalla Corte Costituzionale, dispersione degli elementi utili per un giusto processo.
E’ pur vero che la tendenziale parità delle parti, cui si ispira la logica del sistema accusatorio – nell’esaltare il principio del contraddittorio – richiede che il PM formuli l’imputazione in base agli elementi d’accusa già acquisiti nelle indagini preliminari (artt. 405 e 407 c.p.p.) e che, a sua volta, l’imputato, posto a conoscenza degli elementi di accusa, possa sin dall’inizio del dibattimento contrastarli efficacemente. Ma ciò non può comportare, come ineluttabile conseguenza, che, se il pubblico ministero, per inerzia od errore, abbia omesso in parte la contestazione di elementi di accusa già acquisiti, non possa provvedervi sin dall’inizio del dibattimento, apportando le necessarie modifiche all’imputazione.
L’orientamento che si basa sul dato letterale delle norme in esame – contraddetto, come si è visto, dalla direttiva della legge delega, nei termini sopra esposti – sanzionando con la nullità ai sensi dell’art. 522 c.p.p. la sentenza emessa sulla base di detta contestazione suppletiva, comporterebbe l’assurdo risultato che il giudice – in presenza di una richiesta di modifica dell’imputazione – sarebbe tenuto a disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero, ex art. 521 c.p.p., comma 2, perchè si proceda ad un nuovo dibattimento.
Ciò darebbe luogo a un formalismo esasperato ed ingiustificato in assenza di violazione alcuna del diritto di difesa. Inoltre, l’orientamento condiviso da questo Collegio consente, mediante la contestazione suppletiva all’inizio del dibattimento e sulla base di elementi non considerati nella formulazione dell’originaria imputazione, di scongiurare, nell’ipotesi di reato concorrente, l’inizio di un nuovo dibattimento (con un allungamento dei tempi di definizione del processo) ed in caso di circostanza aggravante o di modifica dell’imputazione evita di precludere al pubblico ministero la possibilità di richiedere un accertamento completo del fattoreato, in sede di giudizio. E ciò perchè gli elementi modificativi od integrativi del fatto (quali le circostanze aggravanti) non potrebbero mai formare oggetto di autonomo giudizio penale.
Dunque, l’orientamento giurisprudenziale qui non condiviso comporterebbe, nella prima ipotesi, la necessità di instaurare un nuovo dibattimento, con conseguente violazione dei principi di immediatezza e di concentrazione (v. direttiva n. 66, art. 2, Legge Delega), posti a base del giusto processo (cfr. per tutte Corte Cost.
31.5.96 n. 177); nella seconda ipotesi, darebbe luogo ad una violazione dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost..
In altre parole, la soluzione opposta a quella in questa sede accolta produrrebbe esiti ermeneutici sistematicamente devastanti senza che si sia verificata compromissione alcuna del diritto di difesa dell’imputato, neppure sotto il profilo della possibilità di avvalersi dell’art. 516 c.p.p., commi 1 bis e 1 ter (secondo l’espresso rinvio ad essi operato dall’art. 517 c.p.p., comma 1 bis).
Le garanzie previste per l’imputato in caso di contestazione suppletiva sono state, poi, ampliate dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr. sent. n. 241/92 e n. 50/95).
4- Ancora da respingersi è la doglianza sub e) alla stregua della più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la circostanza aggravante prevista dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 7 e successive modifiche si applica ai reati contemplati nella detta disposizione anche ove gli stessi siano rimasti allo stadio del tentativo (Cass. Sez. 5^ n. 809 del 17.2.2000, dep. 13.4.2000; contra v. Cass. Sez. 2^ n. 7441 del 14.12.98, dep. 16.1.99; Cass. Sez. 2^ n. 7849 del 15.3.85, dep. 4.9.85).
La contraria opinione si fonda sull’autonomia del tentativo rispetto al reato consumato, di guisa che il delitto tentato è già un reato perfetto, presentando tutti gli elementi necessari e sufficienti per l’esistenza di un reato ed una condotta che ha già manifestato compiutamente tutta la propria carica di disvalore.
Ciò non significa, però, che, quando la legge richiama, per determinati effetti, la fattispecie principale, senza riferimento alla consumazione e/o al tentativo, la disposizione debba ritenersi come riferita sempre e soltanto al reato consumato.
Invero, relativamente agli interessi penalmente tutelati, consumazione e tentativo riflettono rispettivamente la lesione effettiva e la lesione potenziale dello stesso bene oggetto di protezione. Il dolo del tentativo è lo stesso dolo della consumazione così come si presentano identiche le modalità di esecuzione del delitto.
Alla medesima conclusione si perviene mediante l’approccio teleologico: l’inasprimento di pena previsto dalla disposizione in scrutinio trova ragione nell’avvertita necessità di contrastare in maniera più decisiva la condotta di chi, sebbene sottoposto a misura di prevenzione, commette reati di particolare natura, così dimostrando una maggiore pericolosità e determinazione criminosa.
Ciò appare altresì conforme al principio generale secondo cui ineriscono al tentativo tutte le circostanze che, come quella in discorso, attengono ad una particolare qualificazione soggettiva dell’agente.
Per concludere sul punto, deve ritenersi che la circostanza aggravante prevista dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 7 per i reati in detta disposizione contemplati è configurabile anche nel caso di reato rimasto allo stadio del tentativo.
Appare poi ininfluente la notazione – che si legge nel ricorso del C. – per cui, essendo stato individuato il reato più grave nella rapina consumata, le aggravanti contestate in relazione ai reati satellite restano prive di efficacia: è pacifico, infatti, che nella fattispecie l’aumento di pena L. n. 575 del 1965, ex art. 7 non sia stato operato.
5- Se dunque, l’aggravante in questione non risulta applicata nè in relazione alla rapina consumata il 25.1.2007 nè a quella tentata del 1.2.2007, diviene irrilevante anche la censura sub d), poichè ad ogni modo l’essere state commesse dette rapine nel periodo in cui il C. era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno non ha inciso due volte nell’economia della motivazione del trattamento sanzionatorio.
Nè vi è omessa motivazione circa il diniego delle attenuanti generiche, su cui – anzi – l’impugnata sentenza si è dilungata, in particolare chiarendo anche che la confessione era sopravvenuta solo dopo che l’istruzione dibattimentale aveva ampiamente provato la responsabilità dei prevenuti (mediante testimonianze, documenti filmati e fotogrammi, possesso di capi di vestiario indossati all’atto della rapina e confronto di identità di sembianze e modalità di azione e di movimento degli imputati).
6- Ex art. 616 c.p.p. segue la condanna dei ricorrenti alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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