Cass. pen., sez. I 27-01-2009 (16-01-2009), n. 3747 Commissione di reati a distanza temporale tra loro – Presunzione d’inesistenza del disegno criminoso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 maggio 2008 il Tribunale di Torre Annunziata, in funzione di giudice dell’esecuzione, sezione quinta penale, respingeva l’istanza avanzata da G.C., volta ad ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. tra le seguenti sentenze:
– sentenza della Corte d’appello di Napoli del 14 marzo 2002 (irrevocabile 1 22 maggio 2003) 2003 (irrevocabile il 4 giugno 2003), riguardante i reati di cui alla L. n. 685 del 1975, art. 75,D.P.R. N. 309 del 1990, art. 74, artt. 1101, 81 cpv. c.p., L. n. 685 del 1975, artt. 71 e 74, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73;
– sentenza della Corte d’assise d’appello di Napoli del 12 maggio 2000 (irrevocabile il 16 maggio 2001), concernente il reato di cui all’art. 110 c.p., art. 575 c.p., art. 577 c.p., nn. 3 e 4, L. n. 203 del 1991, art. 7;
– sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 30 gennaio 2001 (irrevocabile il 21 dicembre 2006), relativa ai reati di cui all’art. 416 bis c.p., art. 1101 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 56 c.p., art. 629 c.p., art. 1110 c.p., art. 582 c.p., art. 585 c.p., art. 61 c.p., n. 1, L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 12.
Avverso la citata ordinanza ha proposto ricorso, tramite il difensore di fiducia, G., il quale lamenta: a) erronea applicazione dell’art. 81 cpv c.p., e art. 671 c.p.p., e mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
OSSERVA IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
L’art. 671 c.p.p., attribuisce al giudice il potere di applicare "in executivis" l’istituto della continuazione e di rideterminare le pene inflitte per i reati separatamente giudicati con sentenze irrevocabili secondo i criteri dettati dall’art. 81 c.p.. Peraltro, la possibilità di applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva ha carattere sussidiario e suppletivo rispetto alla sede di cognizione, stante il carattere più completo dell’accertamento e la mancanza dei limiti imposti dall’art. 671 c.p.p. (Sez. 6, 8.5.2000, sent. n. 00225, ric. P.G. in proc. Mastrangelo e altri, riv. 216142).
In tema di reato continuato, tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso non possono non essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo. Anche attraverso la constatazione di alcuni soltanto di detti indici – purchè siano pregnanti e idonei ad essere privilegiati in direzione del riconoscimento o del diniego del vincolo in questione – il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni (Sez. 1, 20.4.2000, sent. n. 01587, ric. D’Onofrio, riv. 215937).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, per aversi unicità del disegno criminoso occorre che in esso risultino ricomprese le diverse azioni od omissioni sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, nel senso che, quando si commette la prima azione, già si sono deliberate tutte le altre, come facenti parte di un tutto unico. Le singole condotte, quindi, devono essere ricollegate ad un’unica previsione, di cui i diversi reati costituiscano la concreta realizzazione, cosicchè i reati successivamente commessi devono essere delineati fin dall’inizio nelle loro connotazioni essenziali, non potendo identificarsi il requisito psicologico indicato nell’art. 81 c.p. con un generico programma delinquenziale.
Ai fini dell’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. la "cognizione" del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita in base al contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumo essere "in continuazione". Le sentenze devono essere poste a raffronto per ogni utile disamina, tenendo presenti le ragioni enunciate dall’istante e fornendo del tutto esauriente valutazione. La decisione del giudice di merito, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, 7.5.1992, sent. n. 01060, ric. Di Camillo, riv. 189980; Sez. 1, 7.7.1994, sent. n. 02229, ric. Caterino, riv. 198420; Sez. 1, 30.1.1995, sent. n. 05518, ric. Montagna, riv. 200212).
Il provvedimento del Tribunale di Torino è conforme a tali principi giuridici, in quanto ha analiticamente valutato il contenuto delle diverse sentenze, oggetto dell’istanza di applicazione dell’istituto di cui all’art. 671 c.p.p., ha evidenziato i punti di difformità, ha ricostruito, sulla base delle stesse, le condotte poste a fondamento delle diverse condanne, le loro modalità di commissione, l’elemento soggettivo che ha sorretto ciascuna di esse, le causali dei vari reati, il contesto in cui essi si collocano.
Dopo questa disamina, con motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici e, conseguentemente, non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto di non ravvisare l’unicità del disegno criminoso, tenuto conto della diversità dei beni giuridici lesi ovvero del lasso di tempo intercorso tra i reati della stessa indole.
La prova dell’identità del disegno criminoso di cui all’art. 81 cpv. c.p., deve essere tanto più rigorosa, quanto più distanti tra loro nel tempo sono le condotte antigiuridiche.
Inoltre, quando i reati si siano verificati a distanza temporale l’uno dall’altro, si deve fondatamente presumere, salvo prova contraria – nel caso concreto non fornita e non emergente dalle sentenze – che la commissione di ulteriori fatti delittuosi, anche analoghi per modalità e nomen iuris ai precedenti, non poteva essere progettata specificamente quando fu commesso il delitto originario.
D’altra parte l’identità del movente non è, di per sè, sufficiente a configurare l’unicità del disegno criminoso, che non va confuso con il generico proposito di commettere reati o con la scelta di una condotta di vita fondata sul delitto (Sez. 1^, 12 marzo 1996, n. 785).
Non legittimano, pertanto, la presunzione di medesimezza del disegno criminoso nè l’omogeneità delle varie violazioni della legge penale nè la permanenza del proposito criminoso. Tali elementi, infatti, sono indicativi unicamente del movente sotteso ai reati posti in essere, ma non costituiscono di per sè prova della originaria ideazione e deliberazione di tutte le violazioni nei loro caratteri essenziali, sintomatiche dell’istituto della continuazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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