Cass. pen., sez. I 27-01-2009 (16-01-2009), n. 3746 Notifica della sentenza al difensore d’ufficio – Effettiva conoscenza, per ciò solo, da parte dell’imputato – Conoscenza effettiva del procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1. Il 12 aprile 2008 il Tribunale di Treviso, in composizione monocratica, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da D.D.A., volta ad ottenere la declaratoria di non esecutività della sentenza emessa l’11 gennaio 2006 dalla medesima Autorità giudiziaria, con conseguente sospensione dell’esecuzione e rinnovazione della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza e, comunque, la restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso la decisione di primo grado.
Il Tribunale osservava che, all’atto dell’arresto intervenuto il (OMISSIS), D.D. aveva eletto domicilio presso il difensore d’ufficio, cui erano state effettuate le successive notifiche.
Rilevava, inoltre, che identica istanza era già stata respinta dalla Corte d’appello di Venezia con ordinanza del 14 febbraio 2008. 2. Avverso il citato provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione sia personalmente D.D. che il difensore di fiducia i quali lamentano: a) violazione dell’art. 175 c.p.p., per omesso effettiva conoscenza da parte dell’imputato del processo, attesi la non validità dell’elezione di domicilio contenuta in un verbale non sottoscritto dall’interessato, redatto dalla polizia giudiziaria dopo la scarcerazione disposta dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 121 disp. att. c.p.p., e privo degli avvertimenti previsti dall’art. 161 c.p.p., nonchè l’assenza di qualsiasi contatto con il difensore d’ufficio, comprovata dalla dichiarazione scritta rilasciata dal legale il 26 marzo 2008 e acquisita agli atti.
OSSERVA IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nel senso di seguito precisato.
1. La nuova disciplina introdotta dalla L. 22 aprile 2005, n. 60, di conversione del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, che ha modificato, tra l’altro, l’art. 175 c.p.p. riconosce al contumace il diritto alla restituzione nel termine per impugnare, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione o opposizione (art. 175 c.p.p., comma 2). Esso è preordinato a porre riparo alla mancata effettiva conoscenza del provvedimento da parte dell’imputato, qualora essa non sia il risultato di un comportamento doloso e volontario, la cui eventuale sussistenza deve essere congruamente motivata dal giudice (Cass. Sez. 2^, 21 febbraio 2006, n. 9105, Doum, rv. 233514).
Nel caso in cui, attraverso gli accertamenti compiuti, il giudice verifichi l’esistenza di entrambi i presupposti indicati dal secondo comma del novellato art. 175 c.p.p. (effettiva conoscenza e rinuncia) deve respingere la domanda, mentre, in caso contrario – ossia quando faccia difetto anche uno solo dei presupposti suindicati, come si desume dall’uso della congiuntiva e – deve restituire il richiedente nel termine per proporre impugnazione (Cass. Sez. 1^, 11 aprile 2006, n. 15543, Zaki Aziz alias Joudar Khalil, rv. 233879).
2. Il concetto di "effettiva conoscenza" del procedimento o del provvedimento deve essere inteso quale sicura consapevolezza della pendenza del processo e precisa cognizione degli estremi del provvedimento (autorità, data, oggetto), collegata alla comunicazione di un atto formale, che consenta di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si sia verificata (Cass., Sez. 1, 11 aprile 2006, ric. Zaki Aziz, alias Joudar Khalil, cit;
Cass., Sez. 1^, 9 maggio 2006, n. 20036, ric. El Aidoudi, rv. 233864;
Cass., Sez. 1^, 9 febbraio 2006, n. 14272, ric. Coppola; Cass., Sez. 2^, 14 febbraio 2006 ric. Ahmed ed altri, n. 15903).
Nella prospettiva dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, la "conoscenza effettiva" del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l’accusato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di difendersi nel "merito" (Cass., Sez. 1^, 21 febbraio 2006, Dioum B., rv. 233514). Secondo la costante giurisprudenza della Corte europea, "avvisare qualcuno delle azioni penali rivoltegli costituisce un atto giuridico di tale importanza da dover corrispondere a condizioni di forma e di sostanza idonee a garantire l’esercizio effettivo dei diritti dell’accusato", non essendo sufficiente "una conoscenza vaga e non ufficiale" (sent.
Corte eur. dir, uomo, 12 ottobre 1992, T. e. Italia; sent. Corte eur. dir. uomo 18 maggio 2004, Somogyi; sent. Corte eur. dir. uomo 9 giugno 2005, R.R. c. Italia).
Trasponendo questi principi nel nostro ordinamento è di intuitiva evidenza che, qualora, come nel caso in esame, si attribuisse valore alle comunicazioni fornite in sede di indagini preliminari (Cass. Sez. 1^, 21 febbraio 2006, n. 10297, ric. Halilovic, rv. 233515;
Cass. Sez. 2^, 25 gennaio 2006, n. 8414, ric. Perrella, rv. 233694) si rischierebbe di assimilare e sovrapporre situazioni completamente diverse e di vanificare la ratio sottesa alle decisioni della Corte europea, in quanto, sotto il profilo dell’effettività del diritto all’autodifesa, "farsi sentire" da un soggetto diverso da quello chiamato a decidere la causa e l’esercizio della "difesa" in un momento in cui l’addebito è ancora fluido e provvisorio e non vi sono obblighi di discovery da parte del pubblico ministero differiscono in modo significativo dal "diritto all’ascolto" di fronte a chi è chiamato a pronunciarsi sul merito di un’accusa tendenzialmente stabile e sulla scorta di materiale probatorio comune a tutti i soggetti.
Se l’orizzonte dell’art. 175 c.p.p., comma 2, è la sentenza contumaciale, alle cui spalle si nasconda una conoscenza non effettiva della citazione a giudizio (art. 420 bis c.p.p.), appare subito sintomatico che la L. n. 60 del 2005, abbia sostituito la prova negativa circa il deliberato sottrarsi dell’imputato alla sequenza di "atti" verso il "provvedimento" finale con la dimostrazione positiva della volontaria rinuncia a comparire:
anzichè volgersi all’indietro, sino alla prima notificazione rifuggita, la dizione normativa porta a circoscrivere la rilevanza della condotta elusiva a quel determinato atto della serie immediatamente idoneo a provocare la partecipazione dell’imputato all’udienza, ovunque la legge dia spazio alla contumacia.
A favore di tale conclusione milita anche una più attenta analisi della differenza corrente tra l’avere notizia di un (qualsiasi) atto e il prendere davvero "conoscenza del procedimento". Nell’ottica della rinuncia inequivoca a comparire si tratta di una differenza sostanziale, che induce a privilegiare il significato del termine "procedimento" legato al concetto di regiudicanda come "materia" dell’intera fattispecie giudiziaria: oggetto di formale contestazione, l’accusa funge da presupposto alla possibilità di esplicazione di ogni autodifesa. Se una simile consapevolezza dell’indagato va, quindi, esclusa nel primo contatto con gli organi investigativi, quando, come nel caso in esame, manchi la preventiva comunicazione dell’addebito, lascerebbe ugualmente insoddisfatti la conoscenza limitata ad un’accusa ancora fluida, non definita nei suoi connotati oggetti vi e soggettivi, propria della fase delle indagini preliminari.
Nonostante l’espressione apparentemente impropria di "procedimento" contenuta nel secondo comma dell’art. 175 c.p.p., è da ritenere che esso si riferisca alla fase del "processo" tecnicamente inteso, unica sede in cui trova applicazione l’istituto della contumacia e si colloca un intervento difensivo qualificato dalla presenza dell’imputato. Esiste, pertanto, una stretta e inscindibile correlazione tra "cristallizzazione" dell’accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, effettiva informazione in ordine ai fatti per cui si procede e al relativo materiale probatorio in esso contenuta, specifica scelta se comparire o meno.
In tanto la rinuncia potrà dirsi consapevolmente effettuata e, quindi, volontaria anche se tacita, in quanto il titolare del diritto sia informato in ordine a una regiudicanda ormai identica all’imputazione che accompagna la vocatio in iudicium.
3. Sulla base di quanto sinora esposto, l’esigenza di non sovrapporre la conoscenza delle comunicazioni fornite nella fase delle indagini preliminari con l’informazione dell’esercizio dell’azione penale, della citazione a giudizio (o dell’emissione di un decreto penale di condanna) può essere ulteriormente colta proprio con riferimento al secondo requisito richiesto dal secondo comma dell’art. 175 c.p.p.:
la volontaria rinuncia a comparire.
La rinuncia di cui all’art. 175 c.p.p., comma 2, può consistere in un comportamento concludente, purchè inequivoco e rigorosamente accertato dal giudice con ogni necessaria diligenza (sent. Corte eur. dir. uomo 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia; sent. Corte eur. dir. uomo, 16 ottobre 2002, Einhorn c. Francia; Cass., Sez. 1^, 9 marzo 2006, n. 14272, Coppola, rv. 233516; Cass., Sez. 3^, 1 febbraio 2006, n. 13215, Morgillo ed altri, rv. 233640; Cass., Sez. 5^, 18 gennaio 2006, n. 6381, Picuti, rv. 234003; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2005, n. 19363, Braidic, rv. 231698), come del resto desumibile anche dalla circostanza che l’accertamento dei presupposti per la restituzione nel termine non è più effettuata sulla base di ciò che "risulta dagli atti" (secondo l’originaria previsione contenuta nel D.L. 21 febbraio 2005, n. 17), ma è affidato al giudice che, a tal fine, compie ogni "necessaria verifica".
La giurisprudenza di legittimità, rifuggendo da astratte generalizzazioni e valorizzando, piuttosto, un "metodo casistico", ha individuato, quali elementi concorrenti, univocamente indicativi della conoscenza effettiva del procedimento e/o del provvedimento e della volontà di non comparire personalmente nel giudizio la nomina di un difensore di fiducia, l’elezione di domicilio presso lo stesso, l’effettività della difesa fiduciaria nel corso del processo, la notifica degli atti nel domicilio eletto (Cass., Sez. 1^, 20 giugno 2006, n. 29482, Iljazi, rv. 235237; Cass., Sez. 5^, 23 maggio 2006, n. 25618, Mosele, rv. 234369; Cass., Sez. 5^, 10 maggio 2006, n. 19907, Gherasim, rv. 233868; Cass., Sez. 3^, 2 maggio 2006, n. 33935, Semeraro, rv. 235252).
Ritenere che la rinuncia possa essere espressa mediante comportamenti concludenti non significa, però, ammettere presunzioni fondate su una conoscenza indiretta dell’apertura di un procedimento per poi inferire da esse una "volontaria" assenza dal processo: la rinuncia tacita deve consistere in un comportamento incompatibile con l’esercizio del diritto di partecipare al proprio processo preceduta, almeno, da una comunicazione all’imputato, che, secondo la Corte europea, può essere fornita anche al difensore, qualora l’imputato abbia eletto domicilio presso quest’ultimo.
In tale prospettiva, l’avviso deve contenere le imputazioni contestate, la data del processo e l’indicazione delle conseguenze cui il soggetto va incontro in caso di mancata presentazione all’udienza fissata, così da metterlo in condizione di scegliere "consapevolmente" come esercitare il proprio diritto di difesa (Cass. Sez. 4^, 19 giugno 2006, n. 29977, Hudorovic, rv. 235238; Cass., Sez. 2^, 23 giugno 2005, n. 25041, Kellici, rv. 231887).
Poichè il rimedio di cui all’art. 175 c.p.p., comma 2, è riservato all’imputato contumace, per tale dovendosi intendere solo colui che non si è presentato senza avere addotto un legittimo impedimento, la condotta elusiva, per assumere rilievo, deve essere correlata al provvedimento idoneo a provocare la partecipazione al processo e, quindi, all’unico momento processuale in cui rileva la contumacia stessa.
Conferendo centralità alla garanzia di partecipazione al dibattimento e al significato degli interventi della Corte europea e prescindendo dai tecnicismi evocati dal termine "procedimento", si può affermare il seguente principio di diritto: la restituzione in termini può essere negata solo al soggetto che abbia avuto effettiva conoscenza del "processo" – per tale dovendosi intendere la regiudicanda ormai identica ali ‘imputazione che accompagna la vocatio in iudicium " – a proprio carico e abbia deciso di non intervenire rinunciando al diritto di essere presente e di essere ascoltato dal giudice chiamato a decidere.
4. Il provvedimento impugnato non appare conforme ai principi in precedenza enunciati.
Innanzitutto ha erroneamente ritenuto che, ai fini del diniego della istanza di restituzione nel termine, la conoscenza degli atti del "procedimento" (nel caso in esame il verbale di arresto) sia equivalente alla conoscenza del "processo", introdotto da una formale vocatio in iudicium – contenente l’imputazione contestata, la data del processo e l’indicazione delle conseguenze derivanti dalla mancata presentazione all’udienza fissata – funzionale a tutelare il diritto dell’imputato alla presenza nel dibattimento, in cui il metodo del contraddittorio è lo strumento per la formazione della prova destinata a essere utilizzata ai fini della decisione e in cui la partecipazione dell’imputato riveste un’importanza fondamentale sia per il suo diritto di essere ascoltato sia per confrontare le sue affermazioni con quelle dei testimoni (sent. Corte uro. Dir. uomo, 24 marzo 2005, Stoichov c. Bulgari e 31 marzo 2005, Mariani c. Francia).
Inoltre, nella prospettiva della volontaria rinuncia a comparire (art. 175 c.p.p., comma 2), ha erroneamente attribuito rilievo ad una condotta elusiva non correlata ad un provvedimento idoneo a provocare la partecipazione dell’imputato al processo tecnicamente inteso come unico momento in cui rileva la contumacia.
5. Il provvedimento impugnato è viziato anche sotto un ulteriore profilo, quello concernente il valore delle notificazioni del processo effettuate al difensore d’ufficio dell’imputato.
L’occasio legis ed i considerata costituenti la premessa del D.L. n. 17 del 2005, poi convertito nella L. n. 60 del 2005, costituiscono elementi fondamentali per l’interpretazione della nuova disciplina, che è stata emanata a causa dell’urgenza di armonizzare la legislazione italiana al nuovo sistema di consegna del condannato tra gli Stati dell’Unione europea, che consente alle autorità giudiziarie degli Stati membri di rifiutare l’esecuzione del mandato di arresto europeo in base ad una sentenza di condanna in contumacia, ove non sia garantita – sempre che ne ricorrano i presupposti – la possibilità di un nuovo processo.
Da qui la necessità, per il nostro ordinamento, di meglio adeguare il nuovo regime di impugnazione tardiva dei provvedimenti contumaciali ai principi di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e, conseguentemente, di introdurre anche nuove disposizioni in materia di notificazione all’imputato e di elezione di domicilio da parte della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato, i quali abbiano nominato un difensore di fiducia (art. 157 c.p.p., comma 8 bis, onde corrispondere più adeguatamente al principio di ragionevole durata del processo.
In tale ambito il legislatore ha introdotto, innanzitutto, un allargamento delle ipotesi in cui è ammessa l’impugnazione tardiva della sentenza contumaciale, sostituendo alla prova della non conoscenza del procedimento – che in precedenza doveva essere fornita dal condannato – una sorta di presunzione iuris tantum di non conoscenza, ponendo a carico del giudice l’onere di reperire negli atti l’eventuale prova in contrario e, più in generale, l’onere di effettuare tutte le verifiche occorrenti al fine di accertare se il condannato abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire (Cass., Sez. 1, 6 aprile 2006, n. 16002, Latovic, rv. 233615).
La nuova disciplina ha, quindi, introdotto una vera e propria inversione dell’onere probatorio, nel senso che non spetta più all’imputato dimostrare di avere ignorato l’esistenza del procedimento o del provvedimento senza sua colpa, ma è il giudice dell’esecuzione che deve provare, sulla base degli atti di causa, che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e che abbia volontariamente rinunciato a comparire (Cass., Sez. 1^, 21 febbraio 2006, n. 10297, Halilovic, rv. 233515;
Cass. Sez. 1^, 2 febbraio 2006, n. 7403, Russo, rv. 233137; in senso contrario, peraltro, Cass., Sez. 5^, 19 settembre 2005, Alvaro, rv.
233206; Cass., Sez. 5^. 18 gennaio 2006, n. 6381, Picuti, cit).
Il novellato art. 175 c.p.p., non ha, però, inficiato la presunzione di conoscenza derivante dalla rituale notificazione dell’atto, limitandosi, infatti, ad escluderne la valenza assoluta e imponendo al giudice di verificare l’effettività della conoscenza dell’atto stesso e la consapevole rinuncia a comparire/impugnare (Cass., Sez. 1., 1 marzo 2006, n. 14265, Bidinost, rv. 233614; Cass., Sez., 2^, 21 febbraio 2006, n. 9104, Colonna, rv. 233611).
Ne consegue che, fermo restando il valore legale delle notificazioni ritualmente effettuate in conformità con le disposizioni vigenti, è necessario, alla luce delle modifiche apportate all’art. 175 c.p.p., che il giudice espliciti le ragioni per le quali una notificazione validamente eseguita alla stregua del vigente sistema codificato debba ritenersi dimostrativa della effettiva conoscenza da parte dell’interessato. Il giudice, quindi, è chiamato a fornire compiuta, puntuale e logica motivazione in ordine alle circostanze dedotte dall’interessato, il quale alleghi di non avere avuto conoscenza dell’atto, e, qualora ritenga di disattenderle, ai motivi per i quali esse non meritano accoglimento (Sez. 1^, 6 aprile 2006, Latovic, cit.; Sez. 3^, 12 aprile 2006, n. 17761, Ricci; Cass., Sez. 5^, 18 gennaio 2006, n. 6381, Picuti). Una conclusione del genere non confligge con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale ha avuto modo di chiarire che tutti i sistemi conoscono presunzioni di fatto e presunzioni di diritto e che nella Convenzione non sussistono, in proposito, ostacoli di principio, ma è soltanto contemplato l’obbligo degli Stati contraenti di "non oltrepassare al riguardo una soglia ragionevole". (Cass. Sez. 1, 1 marzo 2006, n. 14265, Bidinost, rv.
233614).
In tale contesto il legislatore ha finito con il riconoscere implicitamente l’intrinseca debolezza delle cosiddette "presunzioni di conoscenza" legate alle notificazioni effettuate a norma dell’art. 161 c.p.p., comma 4, e art. 165 c.p.p., a mani di un difensore nominato d’ufficio all’imputato processato in contumacia, in quanto irreperibile o latitante.
Si deve, pertanto concludere che tali notificazioni al difensore d’ufficio siano, di per sè, inidonee a dimostrare l’effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento in capo all’imputato, salvo che la conoscenza non emerga aliunde ovvero non si dimostri che il difensore d’ufficio è riuscito a mettersi in contatto con l’assistito e ad instaurare con lo stesso un effettivo rapporto professionale con lui (Cass., Sez. 2^, 18 gennaio 2006, Casale, rv.
233224; Cass., Sez. 1^, 21 febbraio 2000, Halilovic. cit.).
Di conseguenza deve essere affermato il seguente principio di diritto: non può farsi discendere dalla mera notifica dell’estratto contumaciale della sentenza a mani del difensore d’ufficio l’effettiva conoscenza da parte dell’imputato contumace, qualora la stessa non sia desumibile aliunde (in senso conforme Cass. Sez. 1^, 5 aprile 2006, Latovic, cit.; Cass., Sez. 1^, 18 gennaio 2006, n. 3998, Velinov, rv. 233351; Cass., Sez. 1^, 12 luglio 2006, n. 32678, Somogyi, rv. 235036).
Pertanto, ai fini della decisione sull’istanza di restituzione nei termini per l’impugnazione di una sentenza contumaciale, la notifica eseguita al difensore d’ufficio domiciliatario non è presuntivamente equiparabile a quella effettuata all’imputato personalmente, soprattutto se, come nel caso in esame, sia stata acquisita agli atti la dichiarazione scritta del legale di non essere stato in grado di stabilire alcun effettivo rapporto con l’assistito.
Per tutte queste ragioni s’impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame al Tribunale di Treviso che, ai sensi dell’art. 627 c.p.p., comma 3, dovrà uniformarsi ai principi di diritto in precedenza enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Treviso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *