Cass. pen., sez. II 27-01-2009 (21-01-2009), n. 3709 Norme transitorie – Pendenza del processo in grado di appello – Lettura del dispositivo della sentenza di primo grado.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza in data 8.5.2001, il Tribunale di Trento, fra l’altro, dichiarò B.A. responsabile dei reati di usura di cui ai capi 1 (in danno di Bu.Iv.) e 2 (in danno di N. F.), unificati sotto il vincolo della continuazione e lo condannò alla pena di anni 2 mesi 2 di reclusione e L. 10.000.000 di multa.
L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale di L. 20.000.000 a favore della parte civile Bu.Iv., oltre alla rifusione delle spese.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Trento, con sentenza del 30.4.2003, confermò la decisione di primo grado con riferimento a B.A..
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo vizio di motivazione.
Erano state presentate in primo grado memorie (e sono richiamate come parte del ricorso quelle in data 8.2.2001 e 4.5.2001) che rappresentavano una serie di questioni basate su elementi oggettivi che, ad avviso del ricorrente, sconfessavano la versione di Bu..
Le questioni furono riproposte alla Corte territoriale e fu depositata un’ulteriore memoria in data 26.11.2002.
La Corte d’appello non avrebbe tenuto alcun conto di tali elementi e la motivazione della sentenza non ha verificato se le dichiarazioni di Bu. trovassero conforto nel numero di assegni emessi tra le parti e con i tempi di emissioni delle cambiali che sconfesserebbero Bu..
Si ignora che Bu. (o per lui l’amica Be.) incassò dall’aprile all’agosto 1998 assegni emessi dal B. per L. 57.200.000 e ciò sarebbe incompatibile con l’assunto che Bu. avesse debiti da pagare al B. e che non avesse più ricevuto denaro dopo il marzo 1998.
Tali pagamenti sarebbero stati collegati alla compravendita di autovetture che Bu. ha negato, venendo sconfessato dagli atti.
La sentenza ha trascurato tali elementi così come le vicende Brol e Mistorigo, la documentazione relativa alla vendita del Vitara ad altre auto compravendute e non pagate.
Neppure sarebbe stato valutato che gli assegni dati in garanzia dalla Be. non ammontavano a 55 milioni, ma 107,5 milioni.
Sarebbe implausibile la scelta della Corte territoriale nella ricostruzione dei fatti, appoggiandosi a tutte le dichiarazioni di Bu. senza alcun ordine di distinzione logica e non spiegando perchè sarebbero irrilevanti le illogicità, discordanze e l’inattendibilità di Bu., smentito in ordine al periodo dei prestiti usurari, pregiudicato per truffe e quale mandante di rapina e tentato omicidio.
Bu. avrebbe truffato l’imputato con cambiali non onorate (anche emesse dal padre) e poi nella causa civile ha accusato l’imputato di usura.
La Corte d’appello ha ritenuto che le modalità con le quali sarebbero maturati i rapporti usurari fossero la consegna di capitale decurtato di interessi, con scambio di assegno post datato per il rientro della differenza, scambio di denaro con assegno post datato e pagamento della differenza in contanti e scambio di assegno laddove quello di ritorno era corrispondentemente maggiorato.
In realtà nessuna di queste modalità sarebbe stata riferita da Bu. che ha riferito altri meccanismi.
Inoltre la Corte territoriale ha ritenuto che il meccanismo fosse proseguito con le auto date in garanzia, ma Bu. avrebbe affermato che la compravendita di autovetture era esterna al rapporto di prestito ed ha negato l’esistenza delle auto, anche quando ne è stata dimostrata l’esistenza.
La sentenza sarebbe illogica laddove afferma che Bu. appianava i debiti con il ricavato della vendita delle auto, giacchè se così fosse non sarebbero state emesse le cambiali e non avrebbe avuto senso che ricorresse a prestiti se aveva macchine da vendere.
In realtà vi sarebbero state compravendite di autovetture che Bu. non pagò.
Sarebbe errata (poichè in contrasto con l’emissione delle prime cambiali nell’ottobre 1997) la ricostruzione della Corte d’appello secondo la quale dopo che per otto mesi erano stati corrisposti rilevanti somme di denaro sarebbero state emesse cambiali per L. 54.000.000 a copertura di un residuo debito.
Inoltre gli assegni consegnati a B. erano per 107.500.000 (di cui 73.500.000 insoluti) e non 50.000.000.
I debiti sarebbero stati pari all’importo globale delle cambiali e non vi sarebbe stata usura.
Le operazioni bancarie di B. sarebbero giustificate dalle sue attività e da un’eredità.
Una perizia contabile consentirebbe la ricostruzione dei fatti ed i passaggi di circa 20 autovetture darebbero conto di cifre fra i 300 ed i 400 milioni di lire, di cui 185.000.000 non onorati.
Non sarebbe vero che le dichiarazioni di B. si armonizzerebbero con quelle di Bu..
Secondo la Corte d’appello le dichiarazioni di Bu. sarebbero riscontrate da quelle di Be.Fr. che però sono state riportate in modo incompleto.
Sarebbe malevola l’interpretazione data dalla Corte territoriale del fatto che B. cercò di contattare il Be. e la scelta di avviare un’azione civile dovrebbe essere considerata.
Mai al legale Bu.Iv. o Bu.Gi. parlarono di interessi usurari.
Inoltre Be. ha riferito dell’assegno di 13 milioni in cambio di uno di 10 milioni, ma ha precisato di ignorare se vi fossero altri rapporti fra B. e Bu. ed ha parlato di compravendite di autovetture fra i due.
Non sarebbero riscontro i fatti relativi alla vicenda D.R. – Be. nè l’ammontare del giro di cambiali indicato dal Maresciallo C..
Il teste Co. sarebbe ignavo.
La sentenza impugnata non ha condotto un esame accurato di tutti gli elementi a disposizione ed in particolare di quelli che si pongono in contrasto con le prospettazione accusatoria.
Inoltre non avrebbe risposto alle deduzioni difensive e con il ricorso "si insiste per la richiesta di rinnovamento dell’istruzione dibattimentale ex art. 603 c.p.p., nello specifico attraverso le forme della perizia contabile".
Quanto al capo 2 di imputazione sarebbe incredibile che due persone legate da profonda ed intima amicizia come B. e N. (testimone di nozze di B.) possano aver dato il destro per interpretare i fatti in termini di usura e che N. abbia subito minacce tali da rendere utilizzabili le precedenti dichiarazioni ai sensi dell’art. 500 c.p.p., comma 4.
Si insiste perchè " N.F. venga risentito in maniera più chiara di quanto non sia avvenuto nel dibattimento di primo grado".
La valutazione secondo la quale N. sarebbe stato minacciato si fonderebbe solo sulla difformità fra la dichiarazione 29.10.1999 (immediatamente sconfessato da N. che non firmò il verbale) e le altre.
In difetto dei presupposti per l’applicazione dell’art. 500 c.p.p., comma 4 le dichiarazioni di N. sarebbero inutilizzabili.
Con memoria in data 2.1.2009 il difensore del ricorrente deduceva quale nuovo motivo l’intervenuta prescrizione del reato in virtù della nuova disciplina.
Il ricorso è inammissibile perchè, sotto il profilo della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione tenta di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito ed inoltre è manifestamente infondato.
La natura del controllo demandato alla Corte di cassazione può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.
Poichè il ricorso è antecedente alla modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) introdotta con L. n. 46 del 2006, avrebbero potuto essere dedotti motivi nuovi, ai sensi dell’art. 10, comma 5 della citata, indicando specificamente gli atti rispetto ai quali far valere il nuovo vizio introdotto dalla modifica citata, che è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati.
Sarebbe stato possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.
Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.
Ciò peraltro può valere nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.
Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.
Nel caso in esame non solo non sono stati presentati tempestivamente motivi nuovi nel senso sopra precisato, ma viene invece proposta una integrale rilettura degli elementi di prova allegando una ricostruzione alternativa a quella effettuata dai giudici di merito.
E’ manifestamente infondata la doglianza secondo la quale non sarebbero stati esaminati e confutati tutti gli elementi dedotti dalla difesa.
Infatti va ricordato che secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "anche nella vigenza del nuovo codice di procedura penale vale il principio secondo cui il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione sol perchè il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poichè ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità.
Esso è configurabile, invece, unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata". (Cass. pen., sez. 1^ sent. 6922 del 11.5.1992 dep. 11.6.1992 rv 190572).
Nel caso in esame invece si propone, come si è detto una lettura alternativa a quella effettuata dai giudici di merito delle risultanze processuali complessive.
La Corte territoriale ha precisato che le uniche dichiarazioni di Bu.Iv. utilizzabili ai fini della decisione sul capo 1 erano quelle rese in dibattimento e quelle utilizzate per le contestazioni (ai limitati fini per i quali tale utilizzo è consentito) ed ha riassunto tali dichiarazioni, ricostruendo i fatti nei termini censurati nel ricorso.
Peraltro ha svolto considerazioni critiche sulla versione di B., fallito e già operatore nel settore della macellazione delle carni, rilevando l’inverosimiglianza del fatto che egli commerciasse in autovetture solo con Bu..
In tale argomentazione non si ravvisa alcuna illogicità manifesta che la renda sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
In ordine alla mancata effettuazione di una perizia, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, "nel dibattimento del giudizio di appello la rinnovazione di una perizia può essere disposta solo se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, e in caso di rigetto della relativa richiesta di parte, il giudizio del giudice di appello, allorquando sia logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in cassazione, trattandosi di giudizio di fatto". (Cass. Sez. 1^ sent. n. 06911 del 29.4.1992 dep. 11.6.1992 rv 190555).
Nella specie la Corte territoriale ha ritenuto che le basi documentali e cartolari fossero state "sovente erette a paravento delle illegittimità" (p. 15 sentenza impugnata), così implicitamente disattendendo la richiesta di rinnovazione del dibattimento al fine di effettuare una perizia, in maniera non manifestamente illogica.
Quanto all’applicazione, in relazione al capo 2, dell’art. 500 c.p.p., comma 4 la doglianza è manifestamente infondata.
Secondo l’orientamento di questa Corte (Sez. 1^, sent. 37066 del 6.4.2004 dep. 21.9.2004 rv 229701) "A norma dell’art.. 500 c.p.p., commi 3, 4 e 5 è legittimo, ai fini della valutazione della credibilità del testimone, il giudizio comparativo tra dichiarazioni procedimentali e dichiarazioni dibattimentali divergenti.
Le dichiarazioni testimoniali rese in fase di indagini possono concorrere a formare, ai sensi dell’art. 500 c.p.p., comma 4 il legittimo convincimento del giudice e possono dunque essere acquisite e valutate ai sensi della norma citata, se sia ritenuta la sussistenza di elementi concreti indicativi di subite pregresse intimidazioni da parte del testimone". (Fattispecie in cui gli elementi concreti dell’intimidazione sono stati desunti dal comportamento processuale del testimone e dall’incongruità delle sue affermazioni in sede dibattimentale, che hanno trovato supporto nei verbali di atti d’indagine del P.M. o della difesa, non ancora formalmente acquisiti, in considerazione della libertà delle forme di accertamento consentite al giudice, che non va confuso con un giudizio incidentale su reati di minaccia, violenza o subornazione nei confronti di specifici responsabili).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
L’inammissibilità del ricorso comporta l’inammissibilità dei motivi nuovi.
Peraltro il Collegio osserva che non possono trovare applicazione le norme sulla prescrizione del reato dal momento che – secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte – l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., ovvero alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (cfr., Cass. Sez. Un., sent. n. 21 del 11.11.1994 dep. 11.2.1995 rv 199903; Cass. Sez. Un., sent. n. 32 del 22.11. 2000 dep. 21.12.2000 rv 217266).
Va inoltro ricordato che non si applica la nuova disciplina relativa alla prescrizione in virtù della disciplina transitoria.
Poichè la Corte costituzionale, con sentenza 23 novembre 2006, n. 393, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo della L. 5 dicembre 2005, n. 251, l’art. 10, comma 3 limitatamente alle parole "dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonchè", ne consegue che tale disposizione transitoria continua ad applicarsi ai giudizi pendenti in appello ed cassazione.
Questa Corte ha del resto chiarito che ai fini dell’applicazione della disposizione transitoria menzionata è sufficiente che sia intervenuta la lettura del dispositivo della sentenza di primo grado (v. Cass. Sez. 6^ sent. n. 1574 del 20.11.2007 dep. 11.1.2008 rv 240156).
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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