Cass. pen., sez. VI 27-01-2009 (14-01-2009), n. 3531 Impugnazione avverso provvedimento applicativo o confermativo della custodia cautelare – Revoca della custodia nelle more del procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Perugia ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di G.L. avverso l’ordinanza in data 23-7-2008, con la quale il GIP dello stesso Tribunale ha respinto l’istanza di revoca o sostituzione della misura degli arresti domiciliari, applicata nei confronti dell’indagato (direttore dell’area ambiente e territorio della provincia di Perugia) dal Tribunale del Riesame, con provvedimento del 30-6-2008, in sostituzione dell’originaria misura della custodia cautelare in carcere disposta dal GIP con ordinanza del 10-6-2008, in relazione a più episodi di turbativa d’asta e assegnazione di appalti pubblici, nell’ambito di una complessa indagine che ha riguardato la gestione e assegnazione degli appalti pubblici da parte della locale amministrazione provinciale.
Ricorre il G., a mezzo del suo difensore, lamentando con un primo motivo la violazione di legge e il difetto o illogicità della motivazione, in riferimento alla pretesa persistenza di gravi indizi di colpevolezza. Rileva, in particolare, che il Tribunale ha errato nel ritenere l’insussistenza di elementi di novità rispetto alle precedenti pronunce denegatorie delle istanze avanzate dalla difesa, non avendo tenuto conto dei numerosi interrogatori effettuati dal P.M. nel prosieguo delle indagini, dai quali è risultata l’estraneità dell’indagato ai fatti addebitatigli.
Il giudice di appello, inoltre, non ha preso in considerazione le deduzioni svolte dalla difesa nella memoria del 26-6-2008 riguardo alla oggettiva impossibilità dei fatti ipotizzati al capo 11), concernenti la preventiva decisione, da parte dei concorrenti nel reato, delle ditte da invitare alla gara di (OMISSIS), trattandosi di gara "aperta", e cioè effettuata mediante bando pubblico.
In relazione a tale gara, d’altro canto, il G. non rivestiva nemmeno la carica di responsabile unico del procedimento.
Con Io stesso motivo, il ricorrente denuncia, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, l’insussistenza del rischio di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato, avendo la Provincia di Perugia, a seguito dell’arresto dell’indagato, emesso nei suoi confronti provvedimento di sospensione dal servizio e di revoca dall’incarico di direttore responsabile dell’area ambiente e territorio e di dirigente responsabile del servizio difesa e gestione idraulica dell’Ente.
Con un secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 2 e del difetto di motivazione, non avendo il Tribunale valutato la possibilità, per il G., di usufruire, in caso di condanna, della sospensione condizionale della pena.
Con memoria depositata l’8-1-2009 il difensore ha chiesto l’accoglimento del ricorso anche in ragione della intervenuta scadenza dei termini per le indagini preliminari, che non consentendo il compimento di ulteriori attività istruttorie, porta ad escludere la sussistenza di esigenze cautelari connesse al pericolo di inquinamento probatorio.
DIRITTO
Dagli atti risulta che l’indagato in data 11-9-2008, e cioè dopo la presentazione del ricorso in esame, è stato rimesso in libertà per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Secondo un principio consolidato in giurisprudenza, l’interesse dell’indagato ad ottenere una pronuncia in sede di impugnazione dell’ordinanza che impone la custodia cautelare permane anche nel caso in cui essa sia stata revocata nelle more del procedimento incidentale "de libertate", solo se la decisione di annullamento della misura possa costituire per l’interessato, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 2, presupposto del diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita ingiustamente; il che può verificarsi esclusivamente nelle ipotesi in cui il provvedimento coercitivo sia stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. (Cass. Sez. Un. 12-10-1993 n. 20; Cass. Sez. Un. 13-7-1998 n. 21).
Corollario di tale principio è che l’interesse all’impugnazione di un provvedimento coercitivo dopo la cessazione della misura cautelare non permane quando l’impugnazione è diretta ad ottenere una decisione sulla sussistenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p., o sulla scelta tra le diverse misure possibili ai sensi dell’art. 275 c.p.p., in quanto si tratta di cause di illegittimità inidonee a fondare il diritto di cui all’art. 314 c.p.p., stante la tassatività della formulazione della norma citata, che si riferisce esclusivamente alle condizioni di applicabilità delle misure di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p. (Cass. Sez. 6, 15-11- 2006 n. 9943; Cass. Sez. 6, 26-5-2004 n. 37894).
Nel caso di specie, in applicazione degli enunciati principi, deve ritenersi la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente ad ottenere una pronuncia sui motivi di impugnazione concernenti le esigenze cautelari.
Ad analoghe conclusioni, peraltro, deve pervenirsi anche con riferimento ai motivi di ricorso riguardanti la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.
Come è stato precisato da questa Corte, infatti, anche quando viene contestata la sussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari, è necessaria la verifica dell’attualità e della concretezza dell’interesse all’impugnazione, tenuto conto che l’art. 568 c.p.p., comma 4, richiede, come condizione di ammissibilità di ogni impugnazione, la sussistenza di un interesse che abbia tali caratteri, sia cioè diretto a rimuovere un effettivo pregiudizio che la parte asserisce di aver subito con il provvedimento impugnato;
interesse che deve persistere sino al momento della decisione.
Orbene, in caso di revoca o di perdita di efficacia, nelle more del giudizio di Cassazione, della misura impositiva della custodia cautelare, il carattere dell’attualità e della concretezza dell’interesse ad impugnare può essere riconosciuto a condizione che la parte manifesti, in termini positivi ed univoci, la sua intenzione a servirsi della pronuncia richiesta in vista dell’azione di riparazione per l’ingiusta detenzione; intenzione che, naturalmente, nel giudizio in Cassazione, può essere comunicata dal difensore direttamente in udienza ovvero attraverso memorie scritte (Cass. Sez. 15-11-2006 n. 9943; Cass. Sez. 6, 16-10-2007 n. 38855).
In proposito, è stato ulteriormente puntualizzato che a tale scopo non può ritenersi sufficiente la generica richiesta di trattazione del ricorso, formulata in udienza dal difensore sul presupposto che l’indagato starebbe valutando se agire per la riparazione per la ingiusta detenzione. Occorre, invece, che la volontà di agire in tal senso da parte dell’interessato sia reale e non meramente ipotetica, risulti con certezza e sia documentata in modo idoneo (Cass. Sez. 6, 22-5-2008, Arturi).
Nella fattispecie in esame, non risulta una sicura e documentata manifestazione di volontà dell’interessato diretta alla utilizzazione della decisione al fine della proposizione dell’azione di riparazione ex art. 314 c.p.p., apparendo troppo labile, al riguardo, il generico riferimento compiuto in sede di discussione dal difensore alla possibilità per il suo assistito di avvalersi in futuro, a tale scopo, della pronuncia da emanarsi in questa sede poichè, infatti, la domanda di riparazione per ingiusta detenzione costituisce atto personale della parte che l’abbia indebitamente sofferta, e non atto del difensore con procura, in quanto l’art. 645 c.p.p., comma 1, richiamato dall’art. 315 c.p.p., prevede che essa sia presentata personalmente o per mezzo di procuratore speciale, al fine di vagliare la persistenza di un concreto e attuale interesse all’impugnazione non può prescindersi da un più marcato riferimento alla intenzione espressa, in termini concreti ed effettivi dall’indagato; il che, nel caso in esame, non si evince dagli atti.
Poichè il venir meno dell’interesse, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, non configura un’ipotesi di soccombenza nei confronti del ricorrente non va emessa alcuna pronuncia pregiudizievole ex art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta mancanza di interesse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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