Cass. pen., sez. II 22-12-2008 (02-12-2008), n. 47630 Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi – Reato istantaneo – Reato permanente

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
Con sentenza n 187/2006 la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza resa in data 17.9.2001 dal Tribunale di Reggio Calabria con la quale A.C. era stato dichiarato colpevole "a) del delitto di cui agli artt. 633 e 639 bis c.p. per avere al fine di trame profitto, occupato suolo di proprietà demaniale (parte del greto (OMISSIS), lungo l’argine sinistro); b) del delitto di cui agli artt. 632 e 639 bis c.p. per avere, mediante la condotta di cui al capo A) tra l’altro, spianando parte dell’argine del torrente, immutato lo stato dei luoghi di proprietà demaniale.
In (OMISSIS)" e condannato alla pena di mesi cinque di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, riuniti i reati sotto il vincolo della continuazione.
A fronte delle doglianze mosse dall’appellante avverso la sentenza di primo grado, la Corte di appello, rilevava:
– PRESCRIZIONE: doveva escludersi che i delitti in contestazione si fossero nelle more del giudizio estinti per intervenuta prescrizione, in quanto, trattandosi di reati permanenti, la definitiva consumazione si era attuata con la sentenza di condanna di primo grado;
– responsabilità: il prevenuto doveva ritenersi responsabile di entrambi i delitti contestati atteso che era stato trovato ed identificato sul posto dal m.llo M. mentre era intento al lavoro di smontaggio di un’autovettura. "Del resto, poichè furono certamente palesate dai militari le ragioni della loro presenza sul posto anche per il tramite della richiesta rivolta proprio all’ A. di mostrare l’autorizzazione amministrativa per lo svolgimento dell’attività di rottamatore (oltre che, evidentemente, le altre autorizzazioni connesse allo smaltimento dei rifiuti speciali di quell’attività, e per l’occupazione di area demaniale), questi piuttosto che riferire di non esserne in possesso, avrebbe potuto e dovuto escludere di essere il soggetto direttamente interessato alla gestione imprenditoriale dell’attività di rottamazione (magari dichiarando di essere sul posto solo quale lavoratore dipendente); ma ciò evidentemente non fece, ponendo in essere altro comportamento chiaramente concludente nel senso della riferibilità proprio a sè dell’attività di rottamazione e, per tale via, delle condotte contestate nel presente processo. Quanto poi al ricorso dell’elemento soggettivo del reato, basterà considerare che l’insediamento artigianale realizzato e soprattutto la sua allocazione (il greto del torrente (OMISSIS)) e le modalità di sua realizzazione (lo spianamento, la recinzione), sono chiaramente espressivi della coscienza e volontà delle condotte realizzate, il che rende ragione del dolo (generico) dei reati contestati".
Avverso la suddetta sentenza, il prevenuto ha interposto ricorso per cassazione adducendo i seguenti motivi:
1. Violazione di legge e delle norme in materia di prova per maturata prescrizione dei reati di cui capi a) e b): ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello, nel l’escludere che i delitti in questione si fossero prescritti, non avrebbe considerato che:
1.1. il delitto di cui all’art. 632 c.p. (modificazione dello stato dei luoghi mediante spianamento: capo B) "costituisce un’ipotesi di reato istantaneo e non già di reato permanente che si consuma nel momento di compimento delle opere abusive":
Quindi, trattandosi di reato accertato il (OMISSIS), il termine prescrizionale, alla data della decisione di secondo grado, era maturato;
1.2. anche il delitto di cui all’art. 633 c.p. (occupazione del suolo demaniale: capo A) avrebbe dovuto essere ritenuto estinto per prescrizione posto che "la natura permanente del reato non equivale a presunzione di colpevolezza nell’ipotesi in cui la contestazione sia formulata con il semplice richiamo alla data di accertamento dell’illecito (essendo) l’accusa che deve quantomeno provare la permanenza del reato nel corso del dibattimento non essendo certo necessaria la specificazione nell’imputazione degli ulteriori momenti di verifica della violazione". 2. Violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza di motivazione sull’affermazione della responsabilità: lamenta il ricorrente che, ai fini della responsabilità, non avrebbe potuto la Corte reggina, ritenere sufficiente "un’affermazione circa il "possibile" utilizzo della patente al momento del controllo essendo piuttosto indispensabile l’acquisizione dei dati relativi al documento di riconoscimento esibito (che potrebbe anche essere falso), acquisizione mai avvenuta nell’odierna vicenda processuale";
3. violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza motivazione in ordine al quantum della pena e alla mancata concessione dei benefici di legge: ad avviso del ricorrente la Corte reggina avrebbe omesso di indicare l’iter logico-giuridico seguito ai fini della conferma delle statuizione del giudice di prime cure.
Tutti i suddetti motivi vanno ritenuti manifestamente inammissibili sulla base delle seguenti considerazioni.
Primo motivo: in ordine alla censura sub 1.1., va osservato quanto segue:
– in fatto, risultano accertate, in modo pacifico, le seguenti circostanze: a) il ricorrente insediò, sul greto del torrente (OMISSIS), una vera e propria attività artigianale di rottamazione e demolizione; b) per effettuare il suddetto insediamento, spianò parte dell’argine del torrente e, successivamente, vi appose una recinzione;
– in diritto, questa Corte, con sentenza n 11690/1980, ha statuito che: "Il delitto di cui all’art. 632 c.p., è di regola reato istantaneo perchè si consuma nel momento stesso in cui si attua la modificazione dello stato dei luoghi; tuttavia, può assumere carattere permanente qualora necessiti, perchè perdurino gli effetti della modifica, una ininterrotta attività dell’agente";
– orbene, in relazione alla concreta fattispecie in esame, il reato deve ritenersi di natura permanente proprio perchè necessita di una ininterrotta attività dell’agente in quanto, il corso delle acque (in specie quando s’ingrossano a seguito di piogge), tende a modificare in continuazione il greto del fiume e, quindi, anche gli argini dove è stata collocata l’attività artigianale.
Di conseguenza, anche il ricorrente, per mantenere l’insediamento nello stesso posto (delimitato e recintato), è, necessariamente costretto, di volta in volta, a mantenere spianato l’argine per evitare che le acque, modificandolo, invadano l’insediamento artigianale rendendolo impraticabile. Il reato, pertanto, nell’ipotesi in cui consista nello spianamento del greto di un fiume sul quale è stato collocato un insediamento civile o artigianale, deve ritenersi di natura permanente. In ordine alla censura sub 1.2., va, invece, osservato:
– per pacifica giurisprudenza di questa Corte "il reato di occupazione di suolo demaniale ha natura di reato permanente e pertanto la cessazione della permanenza, qualora non sia intervenuta di fatto, coincide con la data della sentenza di primo grado" Cass. 2/1992 – Cass 630/1993;
– peraltro, come osserva correttamente il ricorrente, "deve assegnarsi valore esclusivamente processuale e non di inversione dell’onere della prova alla regola secondo cui, qualora la contestazione di un reato permanente sia formulata con il semplice richiamo alla data di accertamento dell’illecito, non occorre che vengano specificati gli ulteriori momenti di verifica della violazione. Mentre, quindi, in base a detta regola, qualora dagli atti emerga la prova che la condotta illecita è proseguita anche dopo la data dell’accertamento, il giudice può tenerne conto, anche in assenza di ulteriore contestazione, lo stesso giudice non può, invece, mancando la suddetta prova, assegnare all’imputato il compito di dimostrare che egli non ha perseverato nell’illecito ma deve piuttosto ritenere, per il principio "in dubio pro reo", che vi sia stata desistenza, assumendo quindi,come data di consumazione del reato, anche ai fini della prescrizione, quella dell’accertamento";
Cass. 10640/1999 – 4273/2002 – 13265/2002 – 774/2004 – 25578/2007;
– dalla motivazione della sentenza impugnata, però, non risulta che il ricorrente, avesse proposto, come specifico motivo di gravame rispetto alla sentenza del Tribunale, la suddetta censura;
– di conseguenza, la doglianza deve ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3 ultima parte non trattandosi di una questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo ex art. 609 c.p.p.: infatti, dipendendo la qualificazione giuridica del reato come permanente o istantaneo da un mero accertamento di fatto, mai oggetto di alcun dibattito nei precedenti gradi del giudizio di merito, la relativa questione non può essere sollevata, per la prima volta, nel giudizio di legittimità;
Secondo motivo: la censura deve ritenersi manifestamente infondata alla luce della coerente, logica ed ineccepibile motivazione addotta dalla Corte la quale ha ritenuto "indubbia la presenza dell’ A. sul luogo al momento dell’accesso dei carabinieri (il teste non ha invero manifestato alcun dubbio in ordine al fatto di averlo compiutamente identificato ed a mezzo di un documento di identità, avendo piuttosto riferito che gli "sembrava" di ricordare si trattasse di una patente)".
La doglianza, pertanto, è fuorviante rispetto alla ratio decidendi in quanto l’unico dubbio mostrato dal maresciallo non fu relativo all’identità del ricorrente ma al documento da questi mostrato, circostanza, con tutta evidenza, del tutto ininfluente ed irrilevante.
Terzo motivo: anche la suddetta censura deve ritenersi manifestamente infondata in quanto la Corte reggina, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, nel confermare la pena irrogata dal Tribunale, ha congruamente ed esaustivamente motivato osservando che "invero la pena complessivamente comminata (peraltro in misura nient’affatto malevola in relazione ai suoi ambiti edittali base ed all’aumento della continuazione) appare senz’altro congrua avuto riguardo all’entità del reato continuato accertato ed al coefficiente di colpevolezza del condannato, laddove la mancata concessione delle attenuanti generiche trova ampia ragione nella biografia penale dell’imputato (caratterizzata da precedente per grave delitto)".
P.Q.M.
Dichiara Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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