Cass. pen., sez. II 22-12-2008 (12-12-2008), n. 47614 Complessità del dibattimento – Perizia sulle intercettazioni – Necessità – Potere del giudice.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
Con ordinanza del 14.8.2008, il Tribunale del riesame di Potenza rigettava l’appello proposto, tra gli altri, da C.F. F., P.G., e T.A.T., imputati in stato di detenzione per numerosi reati tra i quali quelli di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e art. 416 bis c.p., avverso il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare pronunciato dal Tribunale di Matera il 29.5.2008.
Ha proposto ricorso il difensore degli imputati, deducendo violazione di legge con riferimento alla erronea applicazione dell’art. 304 c.p.p., comma 2, e mancata o insufficiente motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti della sospensione.
I motivi sono anzitutto incentrati sulla questione della perizia disposta dal giudice del merito per la trascrizione delle intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite nel corso delle indagini preliminari, questione alla quale i giudici del riesame avrebbero dato risposte illogiche e contraddittorie.
Deducono, al riguardo, i ricorrenti, che la perizia avrebbe dovuto essere disposta nel corso delle indagini preliminari; che il Tribunale di Matera non aveva in alcun modo motivato sull’indispensabilità di tale mezzo di prova e che doveva ritenersi corresponsabile dei ritardi nel compimento delle operazioni peritali, già a partire dalla scelta del perito, oberato da numerosi altri incarichi, e non sostituito quando il suo ritardo era divenuto intollerabile.
Lamentano inoltre che i giudici del riesame non abbiano esaminato il motivo concernente il cattivo uso, da patte del tribunale di Matera, del potere discrezionale in ordine alla proroga dei termini di custodia cautelare, con riferimento all’ampio ridimensionamento soggettivo ed oggettivo del costrutto accusatorio intervenuto nel corso delle indagini.
Deducono, infine, la mancata risposta del Tribunale del riesame ad alcuni motivi di appello, chiedendo, conclusivamente, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con le statuizioni consequenziali.
A sostegno del ricorso i ricorrenti hanno prodotto memoria difensiva con documenti allegati.
Premesso che è indiscutibile, nella specie, l’astratta applicabilità dell’art. 304 c.p.p., comma 2, avendo il procedimento ad oggetto la tipologia dei reati indicati dalla stessa norma, si deve anzitutto rilevare, quanto alla questione dell’opportunità che la perizia di trascrizione fosse eseguita nel corso delle indagini preliminari, che il datato precedente invocato dalla difesa (Cass. 2214/1994), è stato superato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 4, 08/07/2005 Mascia, secondo cui è legittimamente disposta la sospensione dei termini della custodia cautelare per tutti gli imputati quando la complessità del dibattimento riguardi l’espletamento di una perizia – nella specie, relativa proprio alla trascrizione delle intercettazioni – avente il carattere della necessità ed inevitabilità, riguardante la posizione anche di uno solo di essi, trattandosi di un elemento di natura oggettiva relativo al dibattimento senza distinzione tra le posizioni dei singoli imputati e rientrando nel potere discrezionale del giudice del dibattimento decidere se effettuare o meno la perizia). Del resto, il momento in cui disporre la perizia può dipendere dai più vari accadimenti processuali, senza che il codice di rito autorizzi la deduzione di conseguenze particolari dalla circostanza che la trascrizione delle intercettazioni sia eventualmente disposta in dibattimento, tanto più che, come ricordano i giudici del riesame, nel caso delle intercettazioni la prova è costituita dalle bobine di registrazione, non dalle trascrizioni, intese soltanto a convertire in segni grafici le espressioni vocali. Quanto al requisito della necessità ed inevitabilità della perizia, esso deve essere ragionevolmente inteso in termini di apprezzabile rilevanza probatoria, dal momento che l’utilizzazione in giudizio delle intercettazioni è sottoposta al consueto vaglio di ammissibilità e rilevanza proprio della fase dell’ammissione di tutte le prove nel dibattimento, mentre la valutazione dell’indispensabilità presiede a monte all’ammissibilità stessa del ricorso alle intercettazioni come mezzo di ricerca della prova (art. 267 c.p.p.).
E con riguardo ai motivi dell’ammissione, da parte del giudice del dibattimento, della prova costituita dalle intercettazioni, nulla i ricorrenti hanno positivamente dedotto, nè in questa fase, nè davanti al giudice del riesame, per consentire un congruo apprezzamento della censura, potendosi anzi rilevare che gli stessi difensori hanno in un certo senso convenuto sulla necessità della perizia, nel corso del giudizio di merito, nella misura in cui si sono opposti, come ricorda l’ordinanza impugnata, a qualunque limitazione dell’incarico peritale nella selezione delle intercettazioni rilevanti.
In ogni caso, nemmeno sotto il profilo in considerazione la motivazione dell’ordinanza impugnata presta il fianco a censura alcuna, avendo congruamente sottolineato (pag. 7), che le emergenze probatorie segnalate nelle varie ordinanze di custodia cautelare consistono in misura pressochè totalitaria nel risultato di intercettazioni telefoniche, com’è del resto frequente in processi di criminalità organizzata, dove assumono inevitabile rilievo i contatti di qualunque natura tra gli associati. Quanto alle vicende processuali relative al conferimento dell’incarico peritale, e al suo svolgimento, l’ordinanza impugnata da conto con motivazione insolitamente puntuale, completa e approfondita, di tutte le obiezioni sollevate al riguardo dai ricorrenti, intese tra l’altro a censura re presunte "responsabilità" del perito per il ritardo nel deposito degli elaborati, e dello stesso giudice di merito per avere affidato l’incarico ad un solo esperto e non ad un collegio peritale.
Obiezioni che vengono oggi riproposte dai ricorrenti, ma sostanzialmente sotto gli stessi profili di merito, con argomentazioni che non riescono mai a cogliere alcun vizio di legittimità nella motivazione del provvedimento impugnato, che alle eccezioni difensive ha dato più che esauriente risposta, rilevando, ad es., che l’unico perito incaricato era stato autorizzato ad avvalersi di numerosi collaboratori e che aveva fino a quel momento depositato ponderosi volumi di trascrizioni, e che il giudice del merito aveva pur sempre cercato di ridurre i tempi di esecuzione dell’incarico peritale senza ottenere il consenso delle difese, legittimamente negato, si intende, ma potendosi ugualmente trarre dall’accenno a tale incidente processuale, la conferma che nessuna "responsabilità" istituzionale – della quale non potrebbero essere chiamati a pagare le conseguenze gli imputati detenuti – è ravvisabile all’origine dell’allungamento dei tempi del dibattimento.
Peraltro, a fronte delle congrue motivazioni dell’ordinanza impugnata, la difesa finisce con il sollecitare approfondimenti nel merito della vicenda del tutto estranei ai limiti del giudizio di legittimità, non potendosi, in particolare, consentire, in questa sede, ad una sorta di supplemento di istruzione probatoria per verificare quanti incarichi abbia assunto il perito o, al limite, secondo quali priorità egli abbia scandito i tempi di esecuzione dei vari incarichi, o se il ritardo nel completamento della perizia oggetto del procedimento in questione, siano effettivamente dovuti a scarsa solerzia o altro ecc…
Per il resto, altrettanto logiche e coerenti appaiono le considerazioni dei giudici del riesame sugli altri presupposti del provvedimento ex art. 304 c.p.p., comma 2.
In particolare, quanto al requisito della prossimità dell’ordinanza alla scadenza dei termini di custodia cautelare, si tratta bensì di un requisito normativamente fissato dall’art. 304 c.p.p., comma 2, ma senza alcuna rigida predeterminazione di tempi, dovendosi quindi in effetti ritenere, che il provvedimento, possa essere pronunciato, come esattamente argomenta l’ordinanza impugnata, quando comunque emerga l’impossibilità di concludere il dibattimento entro la scadenza anzidetta (Cfr. Cass. Sez. 6, 1 07/05/2003 Valcarenghi, secondo cui l’ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’art. 304 c.p.p., comma 2 può essere adottata in ogni momento del dibattimento, purchè sia adeguatamente motivata in base ad una valutazione ex ante del futuro svolgimento del processo e della sua particolare complessità; sul principio che l’ordinanza ex art. 304 c.p.p., comma 2 è fondata su giudizio prognostico non sindacabile "ex post", cfr. anche Cass. Sez. 5, 23/01/2007 Manzi e altri).
Il numero di 16 imputati è poi ragguardevole, e non può essere minimizzato, comportando l’ovvia moltiplicazione degli interventi difensivi nella raccolta delle prove e nella fase della discussione, non potendosi trascurare nemmeno la precisazione dei giudici del riesame sulla necessità della valutazione incidentale, nell’analisi dei contesti associativi criminali oggetto del procedimento di merito, della posizione di numerosi altri originari coindagati poi giudicati separatamente.
Peraltro, nell’impugnata ordinanza si sottolineano non solo la complessità del procedimento di merito sotto il profilo "numerico", ma anche i tempi occorrenti per la decisione sulle prove ex art. 507 c.p.p. proposte dalle parti e per l’assunzione di quelle eventualmente ammesse, in effetti prevedibilmente non brevi, in rapporto al tempo residuo disponibile tra la pronuncia dell’ordinanza di proroga e la scadenza dei termini di custodia cautelare, che comunque anche in assoluto appare tutt’altro che ampio.
Quanto agli sviluppi processuali sottolineati dalla difesa, e che avrebbero dovuto suggerire al giudice del merito una diversa considerazione dell’opportunità di disporre la proroga, i giudici del riesame in realtà se ne occupano, rilevando l’inammissibilità della censura, in quanto proposta con motivi nuovi, e sottolineando, comunque, che si tratta di questioni del tutto estranee al thema decidendum. Ancora una volta, l’argomentazione è perfettamente condivisibile, sul piano dei principi, perchè la questione dell’affievolimento del quadro probatorio potrebbe semmai interferire con il mantenimento delle misure restrittive in relazione alla verifica dell’eventuale difetto sopravvenuto delle condizioni per la loro applicazione, ai sensi dell’art. 299 c.p.p. e ss., non con i presupposti del provvedimento regolato dall’art. 304 c.p., comma 2.
Infine, quanto ai motivi che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare, appare evidente come il percorso argomentativo dei giudici del riesame sia del tutto esauriente, e ampiamente preclusivo di ogni alternativa di giudizio, senza che i ricorrenti spieghino sotto quali profili i motivi trascurati un’alternativa di giudizio fossero suscettibili invece di determinare, in quanto non assorbiti dalle valutazioni complessive contenute nel provvedimento impugnato (cfr.
Corte di Cassazione 22/04/2008 RIC. Ferdico, secondo cui in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto. Al contrario, è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione).
Alla stregua delle precedenti considerazioni, i ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, e ciascuno al pagamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende, commisurata al grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento in solido processuali e ciascuno al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla Ammende.
Manda al cancelliere per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p.

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