Cass. pen., sez. I 22-12-2008 (02-12-2008), n. 47521 Proroga – Elementi sufficienti per disporla.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1. Con ordinanza in data 18.03.2008 il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila rigettava il reclamo proposto da R.G. (che sta espiando l’ergastolo per associazione mafiosa ed omicidio continuato) avverso il D.M. 10 dicembre 2007 applicativo nei suoi confronti, in proroga, del regime differenziato previsto dall’art. 41 bis ord. pen.. Rilevava detto Tribunale come risultasse certo, anche da recentissime informative degli organi preposti, essere il R. il capo storico della consorteria mafiosa "Sacra Corona Unita", tuttora attiva ed operante; che detto detenuto avesse mantenuto il suo ruolo apicale nonostante la detenzione; che egli conservasse pertanto capacità di mantenere contatti con gli affiliati, se non sottoposto al regime più rigoroso in questione. Infine detto Tribunale ribadiva la conseguente necessità delle singole disposizioni del decreto reclamato.
2. Avverso tale ordinanza, chiedendone l’annullamento, proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto detenuto che motivava il gravame formulando le seguenti deduzioni per violazione di legge: il provvedimento si basava principalmente su informative meramente ripetitive di notizie datate e basate sulla biografia penale di esso ricorrente; mancavano effettivi elementi sui cui fondare l’attuale capacita di mantenere contatti con la criminalità organizzata.
3. Il Procuratore Generale depositava quindi requisitoria con la quale richiedeva declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. Il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua prospettazione, deve essere dichiarato inammissibile con le dovute conseguenze di legge.
Va dapprima rilevato come, in subiecta materia, sia ammesso solo ricorso per violazione di legge, rendendosi così improponibili – in questa sede – tutti quei profili di gravame che investono non solo gli elementi in fatto, ma anche prospettati vizi di motivazione.
Vanno pertanto espunte dall’odierno esame tutte quelle deduzioni del ricorrente che, seppure qualificate nell’atto di ricorso come violazioni di legge, comunque sottendono – in realtà – sostanziale critica al substrato fattuale dell’impugnato provvedimento, ovvero al tessuto motivazionale dello stesso. Va poi ricordato come i parametri valutativi sul tema, elaborati dalla giurisprudenza di rango costituzionale e di legittimità, facciano riferimento alla perdurante operatività del gruppo criminale di riferimento, alla potenziale capacità del detenuto di mantenere contatti interni od esterni pericolosi per l’ordine pubblico, alla sua biografia penale che ne dimostri la comprovata e rilevante antisocialità, ed infine alla mancata rivisitazione critica del percorso delinquenziale (e così, dunque, rilevino la perdurante riottosità alle proposte trattamentali). Va poi rilevato come, trattandosi nella fattispecie di provvedimento ministeriale di proroga, in effetti – secondo la più volte ribadita giurisprudenza di questa Corte – non necessiti altro che l’accertamento della permanenza dell’attività della cosca di appartenenza e la mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa (cfr., in tal senso, ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 1, n. 14551 in data 03.03.2006, Rv. 233944, P.G. Di Giacomo; Cass. Pen. Sez. 1, n. 39760 in data 28.09.2005, Rv. 232684, Emmanuello; ecc.). Pertanto è sufficiente, in tal senso, la potenzialità, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario.
Ciò doverosamente ricordato, occorre concludere che l’impugnazione del R. risulta inammissibile. Ed invero il Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila ha, del tutto correttamente, condotto il suo esame sulla linea del doveroso accertamento, ex actis, della permanenza dei dati indicativi della capacità di collegamento dell’anzidetto detenuto con la criminalità organizzata, la cosca di appartenenza in particolare, altresì evidenziando i dati sui quali fondare le valutazione dell’attualità di siffatta pericolosità. A tal proposito il Tribunale di competenza, come sopra si è pur sinteticamente ricordato, ha congruamente motivato – con richiamo alle più recenti informative degli organi preposti (datate Dicembre 2006 e Dicembre 2007)- sia in ordine alla perdurante operatività del sodalizio di appartenenza, tuttora oggetto di indagini per reati di gravissima rilevanza, cosca nella quale esso R. rivestiva ruolo apicale, sia con riferimento all’impressionante biografia penale di esso ricorrente, sia ancora in relazione all’attualità del pericolo, risultando lo stesso concretamente in grado -nonostante il regime più severo in atto – di mantenere contatti con la consorteria mafiosa di appartenenza (come risulta dimostrato dall’episodio della missiva intercorsa con altro detenuto a pericolosità qualificata).
Il dato relativo agli attuali numerosi latitanti facenti capo alle stessa consorteria è convergente, quanto rilevante, per confermare l’anzidetta attuale pericolosità. Vi è dunque, ed il Tribunale correttamente ne dà conto, un’incoercibile riottosità del R. alla disciplina intramuraria, condizione che – in una con la permanente pericolosità dei ridetti collegamenti – impone la legittima applicazione, in proroga, della misura in oggetto. La motivazione impugnala, pertanto, condotta nel rispetto dei canoni di legge (come interpretati dalla giustizia costituzionale e da quella di legittimità di questa Corte), nonchè in conformità a logica argomentativa coerente e lineare, si sottrae alle non fondate censure come sopra proposte dal ricorrente peraltro su profili sostanzialmente di merito, ovvero sui risvolti motivazionali, non proponibili in questa sede. Tali sono invero (cioè di solo merito) le deduzioni del R. in relazione alla ritenuta insufficiente attualità dei riferimenti informativi (su cui la contraria motivazione del provvedimento impugnato è, peraltro, ineccepibile) ed in ordine alla condotta carceraria di esso condannato, giudizio negativo parimenti sorretto da argomentazioni immuni da censure sul piano logico-giuridico.
In definitiva il ricorso del R., manifestamente infondato in tutti i suoi proposti motivi, deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e dal versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente R. G. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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