Cass. pen., sez. VI 30-12-2008 (19-12-2008), n. 48496 Convenzione europea di estradizione – Pendenza in Italia di un procedimento per gli stessi fatti – Individuazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Venezia dichiarava sussistenti le condizioni per la estradizione verso la Confederazione Svizzera di L.P., in relazione a un provvedimento di cattura emesso in data 28 febbraio 2008 dal Procuratore pubblico di Lugano per il reato di truffa, previsto dall’art. 146 c.p. elvetico.
Rilevava la Corte di appello che non era ravvisatale alcuna preclusione all’accoglimento della domanda, regolarmente presentata dall’autorità svizzera, e, in particolare, che non poteva costituire ostacolo, ai sensi dell’art. 705 c.p.p., la presentazione di una autodenuncia da parte dello stesso L. all’autorità giudiziaria di Brescia per fatti che si prospettavano come coincidenti con quelli oggetto della domanda di estradizione, non risultando essere stata esercitata l’azione penale da parte dell’a.g. italiana.
Ricorre per Cassazione il difensore dell’estradando, avv. Antonio Bondi, il quale deduce:
1. Violazione dell’art. 705 c.p.p., posto che per lo stesso fatto, come documentalmente provato, pendeva procedimento penale a carico del L. davanti all’autorità giudiziaria di Brescia, il che, a norma della citata disposizione, costituiva un ostacolo all’accoglimento della domanda di estradizione.
In particolare, nel memoriale presentato dal L. alla Procura della Repubblica bresciana si sottolineava che i fatti di cui alla domanda di estradizione si erano svolti almeno in parte in Italia.
Ad avviso del ricorrente, il momento dal quale derivava la pendenza del procedimento penale in Italia non poteva essere individuato, come ritenuto dalla Corte di appello, in quello dell’esercizio dell’azione penale ma in quello della iscrizione del nominativo dell’indagato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., come anche si ricavava logicamente dal coordinamento di tale disposizione con quella degli artt. 8 e 9 della Convenzione europea di estradizione.
Nel merito, era incontrovertibile che una parte dell’azione si era svolta in territorio italiano.
2. Violazione dell’art. 704 c.p.p., comma 2, non avendo la Corte di appello dato seguito alla richiesta formulata dalla difesa, con l’avallo del Procuratore generale di udienza, di accertare la pendenza del procedimento penale a carico del L. presso la Procura della Repubblica di Brescia.
L’avv. Bondi ha poi depositato documentazione circa la pendenza del procedimento a carico del suo assistito presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como, a seguito di trasmissione degli atti, per competenza, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia.
Ad avviso della Corte il ricorso è infondato.
La previsione dell’art. 705 c.p.p., comma 1, secondo cui costituisce ostacolo alla pronuncia di una sentenza favorevole alla estradizione l’ipotesi in cui "per lo stesso fatto, nei confronti della persona della quale è domandata l’estradizione, … è in corso procedimento penale … nello Stato", evoca sia letteralmente sia logicamente una situazione nella quale da parte del pubblico ministero siano state assunte iniziative investigative potenzialmente finalizzate all’esercizio dell’azione penale.
Così, mentre non può dirsi che per integrare tale ipotesi occorra l’effettivo esercizio dell’azione penale (come invece afferma Cass., sez. 6, 17 maggio 2002, Stankovic), deve d’altro canto escludersi che sia sufficiente la mera iscrizione di una notitia criminis nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. (questo, appunto, era il caso preso in esame ex professo dalla citata sentenza Stankovic).
Infatti, la sola iscrizione della notizia di reato nel predetto registro, che è un atto dovuto per effetto della presentazione di una denuncia o querela o di un referto a norma dell’art. 331 c.p.p., e segg., integra una mera appostazione burocratica conseguente a tale presentazione, ma non implica che un procedimento penale sia "in corso"; prova ne sia che, senza necessità di alcun atto di indagine, alla iscrizione della notizia di reato può seguire, immediatamente, la richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero.
Occorre dunque innanzi tutto che il pubblico ministero, non ritenendo infondata, prima facie, la notizia di reato, espleti concretamente, anche per il tramite della polizia giudiziaria, formali atti di investigazione nei confronti della persona indicata come autore del reato, che solo a seguito di tale attività, tipicamente descritta dall’art. 358 c.p.p., e segg., assume la qualità sostanziale di "persona sottoposta alle indagini preliminari" (art. 61 c.p.p.).
In secondo luogo si richiede la ricognizione ad opera del pubblico ministero di un preciso addebito, che, senza necessariamente costituire atto di esercizio dell’azione penale, integri una ipotesi di provvisoria incolpazione, ai fini, ad esempio, della richiesta di adozione di misure cautelari personali (questo è il caso considerato da Cass., sez. 6, 18 ottobre 2006, Miah) o reali, o iniziative che comunque implichino l’intervento del giudice per le indagini preliminari (ad es., richieste di decreti autorizzativi di intercettazioni telefoniche, di assunzione di incidente probatorio, di proroga del termine per le indagini): solo, infatti, a seguito di simili iniziative, può dirsi che "per lo stesso fatto, nei confronti della persona della quale è domandata l’estradizione, … è in corso procedimento penale … nello Stato".
A non diversa conclusione conduce il raffronto tra la normativa interna e quella recata dalla Convenzione europea di estradizione, che, all’art. 8, nel testo in lingua francese, riferimento a un procedimento nell’ambito del quale il soggetto di cui è domandata l’estradizione si oggetto di "poursuites" per lo stesso fatto nello Stato richiesto (ovvero, nel testo in lingua inglese, "if the competent authorities of such Party are proceeding against him").
Ora, nel caso in esame, dalla stessa documentazione prodotta dal ricorrente si desume solo che il L. ha presentato autodenuncia, a quanto pare, per gli stessi fatti per cui è stata domandata l’estradizione, e che essa è stata, doverosamente, iscritta nel registro delle notizie di reato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como, senza peraltro che risulti alcuna attività di indagine concretamente espletata dal Pubblico Ministero; chè anzi, stando alla attestazione di segreteria circa le risultanze del registro delle notizie di reato, emerge che detta autodenuncia riguarda un reato di cui all’art. 640 c.p. commesso "in luogo estero sconosciuto".
Stanti dette risultanze, deve affermarsi che non ricorre nella specie il caso ostativo alla estradizione di cui all’art. 705 c.p.p., comma 1, posto che nessuna attività significativa di una iniziativa investigativa per un fatto coincidente con quello per il quale è stata presentata la domanda di estradizione da parte delle autorità svizzere appare essere stata avviata dalla autorità giudiziaria italiana.
Il ricorso va dunque rigettato, e da ciò consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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