Cass. pen., sez. VI 30-12-2008 (11-12-2008), n. 48397 Omessa presentazione delle conclusioni scritte nel giudizio di rinvio – Revoca implicita della costituzione di parte civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18 marzo 2002, il Tribunale di Benevento, stralciata la imputazione di usura (di cui al capo 3 della rubrica originaria) in danno dell’imputato R.P. nei confronti di D.B. C. da quella di estorsione di cui si dirà subito dopo, dichiarava l’estinzione per prescrizione del primo reato.
L’imputazione di usura si riferiva al delitto di cui agli artt. 81 e 644 c.p. (nella vigenza della norma anteriore al D.L. n. 306 del 1992), per avere il R. richiesto a D.B.C., e da costui ottenuto, interessi usurari del 3-5 per cento mensili, approfittando del suo stato di bisogno, facendosi consegnare assegni per complessive L. 242.630.000 comprensive degli interessi, durante l’anno (OMISSIS), con rinnovo per altre L. 115.000.000 nel (OMISSIS), in (OMISSIS), sempre comprensive di interessi usurari, e facendosi altresì consegnare la somma di L. 19.800.000 in contanti e dichiarazione debitoria per L. 326.877.821, in (OMISSIS).
Con altra sentenza del 29 aprile 2002, di poco successiva, lo stesso Tribunale di Benevento, per quel che strettamente ancora interessa il presente procedimento, condannava R.P., con la concessione delle attenuanti generiche, per il reato di estorsione continuata di cui agli artt. 81, 56 e 629 c.p., ipotesi tentata e consumata (capo 4 e non 3 dell’originaria rubrica, come erroneamente indicato nella sentenza di appello), alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione ed Euro 1.000 di multa, oltre che al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile D.B.V. da liquidarsi in separata sede (concedendo una provvisionale di Euro 5.000), per avere con più azioni e con atti idonei non equivoci, mediante minaccia di istanza di fallimento, tentato di procurarsi l’ingiusto profitto del pagamento degli importi degli assegni, comprensivi di interessi usurari di cui al capo 3 precedentemente descritto, ed ottenendo il pagamento della somma e la dichiarazione di debito di cui, pure, al capo precedente (in (OMISSIS)).
La Corte di appello di Napoli, a seguito di impugnazione di quest’ultima sentenza del Tribunale di Benevento da parte dell’imputato e della parte civile (che chiedeva la confisca dei titoli e della dichiarazione debitoria di cui sopra), con sentenza del 16 ottobre 2003, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, rideterminava la pena per il reato di estorsione di cui al capo 4) in quella di mesi quattro e giorni quindici di reclusione ed Euro seicentocinquanta di multa e, dietro apposito motivo dell’imputato, revocava la costituzione di parte civile ex art. 82 c.p.p., comma 2, per avere la medesima promosso azione davanti al giudice civile. Disattendeva la richiesta di confisca della parte civile e anzi, come accennato, accogliendo la eccezione dell’imputato, revocava la costituzione di detta parte.
A seguito di ricorso per cassazione dei difensori dell’imputato e della parte civile, la sezione 2^ di questa Corte di cassazione annullava con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli la sentenza impugnata nei confronti del R.. Osservava in proposito che la motivazione appariva insufficiente in punto di stato di bisogno dell’usurato, in quanto la Corte d’appello aveva ritenuto sufficiente per l’esistenza di tale stato una temporanea difficoltà economica del D.B., imprenditore commerciale, in quanto alcuni clienti gli avevano rilasciato assegni posdatati: con la sentenza della 2^ sezione, pur riconoscendosi che anche nei confronti di un imprenditore è configurabile uno stato di bisogno, si osservava che la Corte di merito avrebbe dovuto verificare – accertamento completamente omesso – se lo stato di momentanea difficoltà economica fosse tale da eliminare o togliere notevolmente la libertà di scelta del soggetto passivo. La situazione esistente al momento del reato di usura avrebbe dovuto formare oggetto di apposito accertamento ai fini delle verifica del reato di estorsione, essendo l’esistenza di quel reato il presupposto di quello di estorsione.
La sentenza della 2^ sezione di questa Corte annullava anche la sentenza in punto di revoca della costituzione di parte civile, osservando la genericità della affermazione secondo cui la parte civile aveva esercitato l’azione civile nella sede propria, in quanto mancava del tutto un esame delle ragioni per le quali si fosse trattato di azioni identiche nella causa petendi e nel petitum.
Demandava al giudice di rinvio "ogni statuizione in relazione alla richiesta della parte civile di liquidazione dell’onorario e delle spese di costituzione e rappresentanza di questa fase di giudizio".
Nel giudizio di rinvio, la Corte d’appello di Napoli rilevava, nei confronti dell’imputato, anzitutto, che l’annullamento per vizio di motivazione permettere al giudice di rinvio di apprezzare nuovamente i dati probatori e la situazione di fatto concernente i punti oggetto dell’annullamento. Osservava, in secondo luogo, che il delitto di usura era stato sì dichiarato estinto per prescrizione, ma ciò era avvenuto dopo una avanzata istruttoria che avrebbe consentito di affermarne (ove non fosse intervenuta la prescrizione) la sussistenza e quindi la responsabilità dell’imputato, nonchè la assoluta mancanza di elementi tali per affermarne la evidenza della innocenza, come osservato dal giudice di primo grado. Orbene, poichè tali dati sulla responsabilità non erano stati contestati dalla difesa dell’imputato, che non aveva rinunciato alla prescrizione, non era consentito rimettere in discussione il reato di usura, in quanto l’esame della vicenda usuraria doveva ritenersi preclusa dalla relativa pronuncia giudiziale di prescrizione passata in giudicato, e la questione dello stato di bisogno non poteva essere surrettiziamente reintrodotta in giudizio ai fini della decisione sul reato di estorsione.
Con riguardo alle statuizioni civili, revocava nuovamente la costituzione di parte civile ai sensi dell’art. 523 c.p.p., perchè, in quella sede (giudizio di rinvio), come in precedenza, il difensore e procuratore speciale del D.B. nei confronti del R. era l’avvocato S. (come emergente dall’atto di costituzione di parte civile) che alla udienza del 29 aprile 2002 non era presente e non aveva presentato le conclusioni. L’avv. P., che era difensore e procuratore speciale del D.B. nei confronti di altro coimputato Ri.Gi. (come pure emergente dall’atto di costituzione di parte civile), non era stato nominato sostituto dell’avv. S. e aveva concluso solo per la pretesa avanzata nei confronti del Ri..
Avverso tale decisione della Corte d’appello propongono nuovamente ricorso tramite i difensori l’imputato e la parte civile.
L’imputato deduce la violazione dell’art. 628, c.p. in relazione all’art. 627 c.p.p., comma 3, rilevando che il giudice di rinvio, secondo il decisum della Cassazione, avrebbe dovuto accertare il requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno e la consapevolezza di esso da parte del R. (questione quest’ultima rimasta assorbita dalla prima pronuncia). A tale onere si sarebbe sottratta la Corte di merito affermando, in modo sconcertante, che poichè l’imputato non aveva contestato le affermazioni contenute nella sentenza di primo grado in ordine alla entità dei tassi e allo stato di bisogno e non aveva rinunciato alla prescrizione, la pronuncia sul delitto di usura sarebbe divenuta esecutiva. Non solo si trattava di affermazione errata, ma la decisione non dava alcun seguito a quanto richiesto dalla Corte di Cassazione, difettando ogni parola sullo stato di bisogno e sulla costrizione dell’usurato, in quanto gli elementi del delitto di usura erano stati oggetto specifico di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, in funzione del presupposto fattuale del delitto di estorsione.
Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione, come accennato, anche la parte civile, la quale, con un primo motivo, deduce violazione di legge (artt. 606 e 624 c.p.p., art. 627 c.p.p., commi 3 e 4, in relazione all’art. 82 c.p.p., comma 2). La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1634 del 14 dicembre 2004 aveva annullato la statuizione di revoca della parte civile, contenuta nella sentenza di appello del 16 ottobre 2003. Il giudice di rinvio, con la sentenza oggi impugnata, non poteva emettere altra statuizione che quella di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento dei danni (in realtà implicitamente confermata dalla decisione della Corte di Cassazione n.d.e.) e sulla liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile in quel grado di giudizio. Ciò non aveva fatto, violando il principio secondo cui non possono rilevarsi nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari (art. 627 c.p.p.).
Con altro mezzo lamenta la violazione di legge e il difetto di motivazione con riferimento all’art. 102 c.p.p., art. 82 c.p.p., comma 2, art. 523 c.p.p., comma 2, e art. 182 c.p.p., nonchè violazione dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), art. 180 c.p.p., comma 2, e art. 182 c.p.p., commi 2 e 3. Si duole comunque del fatto che la pronuncia di revoca era stata erroneamente emessa sulla base del duplice presupposto che per la parte civile D.B. non sarebbero state depositate conclusioni scritte con la richiesta di condanna e che l’avvocato P.U., che difendeva il D. B. nei confronti del dell’altro imputato Ri.Gi., non aveva la nomina a sostituto processuale nei confronti dell’imputato R.P..
Ciò, perchè, anzitutto, l’avvocato P. era stato nominato sostituto processuale per ben quattro volte in varie udienze "ma certamente anche a quella del 4 maggio 2002" e tali nomine non sarebbero state conferite per ogni singola udienza (il difensore allega al ricorso due nomine del 9 ottobre 1997 e del 4 maggio 2000, ma altre ve ne sarebbero in atti) per tutto il processo, perchè dopo la riforma della disposizione dell’art. 102 c.p.p. (L. 6 marzo 2001, n. 60) la nomina di un sostituto non è più limitata a un determinato impedimento e viene meno con il cessare di esso, ma ha efficacia per tutto il procedimento. In secondo luogo, perchè le conclusioni erano state presentate alla udienza del 29 aprile 2002, come da verbale allegato (evidentemente nel precedente giudizio di appello n.d.e.) dall’avvocato P., qualificatosi, in quella occasione, "Difensore di parte civile nel processo a carico di R. + 1"). A questo proposito sarebbe intempestiva la questione sollevata dalla difesa dell’imputato. Deduce che nella ipotesi di mancato rilascio di delega scritta si verificherebbe una nullità a regime intermedio, da rilevarsi o prima del compimento dell’atto o immediatamente dopo (cita Cass., 6^ penale, del 31 dicembre 2003, n. 49532). Pertanto, seppure l’avvocato P. non fosse stato nominato sostituto processuale ovvero non avesse esibito la nomina, la difesa del R. avrebbe dovuto eccepire immediatamente la carenza di legittimazione dell’avvocato, carenza che non sarebbe più eccepibile o rilevabile.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono entrambi fondati per quanto di ragione.
Con riferimento al ricorso dell’imputato va osservato che la Corte d’appello non ha correttamente applicato i principi sempre affermati da questa Corte in tema di giudizio di rinvio quando la sentenza di appello sia annullata per vizio di motivazione.
Se è certamente vero che il giudice di rinvio può giudicare con gli stessi poteri di accertamento spettanti al primo giudice e che non ha limiti nell’apprezzamento dei fatti e delle prove, potendo seguire un nuovo iter argomentativo nel motivare la sentenza impugnata, è indiscutibile che tale potere trovi un limite nei casi in cui la Corte di legittimità abbia devoluto al giudice di rinvio un accertamento preciso, statuendo espressamente o implicitamente su un determinato punto concernente l’accertamento del fatto; in altri termini il giudice di rinvio non può sottrarsi dal seguire lo schema logico decisiorio delineato dalla Corte di cassazione, ma resta vincolato, ove sia indicata dalla Corte di cassazione una particolare indagine che sia stata in precedenza omessa, a decidere sulla questione che sia stata ritenuta rilevante e dirimente ai fini del giudizio finale (v. fra le tante, Sez. 1, Sentenza n. 26274 del 06/05/2004 Cc. – dep. 10/06/2004, Rv. 228913).
Nella specie, in sostanza, la Corte d’appello ha affermato che non era possibile indagare per emettere un giudizio sullo stato di bisogno, id est sulla mancanza di una concreta possibilità di scelta tra l’offerta usuraria proposta dall’agente, ovvero di sottrarsi ad essa reperendo altre strade per l’ottenimento del credito. Tale impossibilità ha affermato per il passaggio in giudicato della vicenda usuraria conclusasi con la sentenza di prescrizione del Tribunale, la quale aveva accertato la sussistenza dei presupposti del reato di usura (senza che peraltro si spendesse una parola sullo stato di bisogno del D.B., dal che, appunto, l’annullamento con rinvio della Cassazione proprio per accertamento di tale elemento costitutivo), in ordine al quale non aveva potuto dichiarare la responsabilità del R. per l’intervenuta prescrizione, anche perchè il R. non aveva contestato gli elementi del giudizio in base ai quali era stata ritenuta, di fatto, la consumazione di tale reato.
Tale decisione è del tutto errata sotto più profili. Anzitutto nessun giudicato si è formato sul reato di usura poichè il giudizio relativo a tale reato si era concluso con una sentenza di prescrizione. In secondo luogo, il ricorrente con l’atto di appello originario aveva certamente contestato sia l’esosità dei tassi sia lo stato di bisogno, non per rimettere in discussione il reato di usura, ma ai fini della decisione sul reato di estorsione, in quanto sussisteva (e sussiste) un rapporto stretto tra il reato presupposto di usura e il reato di estorsione che si doveva giudicare, per cui era necessario comunque accertare in via incidentale tale presupposto (come è tuttora necessario accertarlo) indipendentemente dalla decisione di prescrizione sul reato di usura (ciò che non poteva essere impedito da nessuna decisione e tanto meno da quella di prescrizione emessa dal Tribunale), così come puntualmente specificato nella sentenza della seconda sezione di questa Corte, accertamento cui la Corte d’appello di Napoli in sede di rinvio non poteva sottrarsi.
Per tali ragioni la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli nei confronti del R. perchè si decida sulla sussistenza dello stato di bisogno del D.B. quale accertamento necessario e incidentale al fine di decidere sul reato di estorsione.
Anche il ricorso della parte civile deve essere accolto nei limiti di cui appresso.
Il primo motivo, non è fondato, salvo per quel che si dirà in ordine alle liquidazione delle spese del precedente giudizio davanti alla seconda sezione della Corte di Cassazione.
La sentenza oggi impugnata della Corte d’appello non ha revocato le statuizioni civili per le stesse ragioni della prima sentenza d’appello non contravvenendo al dictum della cassazione, ma per ragioni totalmente diverse strettamente attinenti a carenze riscontrate nel giudizio di rinvio. Sotto tale profilo il giudice di rinvio non ha violato il principio giurisprudenziale consolidato secondo il quale non è consentito in sede di rinvio di eccepire o rilevare nullità o inutilizzabilita verificatesi in precedenza. E’ vero che il giudice di rinvio avrebbe comunque dovuto liquidare le spese sostenute dalla parte civile nel grado di giudizio davanti alla seconda sezione, in quanto quel grado si era concluso con pronuncia totalmente favorevole per la parte civile nei confronti della quale era stata annullata la precedente dichiarazione di revoca.
Sono invece fondati gli ulteriori motivi di ricorso della parte civile. Anzitutto va osservato che la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di ritenere che la mancata presentazione di conclusioni scritte della parte civile non può determinare una revoca della stessa ai sensi degli artt. 82, 523 e 598 c.p.p.. Le conclusioni rassegnate nel processo di primo grado (v. all. 2 al ricorso della parte civile) restano valide in ogni stato e grado del processo (recentemente, Cass. sez. 5^, Sentenza n. 38942, 27 ottobre 2006 Up. – dep. 24 novembre 2006, Rv. 235486), regola applicabile anche nel giudizio di rinvio. D’altra parte è anche vero che, sempre secondo quanto stabilito da un condivisibile orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la nomina di un sostituto del difensore di fiducia ha effetto non solo per la udienza per la quale è stato nominato, ma anche per le successive (Sez. 1, Sentenza n. 3296 del 20/09/1991 Cc. – dep. 08/10/1991, Rv. 188425), sino a quando il difensore sostituto non riterrà di esercitare nuovamente il mandato direttamente, compiendo atti del giudizio. D’altra parte, in virtù di quanto detto all’inizio del presente paragrafo non ha rilievo che il sostituto avvocato P. non abbia concluso nei confronti del R.. Va pertanto annullata la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha pronunciato la revoca della parte civile.
In conclusione, va annullata la sentenza impugnata sia nei confronti dell’imputato R. che nei confronti della parte civile D. B. con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo giudizio. In tale fase la Corte d’appello dovrà valutare se al momento del commesso reato di usura sussistesse lo stato di bisogno del D.B. quale presupposto logico giuridico pregiudiziale per la decisione sul reato di estorsione. Solo se sarà affermata la sussistenza di tale ultimo reato il giudice rinvio, ferma restando la condanna generica al risarcimento del danno e la liquidazione della provvisionale, provvedere alla liquidazione delle spese di questo grado, di quelle del giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza oggi impugnata e di quelle del precedente grado del giudizio davanti alla Corte di cassazione.
P.Q.M.
In accoglimento dei ricorsi dell’imputato e della parte civile annulla le sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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