Cass. pen., sez. I 23-12-2008 (11-12-2008), n. 47798 Confisca dei beni – Beni acquistati prima dell’inserimento nel sodalizio mafioso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

IN FATTO E IN DIRITTO
1.- Con decreto del 29/6/2005 il Tribunale di Palermo applicava nei confronti di C.S. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s., siccome indiziato di appartenere ad associazione mafiosa, e, qualificato lo stesso come imprenditore "colluso" con la mafia fin dagli anni ’70, ordinava la confisca di numerosi beni immobili, depositi titoli e polizze vita, sull’assunto dell’esclusiva derivazione illecito-mafiosa degli utili ricavati dall’esercizio di detta impresa e quindi dell’intero patrimonio, nonchè dell’indimostrata legittima provenienza aliunde dei medesimi beni.
Il decreto della Corte d’appello di Palermo di data 22/5/2006, confermativo di quello del Tribunale impugnato dal C. e dall’interveniente R.T.M., veniva peraltro annullato dalla Corte di Cassazione, la quale, con sentenza del 23/3/2007, fermo restando l’accertamento di pericolosità qualificata del C., di appartenenza allo stesso dei beni confiscati seppure intestati all’interveniente, della natura di "impresa mafiosa" delle attività imprenditoriali del C. nel settore edile e della sproporzione fra il valore dei beni rispetto ai redditi percepiti e dichiarati, osservava come fosse necessario verificare il momento dell’avvenuto inquinamento dell’impresa ad opera di capitali mafiosi, e quindi distinguere fra beni legittimamente acquisiti prima e beni acquisiti dopo l’avvenuta contaminazione mafiosa delle imprese del proposto.
La Corte territoriale di rinvio, premesso che sulla base degli elementi probatori (in particolare, delle propalazioni accusatorie del collaboratore M.G.) emersi nel processo penale conclusosi con la condanna del C. per i delitti di partecipazione ad associazione mafiosa e di riciclaggio, si rilevava l’esistenza di rapporti di contiguità imprenditoriale con i vertici del mandamento mafioso della Noce di Palermo, Di Maio e Scaglione, risalenti fino agli anni ’70, affermava che, attesa la correlazione temporale suindicata, la contaminazione mafiosa delle imprese del C. fosse già realizzata all’epoca dell’acquisto ((OMISSIS)) del primo appartamento oggetto di confisca e, perciò, a maggior ragione all’epoca dei successivi acquisti e investimenti, così confermando l’impugnato decreto del Tribunale.
Avverso le statuizioni patrimoniali del suddetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione, per violazione di legge e vizio di apparente motivazione, il C. e la R., i quali hanno denunziato l’apodittica retrodatazione da parte di quel giudice, dalla metà degli anni ’80 (come sarebbe indicato nelle sentenze di merito relative alla condanna per i delitti di partecipazione ad associazione mafiosa e di riciclaggio) agli anni ’70, solo sulla base dell’isolata propalazione del M., della linea temporale di demarcazione degli indizi di appartenenza mafiosa del proposto e di collusione mafiosa delle imprese a lui facenti capo.
2.- Ritiene il Collegio che, come ha esattamente osservato il P.G. requirente, siano manifestamente infondate le censure dei ricorrenti aventi ad oggetto l’accertata retrodatazione della linea del collegamento temporale fra collusione mafiosa ed acquisizioni patrimoniali dalla metà degli anni ’80 (secondo quanto affermato dal giudice della cognizione: "quantomeno a partire dal 20/6/1983") ai primi anni ’70, con i conseguenti effetti pregiudizievoli in punto di illiceità delle acquisizioni patrimoniali e societarie risalenti a quel periodo.
Non può certo dubitarsi, infatti, che la misura ablativa ha per presupposto l’esistenza di indizi di appartenenza ad un’associazione mafiosa e la sua applicazione è del tutto indipendente dai limiti e dagli esiti del processo penale. Sicchè, non potendosi stabilire alcuna relazione vincolante tra l’ambito temporale della condotta associativa contestata ed accertata in sede di giudizio penale, sulla base di canoni valutativi improntati al rigore della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, e quello, potenzialmente diverso, valutabile sotto un profilo indiziario nel procedimento di prevenzione, deve ritenersi legittimo che gli indizi di appartenenza associativa risalgano ad epoca anteriore rispetto al periodo temporale considerato in sede di cognizione: come, nella specie, logicamente affermato dai giudici della prevenzione alla stregua di un’adeguata, puntuale e insindacabile valutazione di merito della piattaforma indiziaria, con particolare riguardo alle dettagliate e affidabili propalazioni del collaboratore di giustizia M..
S’intende dire che, pur rimanendo valido l’insegnamento di questa Corte per cui occorre verificare se i beni da confiscare siano entrati nella disponibilità del proposto non già anteriormente, ma contestualmente o successivamente al suo inserimento nel sodalizio mafioso, la pure innegabile necessità di un nesso temporale tra manifestazione della pericolosità qualificata ed acquisizione dei beni non va riferita alle risultanze del processo penale, ma al quadro indiziario posto a base dell’autonomo processo di prevenzione, il cui "perimetro cronologico" ben può essere diverso da quello del giudizio penale (Cass., Sez. 1, 4/7/2007, Richichi e Vadala; Sez. 1, 5/10/2006 n. 35481, Gashi), ed addirittura estendersi ai beni acquistati prima dell’inizio dell’appartenenza ad associazione mafiosa, sempre che essi costituiscano presumibile frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, nel senso che esista una chiara connessione dei beni con un’attività illecita senza che rilevi distinguere se tale attività sia o meno di tipo mafioso (Cass., Sez. 1, 15/1/1996, Anzelmo, rv. 204036; Sez. 2, 26/1/1998, Corsa, rv. 211435; Sez. 2, 6/5/1999, Sannino, rv. 213853;
Sez. 6, 25/9/2003 n. 36762, Lo Iacono, rv. 226655; Sez. 1, 5/10/2006 n. 35481, Gashi, rv. 234902).
Del resto, dagli esposti motivi del ricorso si ricava in larga parte che essi, riproponendo le medesime deduzioni in fatto e in diritto già precedentemente svolte e adeguatamente disattese dalla Corte territoriale, prospettano, sotto l’apparente deduzione di vizi attinenti alla violazione di legge e alla inesistenza o mera apparenza della motivazione, un’inammissibile richiesta di sindacato di legittimità esteso alla motivazione in fatto e alla rivalutazione del merito, laddove risulta, invece, corretto il presupposto logicogiuridico su cui si fonda la decisione impugnata alla stregua dei suesposti principi giurisprudenziali in punto di metodologia della prova.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del procedimento e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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