Corte di Cassazione, sezione seconda – sentenza 1 luglio 2010, n.24734. Criterio discretivo tra i delitti di “maltrattamento di animali” ex art. 544 ter c.p. e di “uccisione o danneggiamento di animali altrui” ex art. 638 c.p.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, lamenta il ricorrente l’errata qualificazione giuridica del reato commesso in Corigliano Calabro il 29.9.2004, argomentando che il fatto come contestato rientra nella previsione dell’art. 544 ter c.p. e non in quella dell’art. 638 c.p.
La L. 20 luglio 2004, n. 189, art. 1, comma 1, ha introdotto, dal 1 agosto 2004, nel libro secondo del codice penale, (dei delitti in particolare) al capo 3, il titolo IX bis, avente ad oggetto “i delitti contro il sentimento per gli animali”, l’art. 544 bis c.p., “Uccisioni di animali” che sanziona con la reclusione da tre mesi a tre anni chiunque, per crudeltà o senza necessità cagiona la morte di un animale” e l’art. 544 ter c.p., “maltrattamento di animali” che, al comma 1, sanziona con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da euro 3.000,00, a 15.000,00, “chiunque per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”.
Il maltrattamento di animali, prima disciplinato come contravvenzione dall’art. 727 c.p., è quindi divenuto delitto ai sensi dell’art. 544 bis e segg. c.p. mentre l’attuale norma contenuta nell’art. 727 c.p., introdotta sempre della L. 1 agosto 2004, n. 189, art. 1, comma 3, contempla esclusivamente l’abbandono di animali.
Il nuovo delitto, che si configura come reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale, che può consistere sia in un comportamento commissivo come omissivo, sia tenuta per crudeltà, e a dolo generico quando essa è tenuta, come nel caso in esame, senza necessità, si differenzia dall’art. 638 c.p. così come modificato dalla L. 20 luglio 2004, art. 1, comma 2, che ha introdotto l’inciso “salvo che il fatto costituisca più grave reato” e che stabilisce che “chiunque, senza necessità, uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire seicentomila”. Detta disposizione è contenuta nel titolo tredicesimo del libro secondo del codice penale, avente ad oggetto i delitti contro il patrimonio, in cui il bene protetto è la proprietà privata dell’animale, sicché, pur potendo coincidere l’elemento oggettivo con quello descritto nell’art. 727 “ante novellam” e nell’attuale 544 ter c.p. (qualora – come nel caso di specie – si sia in presenza di animali domestici), muta l’elemento soggettivo, costituito, nel reato di cui all’art. 638 c.p., dalla coscienza e volontà di produrre, senza necessità, il deterioramento, il danneggiamento o l’uccisione di un animale altrui e nel quale, diversamente dalla contravvenzione di cui all’art. 727 “ante novellam” e dal delitto di cui all’art. 544 ter c.p., che tutela il sentimento per gli animali, è tutelato l’animale come un bene patrimoniale e, pertanto, la consapevolezza dell’appartenenza di esso ad un terzo soggetto, parte offesa, è un elemento costitutivo del reato (v. Sez. III, sent. n. 44822/2007 Rv. 238457). Considerato poi che il concetto di deterioramento di cui all’art. 638 c.p. implica la sussistenza di un danno giuridicamente apprezzabile, mentre per le lesioni all’integrità fisica di cui all’art. 544 ter c.p. è necessario il verificarsi di una malattia atta a determinare una alterazione anatomica o funzionale dell’organismo anche non definitiva, ritiene il Collegio che, avendo riportato il cane evidenti ferite da taglio atte a determinare comunque un’alterazione anatomica significativa, la fattispecie rientri nella previsione di cui all’art. 544 ter c.p.
Rileva comunque il Collegio che il ricorrente non ha interesse a che gli venga contestato il delitto di cui all’art. 544 ter c.p., che – in quanto punito con la pena da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro – è più grave del delitto ritenuto in sentenza (punito a querela della persona offesa con la pena con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 300 euro); pertanto, qualificato il fatto come reato ex art. 544 ter c.p., va respinto il primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità, attesa la illogicità delle argomentazioni sviluppate in ordine all’identificazione dello Z. vengono mosse non già precise contestazioni di illogicità argomentativa, ma solo doglianze di merito, non condividendosi dal ricorrente le conclusioni attinte ed anzi proponendosi versioni più persuasive di quelle dispiegate nella sentenza impugnata. La Corte d’Appello, con motivazione adeguata ed esente da evidenti vizi logici, ha ritenuto la responsabilità sulla base delle dichiarazioni di S. Francesco e del figlio S. Marco, “all’epoca sedicenne, della cui genuinità non appare potersi dubitare, atteso il carattere estremamente circostanziato delle deposizioni rese, e la presenza di riscontro nelle fotografie che ritraggono il cane, con un’evidente ferita sul muso”. E contro tali valutazioni sono dal motivo in esame formulate doglianze prive di consistenza e in termini di una inammissibile richiesta di rivalutazione di fatti.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Qualificato il fatto come reato ex art. 544 ter c.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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