CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO – SENTENZA 26 luglio 2010, n.17514 LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Ritenuto in diritto

1. Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

2. Con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia vizio della motivazione in relazione ai seguenti punti: a) contraddittorietà e insufficienza della motivazione in relazione all’esclusione di alcuni degli addebiti contestati (attività speculativa su dossier titoli clienti, in assenza di fondi, ordini e sottoscrizioni) e alla ritenuta proporzionalità della misura espulsiva, sebbene la Banca avesse posto a fondamento dell’esercizio del potere disciplinare tutti i fatti contestati e considerati particolarmente gravi quelli esclusi; b) giustificazione insufficiente dell’affermazione secondo cui l’apertura del conto corrente senza provvista sarebbe stata contraria al codice di comportamento interno, senza accertare l’esistenza, la pubblicità e l’inserimento nel contratto di tale codice; c) qualificazione arbitraria del conto corrente in termini di “apparente”, sebbene fosse stata aperta una polizza titoli in funzione del compimento delle operazioni di trading e fosse perciò consentita, come per qualsiasi cliente, l’esecuzione di operazioni allo scoperto, scoperto, peraltro, ripianato prima ancora della chiusura del conto; d) illogicità nel dare rilievo non all’esposizione di lire 25.200.000 ma all’importo complessivo delle operazioni (lire 204.800.000), atteso che non era stato contestato uno sconfinamento indebito dalla linea di credito; e) in ordine al fido concesso al Greco, la sentenza riconosce che il Gargano non aveva avuto alcun ruolo nell’operazione, né poteva avere alcuna rilevanza che le somme fossero stato utilizzate per questo o quello scopo; f) l’accordo con il Simonetti non era dimostrato dalla delega datagli dal Gargano per il compimento di determinate: operazioni; g) non era emerso alcun comportamento diretto all’occultamento della mancanza di fondi all’atto dell’apertura del conto corrente, né la gestione era stata effettuata in modo irregolare ed esponendo a rischio la Banca.

3. Il ricorso principale non può trovare accoglimento.

4. Va subito esaminato il primo profilo di censura, siccome concreta in realtà, al di là della formale qualificazione, anche denuncia di violazione di legge potenzialmente assorbente di altre questioni, siccome sostiene che l’accertata insussistenza di taluni fatti (o la mancata prova della loro sussistenza), ritenuti nella contestazione particolarmente gravi, precluderebbe al giudice la possibilità di ritenere ugualmente giustificato il recesso, cosi sostituendosi al giudizio di proporzionalità formulato dal datore di lavoro.

4.1. La tesi non è condivisibile atteso che il diritto potestativo di recesso per notevole inadempimento del lavoratore o per giusta causa trova il suo fondamento in tutti i fatti contestati, e resi così rilevanti ai fini dell’accertamento giudiziale, indipendentemente dal giudizio che il datore di lavoro possa aver formulato sulla gravità di alcuni rispetto ad altri, restando incondizionato il potere di valutazione del giudice circa la gravità e la proporzionalità della sanzione. Ciò perché la volontà negoziale del datore di lavoro ha ad oggetto esclusivamente la risoluzione del rapporto, non la ponderazione del peso attribuito a ciascuno degli addebiti contestati, i quali costituiscono soltanto il fondamento del potere esercitato e sono perciò sottoposti al controllo del giudice indipendentemente da qualunque giudizio che il datore di lavoro possa avere eventualmente espresso sulla gravità del singolo addebito.

5. Le restanti censure concernono tutte vizi di motivazione inerenti al giudizio di gravità dei fatti e di proporzionalità con la sanzione espulsiva.

Si tratta di giudizio riservato al giudice del merito e non assoggettato al sindacato di legittimità se adeguatamente motivato (vedi Cass. 2 febbraio 2010, n. 2390). Sul tema dell’adeguatezza della motivazione, si osserva che, in tema di licenziamento disciplinare, ai fini del giudizio di proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Il giudice del merito, quindi, deve valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (vedi Cass. 22 giugno 2009, n. 145869).

5.1. A questi principi si è attenuta la sentenza impugnata, cosicché le critiche del ricorrente si risolvono in sostanza nel richiedere in questa sede una rivalutazione del giudizio di merito, preclusa alla Corte di cassazione ove non si configuri l’omessa o insufficiente considerazione di fatti decisivi, ovvero il mancato rispetto della soglia di plausibilità logica delle argomentazioni.

Ed infatti, la Corte di Napoli, con esclusivo riferimento all’addebito concernente l’attività di speculazione posta in essere dal Gargano con il Simonetti e la moglie; di questi, ha posto in evidenza le anomalie del conto aperto dal Gargano per le operazioni di trading (assenza di provvista; affidamento della gestione al Simonetti; mancati controlli preliminari e successivi sulla sufficienza dei fondi, controlli spettanti, rispettivamente, al Simonetti e allo stesso Gargano); ha constatato che le spese di acquisto compiute senza fondi ammontavano a lire 204.800.000 e rilevato che tale somma doveva essere tenuta presente ai fini dell’entità di un possibile rischio cui il Gargano non era in condizione di fare fronte; ha valutato negativamente i rapporti tra il Gargano, il Simonetti e la Greco (accertati non certo in base alla sola delega ad operare sul conto, ma desunti da una serie di elementi, quali la regolazione dei rapporti economici e l’intervento di ripianamento del passivo del conto mediante l’operazione del finanziamento al padre della Greco), siccome rilevatore di un clima complessivo caratterizzato da comportamenti non corretti e da complicità finalizzate a sfuggire ad ogni controllo; ha, in particolare, accertato lo stretto collegamento tra le attività di trading e il finanziamento (in relazione al quale il Gargano si era occupato della preistruttoria) ottenuto mediante la concessione di un affidamento temporaneo di lire 130.000.000 al padre della Greco, che era stato giustificato con il futuro impiego per l’acquisto di immobile e da rimborsare con il mutuo ipotecario richiesto dalla Greco e dal marito, mentre la somma era servita in realtà per ripianare i debiti contratti, anche dal Gargano, per le complessive operazioni speculative. Ha, quindi, concluso nel senso che i comportamenti del Gargano, complessivamente considerati e senza necessità di individuare la violazione di regolazioni specifiche o di codici disciplinari, non erano compatibili con i principi di lealtà, buona fede e correttezza cui doveva essere improntata la condotta di un dipendente chiamato a svolgere delicate e importanti funzioni, siccome erano consistiti nel realizzare finalità di guadagno mediante operazioni di acquisto titoli senza alcun esborso, approfittando della funzione ed evitando, in accordo con altro funzionario, gli ordinari controlli; neppure il Gargano poteva dirsi estraneo all’operazione della concessione dell’affidamento al padre della Greco, sia per averne curato la preistruttoria, sia soprattutto, perché tutte le circostanze comprovavano la consapevolezza delle reali finalità dell’operazione, operazione da inserire anch’essa nel quadro dell’uso della funzione per fini privati e in conflitto di interessi con il datore di lavoro.

Risultano, di conseguenza, esaminati adeguatamente tutti i fatti rilevanti nella controversia, e valutati secondo un ragionamento che non viola i parametri logici sindacabili in sede di legittimità.

6. Con l’unico motivo del ricorso incidentale si denunzia violazione degli art. 112 e 416-436 c.p.c. in relazione al rigetto della domanda di condanna del Gargano alla restituzione delle somme versategli in esecuzione della sentenza di primo grado, rigetto motivato con la mancanza di prova dell’avvenuto versamento della somma richiesta. Si deduce che il giudice dell’appello avrebbe dovuto in ogni caso statuire sull’an debeatur in motivazione e in dispositivo; che aveva omesso di considerare che il fatto dell’avvenuto pagamento non era stato contestato dal Gargano. Ai due profili di censura corrispondono altrettanti quesiti di diritto.

6.1. Il ricorso incidentale non può trovare accoglimento.

La domanda di condanna alla restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado è stata respinta, esplicitamente in motivazione ed implicitamente nel dispositivo, in mancanza della prova del fatto costitutivo del diritto (versamento della somma richiesta) e nessun interesse, ai sensi dell’art. 100 c.p.c. poteva configurarsi all’accertamento della configurabilità del diritto per il caso di riforma della sentenza di primo grado, in difetto di specifiche contestazioni sulla configurabilità astratta del credito restitutorio.

6.2. Non ricorre l’ipotesi dell’esonero dall’onere della prova per effetto di mancata contestazione, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., atteso che la produzione di tale effetto richiede l’allegazione di fatti specifici (nel caso di specie, tutti gli estremi del versamento che si assume effettuato), rimanendo irrilevante il riconoscimento della fondatezza in astratto, sulla base del dettato normativo, della pretesa.

7. Il difforme esito dei giudizi di merito e l’infondatezza del ricorso incidentale giustificato la compensazione per l’intero delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa per l’intero le spese e gli onorari del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *