CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 20 luglio 2010, n.16896 CASALINGHE CON “COLF”: SÌ AL DANNO PATRIMONIALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

I due motivi vanno esaminati insieme in quanto connessi.

B. L., con il primo motivo, denuncia “Errata interpretazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e connesse disposizioni, nonché dell’art. 32 Cost., in ordine alla determinazione, definizione e contenuto della nozione di danno biologico ed alla determinazione, definizione e contenuto della nozione di danno per la perdita della capacità di lavoro di casalinga, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. La tesi della Corte di merito tende a negare l’autonomia del danno consistente nella diminuita capacità di lavoro della casalinga rispetto al danno alla salute. La conferma che questo sia il pensiero della Corte di appello si ritrova in queste affermazioni: “essendo riconducibile nella specie la maggior fatica domestica nell’ambito del danno biologico così come è stato liquidato dal Giudice …l’appello della B. che nemmeno ha provato l’esigenza del ricorso ad una colf deve essere rigettato”. La Corte ritiene di trovare conforto nella recente sentenza nr. 4657 emessa il 3.3.2005 dalla Corte di cassazione. Sembra alla ricorrente che i principi affermati dalla Suprema Corte in detta sentenza muovano in altra direzione. Sembra sia rovesciato, o compreso a rovescio dal Giudice di secondo grado, ciò che la Corte Suprema in numerose decisioni va affermando.

QUESITI:

– se si debba rinvenire il titolo del risarcimento del danno biologico nell’art. 32 della Costituzione, e il titolo del risarcimento della perdita o diminuzione della capacità di lavoro della casalinga negli artt. 4 e 37 della medesima Carta Costituzionale e negli artt. 2043 e 2059 c.c. e connesse disposizioni;

– se il danno alla capacità di lavoro della casalinga si ponga in posizione autonoma e distinta rispetto al danno biologico, consistendo il primo – danno alla capacità di lavoro della casalinga – nella perdita o riduzione della capacità di attendere ai lavori domestici a favore dei familiari, o anche della sola persona del danneggiato, inteso per lavoro domestico non solo l’espletamento delle abituali attività rivolte alla pulizia e conservazione dell’abitazione, alla cura dei vestiti e della biancheria, alla preparazione dei pasti e quant’altro, ma pure il coordinamento in senso lato della vita familiare, e consistendo il secondo – danno biologico – nella lesione del bene costituito dalla salute;

– se il danno alla capacità di lavoro della casalinga sia risarcibile, in quanto perdita di una situazione di vantaggio, anche in caso di mancata sopportazione di spese sostitutive;

– se la prova del danno consistente nella lesione della capacità di lavoro della casalinga debba riguardare lo svolgimento di detta attività da parte della persona danneggiata prima dell’incidente, nell’ambito della vita domestica familiare o singolarmente vissuta, e se sia detta prova sufficiente, qualora supportata dalla prova della perdita o riduzione della corrispondente capacità ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento, ovvero se occorra, al fine considerato, la prova del ricorso a necessarie supplenze esterne, precisamente all’opera di una “colf” come richiesto dalla Corte d’appello di Trento.

Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia “Violazione, omessa e falsa applicazione dell’art. 115 cpc in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; insufficiente motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nello svolgimento da parte della signora L. B. di attività domestica a favore proprio e dei familiari e nella riduzione della sua corrispondente capacità lavorativa, a seguito della lesione subita nello scontro per cui è causa, in relazione all’art. 360 n. 5 cpc” esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Il giudice dell’appello, dopo essere incorso nei vizi di cui al primo motivo, ha concentrato la sua attenzione sugli elementi di prova ritenuti conseguentemente indispensabili, attinenti al ricorso a supplenze necessarie esterne quali l’opera di una colf, ed ha del tutto trascurato le prove raccolte nel corso dell’istruttoria, persino ed inspiegabilmente quelle riguardanti proprio la effettiva, obbligata sostituzione della signora B. nei lavori domestici da parte della sorella, congruamente retribuita, per tutta la durata dell’invalidità temporanea [la parte ricorrente cita poi le risultanze non valutate: – A ) I documenti, consistenti nelle dichiarazioni dei redditi prodotte in giudizio dalla signora B. e dal marito signor W. T. B.; – B) Le testimonianze; – C) La consulenza tecnica d’ufficio]. In conclusione, la Corte di Trento non ha erroneamente valutato le prove disponibili, come aveva fatto il Tribunale: semplicemente non le ha considerate.

QUESITI:

– se nell’accertare la sussistenza e l’entità del danno consistente nella riduzione della capacità di lavoro della casalinga, a sensi dell’art. 115 cpc il giudice di merito debba porre a fondamento della decisione anche le prove inerenti all’appartenenza della persona danneggiata ad un nucleo familiare e quelle relative all’età, qualità ed occupazioni dei componenti di tale gruppo;

– se nell’accertare la sussistenza e l’entità del danno di cui si tratta, il giudice di merito debba inoltre porre a fondamento della decisione le prove inerenti sia allo svolgimento di attività domestica da parte della persona danneggiata, sia alla necessità della sua sostituzione durante il periodo di malattia e di convalescenza da parte di terza persona, a tal fine retribuita per accudire allo stesso danneggiato ed ai suoi familiari, specie ai figli infanti;

– se la prova dello svolgimento di attività domestica da parte del danneggiato possa desumersi in modo esaustivo, eventualmente nel concorso con altre prove, dal ricorso a supplenza esterna, anche retribuita, durante il periodo di inabilità temporanea assoluta subita dalla persona danneggiata, che risulti coniugata con prole e famiglia convivente;

– se, al fine della prova della riduzione della capacità lavorativa di casalinga della persona danneggiata, possa e debba tenersi conto, per trarne delle presunzioni, della prova della prestazione da parte del medesimo danneggiato di attività di lavoro manuale dipendente a tempo determinato e parziale e della riduzione della relativa capacità lavorativa specifica.

I due motivi di ricorso sono fondati.

La Corte d’Appello sembra da principio ammettere la possibilità di liquidare il danno patrimoniale alla casalinga ma poi conclude negando detta liquidazione basandosi essenzialmente sulla necessità di una prova “rigorosa”.

Anzitutto è bene chiarire il concetto di danno patrimoniale della casalinga, poiché l’ammissibilità (in realtà) solo puramente teorica affermata da detta Corte sembra derivare essenzialmente da una non esatta valutazione del concetto stesso.

Va ribadito a tal proposito il seguente principio di diritto:

“Chi svolge attività domestica (attività tradizionalmente esercitata dalla “casalinga”), benché non percepisca reddito monetizzato, svolge tuttavia un’attività suscettibile di valutazione economica; sicché quello subito in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa, se provato, va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale (come tale risarcibile, autonomamente rispetto al danno biologico, nelle componenti del danno emergente ed, eventualmente, anche del lucro cessante). Il fondamento di tale diritto – che compete a chi svolge lavori domestici sia nell’ambito di un nucleo familiare (legittimo o basato su una stabile convivenza), sia soltanto in favore di se stesso – è difatti pur sempre di natura costituzionale, ma, a differenza del danno biologico, che si fonda sul principio della tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.), riposa sui principi di cui agli articoli 4, 36 e 37 della Costituzione (che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro ed i diritti del lavoratore e della donna lavoratrice).” (Cass. sentenza n. 20324 del 20/10/2005).

Una volta assodata la configurabilità del danno in questione nelle componenti del danno emergente ed, eventualmente, anche del lucro cessante, va ad esso applicato il seguente principio di diritto valido in ogni caso di danno patrimoniale: “La sussistenza di un danno patrimoniale da riduzione della capacità di lavoro e di guadagno, in conseguenza di lesioni personali, non può essere esclusa per il solo fatto che i redditi del danneggiato dopo il sinistro non si siano ridotti, in quanto il giudice deve altresì accertare se le residue energie lavorative della vittima, pur consentendole di conservare al momento il reddito pregresso, comportino però una maggiore usura, e di conseguenza rendano verosimile un’anticipata cessazione dell’attività lavorativa, ovvero precludano alla vittima la possibilità di svolgere attività più remunerative.” (Cass. sentenza n. 6658 del 19/03/2009). Trasferendo detto principio all’ipotesi di attività lavorativa casalinga, va dunque affermato che l’eventuale continuazione delle attività domestiche non esclude la sussistenza del danno de quo se le residue energie lavorative della vittima, pur consentendole di conservare al momento lo svolgimento delle attività predette, comportano però una maggiore usura, e di conseguenza rendono verosimile un’anticipata cessazione dell’attività lavorativa, ovvero precludono alla vittima la possibilità di svolgere attività più remunerative (in altri termini quella che la Corte di merito chiama maggior “fatica” non è automaticamente riconducibile, come dalla medesima evidentemente ritenuto, al solo danno biologico).

È altresì palese (alla luce dei predetti principi di diritto) che l’eventuale impossibilità della vittima, per insufficienza di risorse economiche, di ricorrere ad una (vera e propria) colf (e quindi l’eventuale impossibilità di provare il chiaro e determinato danno emergente consistente nelle spese relative per salario, contributi ecc.) non autorizza il Giudice a negare senz’altro il risarcimento (tra l’altro riservando così un trattamento deteriore proprio a chi – a causa delle sue modeste condizioni economiche – viene a subire interamente l’usura fisica predetta e quindi danni in concreto più incisivi a causa della minorata capacità ad attendere alla abituali attività domestiche).

Una volta premessi detti concetti in tema di sussistenza del danno (cfr. inoltre, tra le altre, Cass. sentenza n. 17977 del 24/08/2007; sentenza n. 4657 del 03/03/2005; Cass. sentenza n. 2639 del 09/02/2005), va rilevato che non è giuridicamente corretto ritenere che nella fattispecie la parte danneggiata deve dare una prova “rigorosa”; se si intende con tale espressione affermare la sussistenza di un onere probatorio più rigoroso del normale tra l’altro in quanto implicante l’impossibilità per il Giudice di ricorrere a presunzioni e/o ad una liquidazione equitativa (se poi non è questo il senso della predetta espressione usata nell’impugnata sentenza, allora occorre affermare che vi è un difetto di chiarezza della medesima).

Non sussiste infatti alcuna base normativa per affermare che in fattispecie come quella in questione non si debbano applicare le norme generali in materia di prove.

Al contrario il Giudicante deve tener presente che di regola è impossibile dare la prova rigorosa, precisa ed incontestabile di un danno futuro (e ciò è stato giustamente affermato da molto tempo da parte della giurisprudenza; cfr. tra le tante: Cass. sentenza n. 495 del 20/01/1987: “Perla risarcibilità del danno patrimoniale futuro è sufficiente la prova che il danno si produrrà secondo una ragionevole e fondata attendibilità, non potendosene pretendere l’assoluta certezza”; tale principio di diritto va senz’altro qui ribadito).

Vanno inoltre ribaditi i seguenti principi di diritto (v. in particolare le parti in grassetto):

1) “Il pregiudizio economico che subisce una casalinga menomata nell’espletamento della sua attività in conseguenza di lesioni subite è pecuniariamente valutabile come danno emergente, ex art. 1223 cod. civ. (richiamato “in parte qua” dal successivo art. 2056) e può essere liquidato, pur in via equitativa, anche nell’ipotesi in cui la stessa sia solita avvalersi di collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza, intensità, responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente” (Cass. sentenza n. 19387 del 28/09/2004);

2) “Nella liquidazione del danno alla persona, il criterio di determinazione della misura del reddito previsto dall’art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39 (triplo della pensione sociale), pur essendo applicabile esclusivamente nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, può essere utilizzato dal giudice, nell’esercizio del suo potere di liquidazione equitativa del danno patrimoniale conseguente all’invalidità, che è danno diverso da quello biologico, quale generico parametro di riferimento per la valutazione del reddito figurativo della casalinga”. (Cass. sentenza n. 15823 del 28/07/2005).

Anche alla luce dei principi di diritto ora enunciati (e non correttamente applicati dalla Corte di merito) è inoltre palese che il Giudice dell’impugnata sentenza avrebbe dovuto (ed il Giudice del rinvio dovrà) valutare adeguatamente tutte le risultanze istruttorie (v. in particolare quelle indicate nel secondo motivo di ricorso) utili per l’applicazione dei principi medesimi e della normativa in materia.

L’impugnata sentenza va dunque cassata.

Al Giudice del rinvio, che va individuato nella Corte di Appello di Trento in diversa composizione, va rimessa anche la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata decisione; e rinvia la causa, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Trento in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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