CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 3 marzo 2010, n.5081 DIRITTO DI CRONACA: TRA VERITÀ OGGETTIVA E PUTATIVA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 21 Cost., 51, 59 e 595 c.p., 2043 c.c., 13 legge n. 48/1947, nonché illogica, contraddittoria e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Le argomentazioni a sostegno della censura muovono dal tema della contraddittorietà della motivazione laddove la sentenza impugnata ha affermato, da un lato, che le notizie e le intercettazioni riportate dal giornale possono ritenersi veritiere sotto il profilo della verità putativa e, dall’altro lato, che non può essere negata la verità sostanziale di quanto riportato nei tre articoli.

Prima di analizzarle è opportuno ribadire (Cass. n. 6064 del 2008) che il vizio di insufficiente motivazione sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata.

Per completezza è opportuno aggiungere che questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova.

Valutata sulla base dei principi sopra enunciati, la motivazione della sentenza non risulta affetta dalle denunciate insufficienza, contraddittorietà e illogicità.

La Corte territoriale ritiene pacifici i colloqui tra il Misiani e lo Squillante, l’esistenza delle intercettazioni dei loro colloqui presso il bar Mandara, gli inviti insistenti rivolti dal Misiani al p.m. milanese Greco per avere notizie sullo stato dell’istruttoria in corso nei confronti dello Squillante; afferma, per quanto riguarda, in particolare, la trascrizione delle intercettazioni, successivamente rivelatesi false, che il giornale ben poteva ritenerle vere perché proprio in base ad esse il Misiani venne rinviato a giudizio – anche se poi assolto – per il reato di favoreggiamento.

Ne consegue che il riferimento alla verità putativa circa le notizie e le intercettazioni riportate dal giornale appare corretto poiché, con apprezzamento di fatto insindacabile, la Corte d’Appello ha ritenuto che, nel momento in cui furono pubblicate, i giornalisti avevano motivo di ritenerle vere anche se il successivo svolgimento dei tatti le ha smentite.

È vero che successivamente la sentenza impugnata afferma che la “verità sostanziale” di quanto riportato nei tre articoli non può essere negata alla luce delle risultanze sopra dette.

In base ai principi premessi, la contraddittorietà della motivazione denunciabile per cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non può riguardare singole parole o anche espressioni, per cui la dicotomia “verità putativa” – “verità sostanziale” si risolve in un’aporia espressiva e terminologica, che, tuttavia, non rende contrastanti le ragioni poste a fondamento della decisione, in modo tale che esse si elidano a vicenda ostacolando l’individuazione della ratio decidendi.

In definitiva, appare evidente che, nella ricostruzione della Corte d’Appello, quanto riferito dal giornale non era “esattamente” vero, ma corrispondeva “sostanzialmente” a quanto avvenuto. Con tale affermazione essa ha evidentemente inteso rafforzare il concetto di verità putativa cui aveva dato credito.

Corretta o errata che sia nel merito (tema che non può essere affrontato dal giudice di legittimità), la “scarna” (secondo la definizione del ricorrente) motivazione della Corte territoriale può essere agevolmente compresa ove si consideri, ad esempio, che il Misiani lamentava che una delle conversazioni riportate dal quotidiano corrispondeva non ad una intercettazione, ma all’annotazione manuale effettuata da un ufficiale di p.g. nel bar Mandara in prossimità degli interlocutori.

È evidente che la rilevata difformità può assumere una rilevanza anche notevole nell’ambito, ad esempio, di un procedimento penale, ma non presenta uguale consistenza nel diverso ambito giornalistico, dove l’elemento di maggior risalto è la notizia in sé piuttosto che la fonte da cui è stata tratta.

Considerazioni non dissimili vanno fatte con riferimento ad altre affermazioni contenute nella sentenza impugnata, quali il carattere “pacifico” dell’esistenza delle intercettazioni, che poi divengono “false”, ma il giornale “ben poteva ritenerle esatte”, ecc.

Il sindacato della Corte di Cassazione non può spingersi sino all’esegesi e alla critica di ogni singolo vocabolo usato dalla sentenza impugnata.

È ovvio che una cosa è l’ontologica esistenza di intercettazioni, altra cosa è la veridicità del loro contenuto, altra cosa ancora è la loro credibilità.

In definitiva, la motivazione della sentenza impugnata non ostacola l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata e, d’altra parte, si è già rilevato che il vizio in esame e quello di omessa o insufficiente motivazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte.

Il Misiani, ribadito che sono state pubblicate notizie false, focalizza la critica sulla questione della scriminante dell’esercizio putativo del diritto di cronaca.

In proposito è opportuno sottolineare sul piano generale che, anche recentemente, questa stessa sezione ha ribadito (Cass. Sez. III, nn. 25157 del 2008 e 11259 del 2007) che l’esercizio del diritto di cronaca può ritenersi legittimo quando sia riportata la verità oggettiva – o anche solo putativa – della notizia purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca dei fatti esposti, il cui onere probatorio, in sede processuale, grava sul giornalista unitamente a quello del riscontro delle fonti utilizzate.

In altri termini, il giornalista va esente da responsabilità non in virtù della mera verosimiglianza dei fatti narrati, ma solo a seguito dell’avvenuta dimostrazione dell’involontarietà dell’errore, dell’avvenuto controllo – con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della notizia e all’urgenza di informare il pubblico – della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati.

La sentenza impugnata contiene, quanto alla trascrizione delle intercettazioni, un riferimento non esplicitato (“a prescindere dalla fonte dalla quale le aveva ricevute”), cui, però, fa seguito l’osservazione che proprio in base ad esse il Misiani venne rinviato a giudizio per favoreggiamento, anche se poi assolto. Inoltre ha fatto leva su verbali delle sedute del CSM (di cui indica il numero dei documenti e la loro collocazione in atti) dai quali ha ricavato i seguenti elementi: la contestazione al Misiani di avere fatto il nome del cancelliere corrotto “Emilio” (che egli dichiarava di non conoscere neppure); avere ricevuto notizie riservate e segrete e averle passate a Squillante (circostanza già contestatagli dagli inquirenti); essersi difeso negando la veridicità dei fatti e tuttavia ammettendoli parzialmente.

Il ricorrente nega che tali documenti abbiano la rilevanza, sotto il profilo della riconoscibilità della verità putativa, attribuita loro dalla Corte territoriale e assume che la formazione di taluno di essi è successiva alla pubblicazione degli articoli. A tal fine ne esamina il contenuto, peraltro senza riferirne il testo come necessario per soddisfare il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, così inserendo valutazioni che attengono al merito, non essendo consentito al giudice di legittimità accedere direttamente agli atti ed esprimere valutazioni in ordine all’efficacia probatoria delle risultanze processuali.

D’altra parte il dato rilevante ai fini della valutazione della motivazione della sentenza va individuato nella considerazione che, quand’anche in epoca successiva alla pubblicazione degli articoli, gli stessi argomenti furono oggetto di accertamento da parte del CSM, indipendentemente dall’esito dell’accertamento stesso.

La denunciata falsa applicazione degli artt. 51 e 59 c.p. viene ancorata alla considerazione che l’esimente della verità putativa dei fatti attribuiti al Misiani è stata riconosciuta ai giornalisti solo perché essi gli erano stati contestati in sede di investigazione giudiziaria e nel procedimento davanti al CSM.

La censura si rivela palesemente infondata poiché ai fini di causa occorre solo valutare la credibilità delle fonti da cui provenivano le notizie date dai giornalisti.

L’esito della duplice indagine non può influire a posteriori sulla credibilità della notizia nel momento in cui è stata pubblicata ma, semmai, impone al giornalista un successivo dovere di rettifica e precisazione.

L’interesse della collettività che giustifica la pubblicazione non è ravvisabile nella sola comunicazione dell’esistenza di indagini nei confronti di una determinata persona, ma si estende anche all’oggetto delle medesime.

Le ulteriori argomentazioni sul punto del ricorrente (quello che si legge negli articoli non è cronaca giudiziaria, ma autonoma rielaborazione degli elementi di accusa, ecc.) esigono ancora una volta accertamenti di fatto e valutazioni di merito non consentite nel giudizio di legittimità.

Le medesime considerazioni valgono per le critiche rivolte alla sentenza impugnata con riferimento ai dati che essa assume essere pacifici e che, invece, il ricorrente ritiene non esserlo affatto.

Pertanto il ricorso risulta infondato e va rigettato. L’esito diverso dei due giudizi di merito, la natura della controversia, le tesi rispettivamente sostenute dalle parti giustificano la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Spese del giudizio di cassazione compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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